martedì 6 gennaio 2009

L'Egoismo si mette in fiera

quest'anno il Salone del libro a Torino tratterà un tema molto interessante. Ne riporto l'articolo della stampa del 12/12/2008

Considerato a lungo un peccato, oggi è di nuovo sdoganato. E la kermesse del libro 2009 ne discute le mille facce
MARIO BAUDINO
TORINO
Io pur sapevo al buio le tue pupille scernere,/ e bevevo il tuo fiato, dolcissimo veleno», scriveva Charles Baudelaire, battezzando la sua epoca e un poco forse anche la nostra. Il suo io romantico era sapiente e magari un po’ tronfio, come accade. Ma aveva le idee abbastanza chiare circa gli «altri». Di lì in poi, i due secolari contendenti hanno spesso fatto a botte. Ora La Fiera del libro li ha divisi con una virgola, e dedica l’edizione di quest’anno al tema «Io, gli altri». Noi e la società. «Io», quella monade ora egoista ora incerta e drammaticamente scissa, riparte alla ricerca di sé in un mondo di libri proprio nell’anno in cui molti di noi, se non tutti, sembrano sull’orlo di una crisi di nervi; gli «altri» assumono sempre più l’aspetto di una massa minacciosa, ci si richiude nella famiglia o nella propria stanza, si fa la faccia feroce per un nonnulla, si spacca e si distrugge senza motivo, in una stazione ferroviaria o allo stadio, ci si autoassolve e ci si affloscia sulla colpe altrui, vere o presunte.

Io non vuole pagare le tasse perché, dice, così fanno tutti. Io s’infuria con la professoressa perché gli ha sgridato l’indisciplinatissimo marmocchio, invece di ringraziarla. Io parcheggia in seconda fila quella sua propaggine metallica che gli altri chiamano automobile, e provate a dirgli qualcosa. Io dà fuori di matto se non si sente abbastanza amato, protetto e coccolato, e provate pure a fargli osservare che è un insopportabile narcisista: ma prima indossate l’elmetto. Io è infantile, vanesio, bugiardo, ma purtroppo è anche un altro, e un altro, e un altro ancora, e allora chi mai si arrogherà il diritto di allungargli finalmente un paio di sberle, visto che Io siamo tutti noi? Non certo Giovanni Jervis, docente di psicologia dinamica a Roma, che da psichiatra lavorò al fianco di Basaglia, cui ha dedicato La razionalità negata, appena uscito per Bollati Boringhieri. «Il tema - spiega - è molto importante, e direi che riguarda soprattutto gli “altri”. In realtà, gli altri sono di due tipi: quelli appartenenti al nostro gruppo familiare, nel senso più largo del termine, compresi magari i tifosi della mia stessa squadra che incontro allo stadio, e quelli che ci sono estranei, lontani, con cui abbiamo rapporti d’ogni tipo ma che non vediamo mai».

I barbari? «Non solo. Possono essere vissuti come una minaccia o come un’opportunità. Pensi a Internet, o allo stesso meccanismo della nostra modernità, che prevede commerci e scambi con persone e culture estranee. Qui c’è un problema vero: la fiducia. Perché rischiare con le persone estranee non è mai facile. Nelle società tradizionale si avevano rapporti quasi esclusivi col proprio clan. In quella moderna abbiamo bisogno di rapporti con persone che non conosciamo. E questo è un aspetto eccitante della modernità»: talmente importante che ha partorito una nuova scienza, la «psicoeconomia», per indagare i meccanismi della fiducia. Forse ci aiuterà a capire perché uno, in un preciso momento, decide di fidarsi e investe in borsa, oppure rinuncia. Perché si associa in un’attività imprenditoriale, perché apre un negozio in Cina o a Cantù. È la nuova frontiera di Io e gli Altri, dove bisogna vincere l’istinto tribale e decidere di fidarsi. Non è neppure lontana, nonostante le apparenze, da quella tra noi e i libri. Anche in questo caso è questione di fiducia. Ed è una questione delicata, perché sappiamo bene che i libri, parliamo della letteratura e non dei manuali Hoepli, mentono. Soprattutto per quanto riguarda l’io.

In una bella raccolta di saggi che si intitola appunto Le varianti dell’io,(ed. Salarchi Immagini) l’italianista Giuseppe Traina rilegge le Memorie di Lorenzo Da Ponte, il sublime librettista di Mozart, scoprendo «un libertino che non vede l’ora di imborghesirsi». ma anche un Io che si dissimula proprio nel momento del maggior sforzo di verità. E ci ricorda una pagina importante di Leonardo Sciascia, quando a proposito di Gesualdo Bufalino sottolineò che «non bisogna credere agli scrittori che chiedono di essere creduti in quel che rappresentano o confessano... Uno scrittore attinge alla verità dell’esistenza attraverso la mistificazione». Detto così, siamo da capo. Come possiamo fidarci dei libri? Leggendoli, risponde Marco Santagata. Da storico della letteratura, studioso di Petrarca (e romanziere: ha appena pubblicato per Guanda Voglio una vita come la mia), ci spiega che l’io di cui parliamo abitualmente prende forma solo con la rivoluzione romantica. Prima, nel ‘700, in una «cultura del fare» proiettata sulla società, aveva buoni rapporti con gli «altri». Il Romanticismo lo ha diviso, e il Novecento lo ha disgregato. Però c’è qualcuno che ha fatto molto per tempo il lavoro di base: Petrarca. Dante ha inventato il realismo, ma il poeta di Laura ha introdotto la profondità, l’idea che c’è una psiche e che agisce.

Professore, possiamo dire che questo nostro vecchio io è stato inventato da Petrarca? «Se parliamo di un io autobiografico, lui è il primo. Usa, data la sua cultura, categorie di tipo etico, come il peccato o la colpa, che oggi però possiamo tradurre in categorie psicologiche». L’Io è l’eroe della letteratura, sia quando è in perfetta salute, sia quando è piuttosto acciaccato. E gli altri? «A dire la verità mi sarebbe piaciuto in tema più secco: “Io”, e basta. Non vorrei che i finissimo nei soliti discorsi». Teme il politicamente corretto? «No, è solo che sono un po’ stanco di letteratura etnica. E’ un mio limite, sia ben chiaro. Sono eurocentrico, non riesco ad appassionarmi a storie di cui non conosco il retroterra. Finisce che mi sembrano favole, anche se magari favole non sono».

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