lunedì 31 agosto 2009

Giappone, dalle urne svolta storica

http://www.repubblica.it/2009/08/sezioni/esteri/giappone-elezioni/giappone-elezioni/giappone-elezioni.html

A pesare sul tracollo dei liberaldemocratici la crisi economica e l'occupazione ai minimi storici
Il futuro premier Hatoyama convoca un vertice per preparare il nuovo Governo
Giappone, dalle urne svolta storica
Vincono i democratici, Aso si dimette

TOKYO - I democratici giapponesi (Minshuto) spediscono i liberaldemocratici (Jiminto) all'opposizione dopo 54 anni di potere quasi ininterrotto. E' quanto indicano gli exit poll della tv pubblica incoronando come uomo della svolta Yukio Hatoyama, ex membro del Jiminto, figlio dell'establishment nipponico che fondò il Partito democratico proprio per scalzare i suoi ex colleghi. L'attuale premier Taro Aso si dimette: "E' colpa mia". Il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, ha definito "storico" il voto in "una delle più grandi democrazie del mondo". "Confidiamo - ha aggiunto - che la forte alleanza Usa-Giappone e la partnership tra i due Paesi continui ad essere fiorente con la prossima leadership di Tokyo". Il presidente Barack Obama, ha concluso Gibbs, "attende di lavorare con il nuovo primo ministro giapponese su una vasta gamma di questioni globali, regionali e bilaterali".

Gli exit poll. La tv giapponese e l'edizione online del quotidiano Yomiuri Shinbun hanno pubblicato le stime subito dopo la chiusura delle urne alle 20 locali (le 13 in Italia): il Partito democratico, nato 11 anni fa dalla confluenza di diverse anime politiche, dovrebbe ottenere oltre 300 seggi sui 480 in palio. Hatoyama - secondo la prassi che vuole il leader del partito di maggioranza diventare premier - dovrebbe formare un nuovo governo in coalizione con altre piccole formazioni: il Partito socialdemocratico (tra i 4 e i 15 seggi), il Nuovo partito del popolo (3-6) e i comunisti (7-18). La maggioranza potrebbe quindi contare su un blocco di 302-350 seggi sui 480.

Una svolta storica. Il risultato, ampiamente previsto dai sondaggi delle scorse settimane, rende per la prima volta il Jiminto partito di minoranza. La continuità al governo era stata interrotta per undici mesi nel 1993-94 da una coalizione formatasi attorno a Morihiro Hosokawa, ma i liberaldemocratici erano comunque usciti dalle urne come il partito di maggioranza relativa.

Gli sforzi del premier. Taro Aso, leader del Kiminto e primo ministro ha cercato fino all'ultimo di attribuire al suo governo, in coalizione col partito neobuddista Komeito, una politica economica che avrebbe portato a una ripresa nel secondo trimestre dell'anno. Non è bastato ad annullare un'immagine negativa che ha spinto i livelli di consenso attorno al 20% nei sondaggi degli ultimi mesi. Tra l'altro, la diffusione del dato sulla disoccupazione di luglio, al record storico negativo (5,7%), sembra aver pesato fortemente sugli orientamenti elettorali.

Le dimissioni di Taro Aso. Il segretario generale Hiroyuki Hosoda ha annunciato le dimissioni sue e dell'intera segreteria. A stretto giro sono arrivate anche le dimissioni del premier Taro Aso: "Il risultato è molto severo e credo che si debba riflettere su questo per una nuova partenza. Per parte mia, mi prendo la responsabilità della sconfitta".

La dinastia di Aso. Considerato un falco per le nette posizioni conservatrici e nazionaliste, è discendente di una grande dinastia imprenditoriale del Kyushu, nell'estremità meridionale dell'arcipelago. Primo premier di fede cattolica, è nipote del primo ministro Shigeru Yoshida, "padre" del Giappone del dopoguerra: una parentela pesante che, secondo alcuni, è stata la ragione stessa della sua presenza nella Dieta, partita nel 1979 con l'elezione alla Camera bassa.

La popolarità. Più che per i successi politici, Aso è diventato popolare per le dichiarazioni controverse che gli sono valse la fama di gaffeur. Molti i commenti di stampo razziale (il Giappone è "Paese di una sola razza, una sola lingua, una sola cultura"), sociale (si è fatto beffa dei problemi di memoria citando i malati di Alzheimer) e, soprattutto, diplomatico, come quando ha definito la Cina una "minaccia". Negli ultimi giorni della legislatura, sopravvissuto agli attacchi frontali di illustri compagni di partito che chiedevano la sua testa, Aso ha giocato a sorpresa la carta dell'umiltà, scusandosi con la nazione per gli insuccessi del suo governo e chiedendo un'altra chance. Appello inutile, visto come si è espresso l'elettorato nipponico.

Il nuovo governo. Yukio Hatoyama ha convocato per lunedì un vertice di maggioranza per la formazione di un nuovo governo e ringraziato pubblicamente i suoi elettori, parlando di "voto di cambiamento". Il suo programma prevede una serie sostanziosa di aiuti a famiglie, precari e piccole e medie imprese, con l'idea di far ripartire la domanda interna. In politica estera Hatoyama, pur ribadendo la centralità dell'alleanza strategica con gli Stati Uniti, ha promesso un ruolo più incisivo nell'Asia orientale e un rapporto più disteso con la Cina.

L'ingegnere del cambiamento. Hatoyama, 62 anni, è il classico esponente dell'establishement "dinastico" della politica nipponica, membro di una famiglia spesso definita "i Kennedy del Giappone". Nipote di un ex presidente, figlio di un ex ministro degli Esteri e fratello dell'ex titolare della Giustizia, anche lui viene dalle file del Jiminto. L'ha lasciato nel 1993 per fondare il Partito democratico. E' ingegnere laureato all'università di Tokyo e specializzatosi a Stanford, negli Usa. E' al suo sesto mandato parlamentare ed è nipote, da parte di madre, del fondatore della multinazionale del pneumatico Bridgestone. Un esponente, insomma, dell'élite politica ed economica dell'arcipelago. Cosa che però non gli impedisce di farsi paladino di una politica che promette di aggredire il monopolio della burocrazia e ridurre gli sprechi per sostenere il reddito delle famiglie. La moglie si chiama Miyuki ed è un'ex attrice nata a Shanghai quando la città cinese era occupata dai giapponesi. Si dice che proprio la consorte spinga il futuro premier a guardare di buon occhio un rapporto più stretto con Pechino. E' comunque certo che romperà la tradizione di "first lady" invisibile tipica delle mogli dei primi ministri nipponici.

(30 agosto 2009)

venerdì 28 agosto 2009

Ribelliamoci come in Iran e in Birmania

http://www.unita.it/news/il_dibattito_su_l_unit_/87268/ribelliamoci_come_in_iran_e_in_birmania

Tutto avviene nel silenzio. C’è un’idea diffusa di impotenza, di rassegnazione. Alla politica si è sostituito il potere. La gestione delle cose, gli affari privati. Tutto è ormai una faccenda privata: di scambi, di soldi, di favori. Dove sono i cittadini, in questo paese? Dove sono le donne? In tutto il mondo le donne sono in piazza. Alla sbarra a Teheran, massacrate in Iran, prigioniere in Birmania. Volti femminili che diventano icone della protesta. Qui, in questa nostra democrazia in declino, di donne si parla per dire delle escort, delle ragazzine che dal bagno attiguo alla camera da letto del tiranno telefonano a casa alla madre per raccontare, contente, “mamma sapessi dove sono” e rallegrarsi insieme. E fuori, e le altre? Silenzio. L’apatia ci accompagna…».

Il tempo del silenzio, ripete Nadia Urbinati, docente di Teoria politica alla Columbia university. «Avrei voluto far qualcosa, in questi mesi estivi che passo in Italia, ma mi si dice che si deve aspettare l’autunno. Non capisco come mai. Non vedo che altro ci sia da aspettare. Le vittorie di Berlusconi appaiono ormai la conseguenza e non la causa dell’indebolimento della presenza attiva dei cittadini nella vita pubblica. Non c’è nulla da fare, sento dire. C’è, da parte delle persone attorno a noi, una specie di accettazione. Il senso dell’inutilità dell’agire collettivo. Non serve, si dice. Non produce effetti. Solo la pubblicità produce effetti». «Ci hanno ingannati, in questi anni, illudendoci che si potesse partecipare stando a casa: davanti allo schermo di una tv, in un blog al computer. Soli davanti al video. È nato un pubblico che si cela al pubblico. Impotente, rassegnato. Si è fatta strada un’idea maggioritarista: quella che dice che chi vince ha ragione per definizione, in quanto vincitore. Poiché vince non può aver torto. La verità sta con la maggioranza. È un’idea che non prevede il dissenso.

Il dissenso infastidisce, non se ne comprende il valore né l’utilità, non si tollera. La voce dell’opposizione è una voce che disturba. Berlusconi esprime un’idea egemonica che gli sopravviverà. L’opposizione d’altra parte non fa che riconoscere la forza dell’avversario (ho sentito giovani del Pd ammirare la Lega per il radicamento sul territorio ignorando i contenuti di quel radicamento). L’opposizione è assente. Manca un partito capace di parlare con voce forte e chiara. Negli ultimi tre mesi l’Unità e la Repubblica hanno avuto la capacità di far infuriare il tiranno, l’opposizione no. Persa nella sua battaglia interna, persa nell’incapacità di parlare con le parole della politica. Un vuoto che apre la strada ad un nuovo populismo giustizialista. Ho sentito Prodi dire: Berlusconi è il vuoto. Putroppo no, non è vuoto, è pieno di linguaggio e di azione. È l’opposizione a non avere linguaggio ed azione da opporre, manca un partito che incalzi. Quel che fa questo governo non è ridicolo, non è schifoso come ho sentito dire dai leader negli ultimi giorni. È tragico. Le gabbie salariali sono la rottura di un patto di solidarietà e giustizia tra i cittadini, un piede di porco capace di smembrare il paese. Le ronde sono un pericolo gravissimo, oltre ad essere un modo subdolo per distribuire finanziamenti pubblici. Sull’unità d’Italia? Nulla. Se non ci fosse l’Europa a contenerci saremmo sull’orlo della guerra civile».

«Siamo orfani di politica. Il potere ha preso il suo posto: chi lo detiene lo usa attraverso mezzi privati, conti in banca, soldi, scambi di favori. Berlusconi durerà. Tutto questo non finirà con lui. Questo governo non è Berlusconi, è la visione organica della società che lui rappresenta. Abbiamo imparato a giustificare sempre tutto. Ci sarebbe bisogno di avere una visione morale della politica, invece. Non c’è. Non abbiamo una cultura della responsabilità morale: anche se non penalmente perseguibili certi atteggiamenti sono moralmente turpi. Bisogna dirlo, ripeterlo, cercare ascolto, pretendere risposta.

È stata una trasformazione molecolare. Dopo anni di partecipazione si è spenta nella mente del cittadini la dimensione pubblica. La democrazia si è fatta docile e apatica. Vista dall’estero l’Italia non ha più nulla da dire, resta solo un esempio interessante da studiare sul declino della democrazia. Penso alle donne, poi. Neda, San Suu Kyi, le donne nel mondo. In Italia a parte qualche importante figura femminile isolata, niente. Sulle prostitute e le minorenni di cui si circonda il Presidente le parlamentari del Pd si sono schierate dieci giorni fa. Forse si teme di essere indicati come bacchettoni, di trasformare la politica in morale. Fatto è che donne che appartengono al privato (Veronica e Barbara Berlusconi) hanno avuto un ruolo politico, quel ruolo che chi fa politica non trova. Le generazioni del femminismo si sono scollate. Le ragazze che vanno a palazzo Grazioli dal bagno del tiranno telefonano alla madre, contente. Le loro madri hanno la nostra età. Cosa è successo tra quelle madri e queste figlie, tra noi e loro? Le grandi personalità si sono ritirate a scrivere le memorie degli anni d’oro, quasi a rivendicare un’autorità su e insieme un’estraneità da questo tempo. Io l’avevo detto, io l’avevo scritto. Personalismi, una contro l’altra, non c’è più la capacità di mettere in comune le esperienze, tessere una trama, rinunciare a qualcosa di proprio per l’agire collettivo. Quello che dà fastidio, poi, è questo continuo lamento, solo lamento. Tutti che chiedono rivendicano protestano e si lagnano, tutti che pongono problemi e nessuno che offra soluzioni. Anche attorno a noi, nella vita, è così. Lamentarsi è facile e non costa nulla, invece proporre una soluzione significa assumere una responsabilità, pagare il prezzo di una decisione..

Lamentarsi, risentirsi, portare rancore: anche queste sono forme private di agire. La dimensione pubblica – quella di chi si attrezza ad unire le forze e costruire gli strumenti per cambiare le cose, insieme – è svanita. I giovani sono figli di questo tempo. Tutto per loro è privato, totalmente privato. Bisogna ripartire da capo. Dalle cose essenziali. Lanciare un appello, per esempio, alcune donne si preparano a farlo: lanciare appelli non è un modo vecchio di agire. È nuovo, oggi. È di nuovo nuovo. Non essere docili, ripartiamo da qui».
12 agosto 2009

domenica 23 agosto 2009

La morte di Dio

ormai che l'ho ritrovato.... trovo tanti altri argomenti interessanti...

http://www.politicamagazine.info/Rubriche/SociologiaPolitica/LamortediDio/tabid/502/Default.aspx

Alle radici del pensiero politico della Modernità

“ L’uomo pazzo - si legge nella Gaia scienza - corse in mezzo a loro e fulminandoli con lo sguardo gridò : che ne è di Dio ? Io ve lo dirò. Noi l’abbiamo ucciso, io e voi, noi siamo i suoi assassini ! Ma come potemmo farlo ? Come potemmo bere il mare ? Chi ci diede la spugna per cancellare l’intero orizzonte ? Che facemmo sciogliendo la terra dal suo sole ? Dove va essa ora ? Dove andiamo noi, lontani da ogni sole ? Non continuiamo a precipitare : e indietro e dai lati in avanti ? C’è ancora un alto e un basso ? Non andiamo forse errando in un infinito nulla ? Non ci culla forse lo spazio vuoto ? Non fa sempre più freddo ? Non è sempre notte, e sempre più notte ? Non occorrono lanterne in pieno giorno ? Non sentiamo nulla del rumore dei becchini che stanno seppellendo Dio ? Non sentiamo l’odore della putrefazione di Dio ? Eppure gli dei stanno decomponendosi ! Dio è morto ! E noi l’abbiamo ucciso ! Come troveremo pace, noi più assassini di ogni assassino ? Ciò che vi era di più sacro e di più potente, il padrone del mondo, ha perso tutto il suo sangue sotto i nostri coltelli. Chi ci monderà di questo sangue ? Con quale acqua potremo rendercene puri ? Quale festa sacrificale, quale rito purificatore dovremo istituire ? La grandezza di questa cosa non è forse troppo grande per noi ? Non dovremo divenire Dei noi stessi per esserne all’altezza ? Mai ci fu fatto più grande, e chiunque nascerà dopo di noi apparterrà per ciò stesso a una storia più alta di ogni altra trascorsa”.

Quante volte l’uomo ha annunciato al mondo la morte di Dio ? Tante : ogni qualvolta - volendo impiegare la drammatica espressione formulata da Albert Camus - ha “denunciato in Dio il padre della morte e il supremo scandalo”. L’uomo ha attentato ed attenta alla vita di Dio ogni qualvolta prova ad eliminare la morte, il dolore e l’ingiustizia dal mondo.

NICHILISMO E MODERNITÀ

Sull’orizzonte della Modernità si stagliava - annuncia Alain de Benoist - “l’eclisse del sacro”. Al Dio Padre delle Sacre Scritture si andava sostituendo “l’anonimo e impersonale Dio delle macchine e dei crogioli”. Sembrava - scrive Nietzsche con tono sarcastico - finalmente, possibile “il cercar di dissolvere il mito ; il porre al posto di una consolazione metafisica una consonanza terrena,....il credere a una correzione del mondo per mezzo del sapere, a una vita guidata dalla scienza”. Ma il parricidio appena compiuto - “che Dio è morto, che la fede nel Dio cristiano è divenuta inaccettabile - comincia già a gettare le sue prime ombre sull’ Europa”.

L’illuminismo aveva emancipato l’uomo occidentale dal suo stato di minorità. Egli aveva acquistato la totale consapevolezza delle proprie capacità di modificare la natura. Poteva farsi artefice del proprio destino. Ma, paradossalmente, proprio per effetto di queste nuove libertà, ora, egli era assalito dall’angoscia di essere solo davanti alla “eterna piaga dell’esistenza”, e di fronte all’ignoto della morte.

Evaso dalla prigione del sacro Piano provvidenzialistico che gli garantiva la salvezza eterna, egli precipitava in una “immensità indifferente” dalla quale - scrive Monod - gli sembrava di essere “emerso per caso”. “Il divenire del mondo”, decifrabile attraverso una visione teleologicamente orientata, ora appariva - secondo Weber - come un’ ”infinità priva di senso” se osservato con le lenti delle scienze naturali. Lenti fatte per indagare sulle cause efficienti, ma inadatte per scrutare le cause finali. “Se Dio, come causa ultrasensibile e come fine di ogni realtà - argomenta Heidegger, citando Nietzsche - è morto, se il mondo ultrasensibile delle idee ha perduto la sua forza normativa, e soprattutto la sua forza di risveglio e di elevazione, non resta più nulla a cui l’uomo possa attenersi, secondo cui possa regolarsi....Nulla significa qui : assenza di un mondo ultrasensibile e vincolante”.

”Morte di Dio” e “disincanto del mondo” sono, quindi, due diverse formulazioni per descrivere lo stesso fenomeno : il processo di secolarizzazione si era spinto fino alla dissacrazione della Trascendenza. Aveva frantumato l’unità fra l’Essere e il Valore. Aveva scosso l’Occidente provocando quel sismo spirituale che, con drammatica espressione, Henry Corbin ha indicato come “catastrofe metafisica”. Ed è a questo punto che, nella storia dell’Occidente, “il nichilismo - avverte Nietzsche - il più inquietante degli ospiti, batte alla porta”. Dal “deserto” (nota) del nichilismo la Terra Promessa risultava irraggiungibile, mentre cresceva la sete di Assoluto. Diventava necessario - nota Cioran - trovare “un residuo metafisico...un’apparenza d’assoluto, in mancanza del quale nessuno potrebbe sopravvivere”.

Ripercorrere a ritroso i passi compiuti per uscire dal deserto risultava impossibile. Ormai non si poteva più negare la Ragione. Ma la Ragione era in grado di elaborare una scienza dei fini ? Hegel fornì una risposta affermativa. Ridotta la metafisica alla sola dimensione gnoseologica, egli fondava un modello di scienza che derivava le sue conoscenze esclusivamente dalle strutture razionali della mente umana, indipendentemente dall’esperienza empirica. Per cui tutto ciò che era razionale si tramutava in reale, e per ciò stesso conoscibile. Quindi la filosofia diventava scienza e poteva produrre ”una conoscenza del non mondano, di ciò che è eterno”. L’immanentizzazione della metafisica consentiva ad Hegel di sostituire al Dio trascendente del cristianesimo un Dio immanente : lo Spirito. Un Dio, questo, che si sarebbe realizzato secondo un ineluttabile dover - essere e che s’incarnava nella Storia. Una Storia, che, regolata dalle Leggi della dialettica,” non rappresenta altro - secondo Hegel che il piano della provvidenza”. Un piano nel quale anche il Male svolgeva una funzione necessaria. Hegel ricostruiva il processo storico come svolgimento di razionalità e necessità. Egli collocava la Parusia dopo la risoluzione delle necessarie contraddizioni storiche. Ogni tappa di questo divenire era, quindi, inevitabile. Tutto era già scritto nella Storia.

Hegel ristabiliva, così, nel divenire del mondo l’immanenza dello Spirito. Indicava un fine ultimo assegnando un telos immanente alla storia universale. Forniva una giustificazione del Male.

La filosofia di Hegel soccorreva un Dio agonizzante, essa aveva i caratteri di una diversa forma di “teodicea” che si limitava a “ritardare” l’avanzata del processo di secolarizzazione, certo non poteva risacralizzare l’Occidente. La filosofia Hegeliana non indicava l’uscita dal deserto del nichilismo. Forse di quel deserto costituiva un’oasi. Un’oasi alla quale, però poteva risultare pericoloso abbeverarsi. Le sue acque contenevano i veleni di un altro genere di nichilismo :”il cinismo, spiega Camus - la divinizzazione della storia e della materia, il terrore individuale o il delitto di Stato, queste conseguenze smisurate nasceranno allora interamente armate, da un’equivoca concezione del mondo che affida alla sola storia il compito di produrre i valori e la verità. Se nulla può essere chiaramente concepito prima che la verità, alla fine dei tempi, sia stata messa alla luce, ogni azione è arbitraria, la forza finisce per regnare.” Per cui “uccidere o asservire” diventerà la via da seguire per gli eredi di Hegel che crederanno di aver svelato la verità, di aver risolto “l’enigma della Storia”.

Marx si abbeverava all’oasi dello storicismo Hegeliano e ne restava contaminato. Egli comprendeva che se fosse riuscito nella straordinaria impresa di svelare il divenire della Storia, di indicarne il fine ultimo e di fornire gli strumenti operativi per la sua realizzazione, poteva essere proprio lui il “nuovo salvatore” che l’umanità attendeva per uscire dal deserto del nichilismo, sorto per effetto dell’impetuoso sviluppo del processo di secolarizzazione. Egli faceva propria la struttura teorica della dialettica hegeliana, ma era necessario conferirle una dimensione operativa. Essa doveva essere “raddrizzata....rimessa a reggersi sui piedi.” Se fino ad allora i filosofi si erano limitati ad interpretare il mondo, ora essi dovevano anche operare per la sua trasformazione. La filosofia doveva individuare la radice di tutte le ingiustizie del mondo e fornire gli strumenti operativi per estirparla. Essa doveva essere contemporaneamente conoscenza scientifica e prassi salvifica.

Marx individuava proprio negli elementi costitutivi della modernità le cause di tutti i mali. La modernità aveva esaltato e scatenato gli aspetti più perversi dell’animo umano in quanto aveva scisso l’uomo dalla Natura, dagli altri uomini e dalla sua stessa intima essenza divina. L’istituzionalizzazione della proprietà privata costituiva il peccato originale che aveva provocato la Caduta dell’umanità nel “tempo della corruzione universale”.

Il mercato, la logica catallattica e la libera concorrenza avevano ridotto la società in “un deserto popolato da bestie feroci”. Il Parlamento non era altro che “un ciarlatoio nazionale” e “la democrazia rappresentava “una contraddizione intrinseca, un falso, una semplice ipocrisia”.

Insomma secondo Marx, la proprietà privata, il mercato e la democrazia avevano generato “ l’ innaturalità della vita moderna”. Per ricomporre l’unità originaria perduta, per risacralizzare il mondo era necessario, quindi, sopprimere gli elementi profanatori, primo fra tutti la proprietà privata. Marx assegnava questa funzione soteriologica al comunismo. “Il comunismo - infatti - si sa già come reintegrazione e ritorno dell’uomo a se stesso, soppressione dell’umana autoalienazione.....il comunismo è la positiva soppressione della proprietà privata quale autoalienazione dell’uomo, però reale appropriazione dell’umana essenza da parte dell’uomo e per l’uomo ; è il ritorno completo, consapevole, compiuto all’interno di tutta la ricchezza dello sviluppo storico, dell’uomo per sé quale uomo sociale, cioè dell’uomo umano. Questo comunismo è, in quanto naturalismo, umanismo, e, in quanto compiuto umanismo, naturalismo. Esso è la verace soluzione del contrasto dell’uomo con la natura e con l’uomo, la verace soluzione del conflitto fra esistenza ed essenza, fra oggettivazione e affermazione soggettiva, fra libertà e necessità, fra individuo e genere. E’ il risolto enigma della storia e si sa come tale soluzione”.

E’ evidente che il socialismo scientifico costituiva contemporaneamente una teoria e una prassi. Infatti esso era stato concepito da Marx “non solo come autocoscienza che l’assoluto ha di se stesso , ma - spiega Luciano Pellicani - anche come un sapere capace di modificare la statuto ontologico della realtà, prassi rivoluzionaria nel senso più pieno e radicale della parola : vale a dire capovolgimento del mondo capovolto”. Marx affidava alla prassi rivoluzionaria il compito di condurre l’uomo fuori dal deserto del nichilismo verso “l’ultima forma di organizzazione dell’umana famiglia” : il comunismo, appunto, che il filosofo di Treviri descriveva come il “Paradiso in terra”.

TOTALITARISMO E MORTE DI DIO

Per effetto della teodicea storicistica marxiana i tentativi di risacralizzazione del mondo hanno assunto, durante la prima metà del ventesimo secolo, una forma “criptica” : essi non sono stati condotti in nome di Dio, ma per volontà della Storia da coloro che ritenevano di averne risolto “l’enigma”. L’antica forma di conoscenza sacra - la gnosi - assunte le sembianze di una superiore “scienza profana”, ha promesso - negli scritti di Bucharin - la “resurrezione dell’umanità”.

“La gnosi - spiega Pellicani - questa tentazione permanente dello spirito umano, che nasce dall’ardente desiderio di possedere un sapere capace di risolvere tutti gli enigmi del mondo e di indicare il metodo per porre fine allo scandalo del male, a partire dal momento in cui il disincanto ha tolto ogni plausibilità al pensiero mitico - religioso è stata, per così dire, costretta ad assumere forme criptiche. E’ accaduto che coloro che ho chiamato gli orfani di Dio hanno cercato una soddisfazione surrogatoria dei loro bisogni metafisici rimasti scoperti dal progressivo ritirarsi del sacro dalla scena ; e lo hanno fatto elaborando teorie nelle quali l’umanità appare un Dio degradato in marcia verso il suo originario stato di perfezione. La reazione romantica contro l’illuminismo, da Rousseau sino all’idealismo tedesco, è stata essenzialmente un disperato tentativo di eliminare la spaventosa solitudine in cui si sono venuti a trovare gli intellettuali abbandonati dalla fede ma non dal desiderio di assoluto, riallacciando l’Antica Alleanza fra l’uomo e il mondo. E’ così riemersa la gnosi sotto forma di filosofie della storia, le quali, grazie all’immanentizzazione del escaton giudiaco-cristiano -- il millenario regno di Dio -- hanno riattualizzato la visione provvidenzialistica della realtà”.

I progetti che hanno animato l’azione degli orfani di Dio sono stati nella loro sostanza, nuove “strutture di fede”, “nuove religioni”, anche se si sono presentati come il contrario di una religione. La loro azione muoveva verso una sorta di futuro remoto : gli obiettivi da perseguire erano la risacralizzazione di tutto ciò che era stato consacrato e la restaurazione di un mitico ordine sociale esente dal male. Quel preciso ordine, del quale non esistono testimonianze storiche, ma che essi hanno indicato come preesistente allo stato di corruzione generale prodotto dal processo di secolarizzazione.

Lo scontro fra il progetto gnostico, nelle sue varie forme in cui si è manifestato attraverso i secoli, e l’avanzata della modernità ha radici antiche. Esso non è stato che la manifestazione più cruenta ed esasperata di quel conflitto fra le due tradizioni - il razionalismo greco ed il messianesimo giudiaco - cristiano, che, come si è visto, da circa duemila anni ha animato le vicende dell’Occidente. Un dualismo che si è materializzato in uno scontro titanico e crudele : Nel corso dei secoli ci siamo trovati di fronte all’identico programma pantoclastico dei movimenti millenaristici che, sotto diverse spoglie, dal Basso Medioevo sino all’età contemporanea sono apparsi sulla scena della storia. Un programma che, muovendo dalla nostalgia dell’unità perduta, contemplava : la volontà di rovesciamento dell’esistente, l’aspirazione a un ordine totalmente altro, la necessità di una Guerra Santa per estirpare le radici del male dal mondo. Esso prometteva, inoltre, una salvezza terrena e collettiva. E dichiarava di voler purificare il mondo eliminando le cause della sua corruzione. Prima, fra tutte, la proprietà privata. Fonte, questa, della satanica cupidigia e, quindi, di tutte le ingiustizie. Una purificazione radicale, da condurre con ogni mezzo, compreso l’uso sistematico del terrore. Lo gnosticismo rivoluzionario traccia la sua parabola storica dalle lotte dei movimenti ereticali del IV secolo d. C. fino al “grande fallimento” dell’esperimento sovietico.

Il momento cruciale per la storia dello gnosticismo è rappresentato dall’ “ esperimento giacobino”. Esso ha costituito l’anello di congiunzione tra il passato ed il futuro del fenomeno rivoluzionario. Il movimento giacobino è stato - secondo Carlyle - “lo sforzo supremo, dopo diciotto secoli di preparazione per realizzare la religione cristiana”. Ed altresì, tale movimento è stato eletto quale modello a cui ispirarsi da tutti i movimenti rivoluzionari del XX secolo, decisi a radere al suolo la società moderna .

Il primo passo verso la trasformazione dell’esperimento giacobino nel paradigma della rivoluzione permanente è stato compiuto dai babuvisti. Essi auspicavano una rivoluzione molto più radicale che distruggesse irreversibilmente alla radice tutte le istituzioni del passato ed affermasse quella che Babeuf definiva come “religione della pura eguaglianza”. Dal babuvismo al socialismo il passo è breve.

Nel contesto qui sinteticamente descritto, inserito nella parabola dello gnosticismo rivoluzionario, il socialismo non è riducibile esclusivamente ad una manifestazione di risentimento delle vittime della Grande Trasformazione, ma appare in tutto il suo significato : la sua meta consiste nel superamento dell’alienazione e la creazione di una nuova religiosità immanente e priva di trascendenza della comunità umana e della storia”.

Nel variegato panorama delle famiglie socialiste quella che, più delle altre, può essere iscritta a pieno titolo nella tradizione dello gnosticismo rivoluzionario è certamente quella marx - leninista. Lenin riusciva nella titanica impresa di rovesciare l’ordine capitalistico, e di istituzionalizzare il primo dominio totalitario. Il totalitarismo leninista, inoltre nel corso del nostro secolo, ha ispirato le scelte rivoluzionarie del proletariato esterno alla civiltà occidentale in risposta all’aggressione culturale della “modernità invasora”, come l’ha descritta Ortega Y Gasset.

Nel solco tracciato da Lenin hanno preso vita, tra gli altri, il comunismo cinese, quello vietnamita e quello cambogiano. Anche il totalitarismo nazista, pur considerando le specificità storiche ed ideologiche che lo hanno caratterizzato, può essere “compreso” nella parabola storica dello gnosticismo rivoluzionario. In questo significato, Norman Cohn ha sostenuto che il bolscevismo e nazionalsocialismo hanno rappresentato gli ultimi avatara del millenarismo giudiaco - cristiano.

Totalitarismo e rivoluzionarismo hanno costituito i due aspetti indisgiungibili di quel progetto metapolitico che ha animato il XX secolo : erigere la Città dell’uomo, divinizzata, sulle macerie della Città di Dio, irrimediabilmente devastata dalla catastrofe culturale prodotta dall’avanzata della modernità .

La “sindrome totalitaria” è stata una fuga dalla società aperta, dai suoi insostenibili effetti disgregatori ed anomici, verso una società chiusa, immobile, sacra. Tutte le rivoluzioni del XX secolo, anche se condotte in nome di una superiore forma di progresso dell’umanità, non sono state altro che disperati tentativi di arrestare l’avanzata della modernità.

Tentativi disperati, questi, in quanto, puntualmente, l’esito finale indotto dal rovesciamento violento dell’ordine esistente, lungi dall’edificare il promesso Regno Della Libertà e della Felicità, hanno edificato universi concentrazionari dominati dal terrore e dalla paura.

Possiamo ipotizzare che la parabola dello gnosticismo rivoluzionario si sia finalmente esaurita ? Possiamo sperare che l’espiazione del senso di colpa per aver “ ucciso Dio “ non spinga più “ gli orfani” a massacrarsi ? Forse. Non è da escludere. Si può formulare l’ipotesi che l’Occidente non partorirà più “orfani di Dio”. Visto che le nuove generazioni non potranno sentirsi orfane di un padre che hanno appena intravisto : giusto il tempo di uno spot pubblicitario.

L’uomo del prossimo secolo, che inaugurerà il nuovo millennio, sarà una creatura che ha rimosso il passato e che rifiuta di volgere il suo sguardo al futuro. L’Uomo Nuovo potrà assumere i connotati dell’ “uomo istantaneo”.

“ Credo che stiamo per entrare in un altro tempo - avverte Octavio Paz - un tempo che ancora non svela la sua forma. Il tempo che sta per venire si definisce con un adesso e un qui. Il presente non ci proietta in nessun al di là, in nessuna variopinta eternità dell’altro mondo, in nessun astratto paradiso della “fine della storia”, ma nel midollo, nel centro invisibile del tempo. Qui e ora. Tempo carnale, tempo mortale”.

Ludovico Martello

Religione

http://it.wikipedia.org/wiki/Religione


Alcuni dei principali simboli religiosi. Da in alto a sinistra: croce latina (Cristianesimo), scudo di David (Ebraismo), omkar (Induismo), stella a nove punte (Bahaismo), mezzaluna (Islam), croce del sole (Neopaganesimo), yin e yang (Taoismo), torii (Shintoismo), Ruota del Dharma (Buddhismo), khanda (Sikhismo), svastica (Giainismo), mano (Ahimsa), fiore di loto con fiamma (Ayyavalismo), tre lune della Dea triplice, cross pattée (Ordine Teutonico), mani di Dio (Slavismo)

Genesi e significati della dottrina socialista

è diverso tempo che cercavo questo testo nel mio archivio. Grazie all'unzip (chiedo scusa per il termine tecnico) sono riuscito a recuperare anche i riferimenti.
Trovato due anni fa sulla rete ora vedo che esiste anche il link a facebook.
Dico tante volte grazie all'autore!


http://www.giovanidubbiosi.it/storiasocialismo.htm
GENESI E SIGNIFICATI DELLA DOTTRINA SOCIALISTA
brevi appunti a cura di LUDOVICO MARTELLO **

Significato del termine
E’ bene precisare subito, a scanso d’equivoci, che il termine socialismo non indica una forma di governo, bensì una dottrina politica. Anzi, a voler essere meno imprecisi, è necessario ricordare che il termine socialismo è stato impiegato, a partire dal diciottesimo secolo, a volte, come sinonimo, per indicare diverse teorie politiche, mentre, in altre occasioni, in qualità d’aggettivo qualificativo, per connotare diversi regimi politici. Utilizzato, ad esempio, come sinonimo di comunismo, il termine socialismo è stato impiegato per definire la natura politica delle Repubbliche sovietiche (URSS). Altre volte, lo stesso termine è stato adoperato per connotare dottrine politiche ideologicamente agli antipodi da quella comunista: come nel caso del nazionalsocialismo tedesco.
Ovviamente, - per quanto possano sembrare impropri - i diversi significati attribuiti al termine socialismo non erano e non sono del tutto illegittimi se, per comprendere l’utilizzazione dello stesso termine nei diversi contesti politici e/o ideologici, si tiene conto del suo significato lessicale e simbolico, e del progetto politico di cui il termine è portatore in quanto dottrina.
Il progetto politico, di cui il socialismo, in qualità di dottrina si fa depositario, afferma la necessità storica, e ne prescrive l’assetto strutturale, di un sistema sociale nel quale l’organizzazione statale realizzi la socializzazione totale o parziale dei mezzi di produzione e di scambio, e la distribuzione del prodotto sociale in funzione dei bisogni della collettività indipendentemente dal lavoro prestato dai singoli. La teoria socialista prescrive che lo Stato debba limitare, o inibire del tutto: l’esercizio delle libertà individuali, la formazione della proprietà privata, lo svolgimento della concorrenza economica, la competizione fra le diverse formazioni politiche.
L’utopia socialista pre-vede che i limiti ed i divieti imposti saranno funzionali, in virtù di una capillare azione etica e politica esercitata dallo Stato, al perseguimento ed al mantenimento dell’eguaglianza fra i governati e alla consequenziale soppressione delle classi sociali. Questa lunga definizione risulta plausibile esclusivamente se si considera la dottrina socialista in termini generici, ma se si osservano i vari dosaggi del rapporto fra le diverse libertà e le diverse forme d’eguaglianza previsti o realizzati dalla tradizione socialista, nei diversi contesti storici, si scopre che in nome del socialismo sono stati attuati numerosi assetti sociali molto dissimili tra loro. In altri termini, la dottrina socialista si può paragonare ad un caleidoscopio dove quelle stesse tessere, che ne costituiscono la struttura, diversamente combinate disegnano varie mappe dell’organizzazione sociale. Per cui, soprattutto per fini euristici, sarebbe più corretto adottare il termine al plurale: trattare, quindi, di socialismi e distinguere, di volta in volta, la specificità della singola teoria socialista secondo il metodo di realizzazione che essa intende attuare e del modello sociale che essa intende edificare.
Il metodo ed il modello
Il metodo – come ha precisato Norberto Bobbio, in diverse occasioni – indica l’insieme delle procedure che una teoria socialista intende mettere in atto per la conquista del potere, ad esempio: percorrere la via parlamentare oppure quella extraparlamentare della presa del potere attraverso la pratica della violenza. Diversamente il modello indica come dovranno essere strutturati gli elementi costitutivi del sistema sociale dopo la presa del potere, ad esempio: il tipo di rapporto fra stato e mercato. Appare evidente che diversi metodi in relazione ai diversi modelli hanno dato vita, e potranno dare vita, a forme di socialismo fra loro profondamente dissimili.
Le radici storiche del socialismo: platonismo e cristianesimo
La nascita del termine socialismo e l’elaborazione di progetti di società che possono essere definiti socialisti, ovviamente nell’accezione che oggi è attribuita al termine, risale alla prima metà dell’Ottocento. Tra coloro che, per primi, hanno coniato e utilizzato il termine è da ricordare Robert Owen che, nelle pagine del London cooperative magazine nel 1826, con il termine socialista indicava i sostenitori delle idee cooperative. In Francia il termine fu introdotto dai sansimoniani. La parola socialismo cominciò ad essere usata nel 1832 dalla pubblicazione Globe e dal 1832 nella Encyclopédie Nouvelle di Leroux e Reynaud.
Questa datazione, cronologicamente esatta, tiene conto della nascita lessicale del termine, ma non comprende la natura più intima e ancestrale del fenomeno: la profonda capacità evocativa delle aspettative palingenetiche per la creazione di un Uomo Nuovo e di una società perfettamente ordinata esente dal Male che il socialismo ha suscitato attraverso i secoli.
Il socialismo affonda le sue radici profonde nel platonismo e nel cristianesimo. Platone, com’è noto, era convinto che la dinamica del mutamento storico fosse scandita da un progressivo processo di decadenza fatto di degenerazione e di corruzione sociale. Nonostante il suo pessimismo, Platone, nelle pagine della Repubblica, disegna il primo Stato ideale: un sistema sociale in grado di arrestare il processo degenerativo dell’umanità abolendone le cause. La causa prima, fonte di tutti i mali, è indicata da Platone nella libertà individuale: " Sarebbe erroneo – si legge nelle Leggi – anche lasciare a ciascuno la libertà di vivere a suo modo, a casa sua.". E’ necessario che i cittadini della Città platonica vivano una esistenza assolutamente disinteressata al perseguimento di vantaggi individuali. Parte quasi insignificante di un Tutto, ogni singolo attore sociale deve contribuire al raggiungimento degli obiettivi collettivi; per questo devono essere allontanati da loro i due fattori che generano atteggiamenti egoistici: la proprietà privata e la famiglia. La Repubblica, coerentemente con tali premesse, prescrive la comunità dei beni e delle donne. Eliminando la proprietà – secondo Platone – si elimineranno l’ambizione e la discordia.
La configurazione sociale della Città ideale platonica è costituita da tre classi sociali: la prima include i contadini, gli artigiani ed i mercanti; la seconda è composta dai custodi ( guerrieri); la terza è formata dai reggitori (filosofi). Le classi sono rigidamente ordinate in modo gerarchico, ma all’interno di esse vige l’uguaglianza assoluta dei membri nei confronti dello Stato. L’agire sociale è regolamentato con la massima severità da norme statali: le unioni matrimoniali sono gestite da complessi meccanismi pubblici; i bambini appena nati sono separati dalla madre ed affidati ad asili statali; molti aspetti della vita quotidiana sono svolti in comune. Aboliti i valori di paternità e di maternità scompare anche il concetto d’ereditarietà, perciò non vi sono motivazioni all’accumulazione di ricchezze. Con simili costumi, né le sollecitazioni all’acquisizione dalla proprietà, né le seduzioni femminili porteranno il disordine nella Città. Platone ritiene che sia possibile arrestare la fatale tendenza storica degenerativa mediante la costruzione di una società governata da un ordine statale che non si corrompa, per questo esso dovrà immune da ogni possibilità di cambiamento. Uno Stato perfetto è quello che trae la sua legittimità da una tradizione legislativa immutabile e che esercita sui governati una capillare azione, la quale sia, ovviamente politica, ma anche etica e pedagogica.
Numerosi aspetti della diagnosi e della terapia sociologica platonica verranno ripresi da Marx: impressionanti sono le analogie che si possono riscontrare confrontando le pagine della Repubblica con alcune de L’ ideologia tedesca. " Sia Platone che Marx – sottolinea K.R. Popper nel primo volume de La società aperta e i suoi nemici – sognano la rivoluzione apocalittica che trasfigurerà radicalmente il mondo sociale nella sua interezza ".
L’ideale di una società organica governata da uno Stato etico, formulato da Platone nella Repubblica, attraversa, con alterne vicende, i secoli per ricomparire – ovviamente modificato nella forma per le diverse specificità storiche, ma notevolmente comparabile non nei suoi aspetti essenziali – nelle pagine dell’agostiniana Città di Dio.
Il De civitate Dei, scritto tra il 431 ed il 426, ha finalità apologetiche, con esso Agostino, nella veste di vescovo d’Ippona, si propone di rispondere all’accusa, rivolta dai pagani al cristianesimo, di essere stata questa religione la principale responsabile della rovina dell’Impero romano. Dopo aver criticato i culti idolatrici, che non offrono la felicità terrena né la vita eterna, Agostino riprende l’idea della Provvidenza come Artefice della Storia – esposta nelle Confessioni – e sviluppa una precisa teologia della Storia. Egli sostiene che esistono necessariamente due Città: quella del Bene e quella del Male. Esse sono in lotta quotidiana, ma alla fine della Storia, quando l’individuo saprà rinunciare all’amore di sé fino a spingersi al disprezzo di sé, il Bene sicuramente trionferà sul male. " Due amori – si legge nel XIV libro della Città di Dio – hanno costruito due città: l’amore di sé spinto sino al disprezzo di Dio, la città terrena; l’amore di Dio spinto sino al disprezzo di sé, la città di Dio. L’una si glorifica in sé, l’altra nel Signore. L’Una chiede la gloria agli uomini, l’altra fa consistere la sua gloria più ambita in Dio testimone della sua coscienza. (…). La prima, nei suoi capi, nelle sue vittorie sulle altre nazioni da lei domate, si lascia dominare dalla passione di dominare. La seconda ci presenta dei cittadini uniti nella carità, scambievolmente al servizio gli uni degli altri, governanti protettivi, sudditi obbedienti".
Le tappe del percorso che conducono dalla Città del Male alla Città del Bene – indicate da Agostino – non si limitano ad indicare esclusivamente un percorso spirituale, ma prevedono precisi comportamenti temporali conferendo, così, sostanza politica a quei principi cristiani senza i quali sarebbe stato impossibile finanche pensare gli elementi costitutivi della dottrina socialista e della Città socialista. L’agostinismo politico prescrive l’organizzazione temporale dello Stato secondo le leggi del Vangelo. Afferma che, fuori dalla teologia della storia, l’uomo non ha di per sé alcuna autorità sugli altri uomini, viceversa l’esercizio dell’autorità diventa legittimo se si procede verso il Bene. La teologia della storia gli consente, altresì, di fornire una spiegazione anche per quegli eventi che possono apparire inaccettabili ed inesplicabili, infatti, anche quest’ultimi contribuiscono all’avvento ineluttabile della Città del Bene. Agostino alimenta la certezza teleologica secondo la quale il pellegrinaggio esistenziale dell’umanità si concluderà con il raggiungimento di un escatologico totalmente Altro, esente da tutti i mali e da tutte le ingiustizie.
La certezza nell’imminente avvento di un totalmente Altro, tratto culturale, questo, assolutamente estraneo alla civiltà greco-romana, è così definitivamente iniettata dal cristianesimo nel corpo sociale dell’Occidente. Le opere di Agostino – dopo che l’editto di Milano, promulgato Da Costantino nel 313, aveva trasformato il cristianesimo da religione di contestazione dell’esistente a religione di legittimazione del potere dell’Impero – sanciscono l’irreversibile sconfitta del paganesimo.
Certo, Agostino separa il Regno dell’uomo dal Regno di Dio. Egli colloca quest’ultimo alla fine della Storia e tramuta il Messaggio evangelico da immanente a trascendente. Ma la revisione agostiniana dei sacri Testi non estingue del tutto l’attesa messianica – alimentata dal cristianesimo per tre secoli – dell’imminente parusia (ritorno di Cristo).In molti credenti permane la certezza del ritorno di Cristo in terra per ri-unirsi ai suoi fedeli, per decretare la fine dei Tempi, sancire la selezione finale fra i giusti e gli ingiusti: premiare i primi, punire i secondi. Così l’eresia gnostico-manichea, alla quale aveva aderito in gioventù lo stesso Agostino, e che la Chiesa riteneva di avere rimossa, riemerge con tutta la sua veemenza anti-istituzionale.
I gruppi ereticali, guidati da profeti armati – una sorta di monaci guerrieri – sfidano le autorità politiche e religiose, contestano la legittimità del cristianesimo della Chiesa e condannano, in nome del Messaggio originario di Cristo, i soprusi dei potenti e dei ricchi, la cupidigia, la proprietà privata ed ogni forma di disuguaglianza fra gli uomini. A questo mondo corrotto essi contrappongono il loro ideale gnostico rivoluzionario: la certezza di essere in possesso della vera conoscenza, dettata loro da Dio attraverso il Sacrificio del Figlio, per eliminare definitivamente tutte le ingiustizie e per fondare il Regno dell’uguaglianza e della fratellanza universale hic et nunc, qui ed ora, su questa terra. " Così – spiega Luciano Pellicani in uno dei brani più intensi de La società dei Giusti – in nome del rifiuto del rifiuto del vecchio mondo e dell’attesa del Mondo Nuovo, chiliasmo (millenarismo) e gnosticismo si congiungevano e si presentavano come un’unica forza spirituale, che conferiva al propheta che la incarnava tutti i tratti del portatore di salvezza. Come tale, egli era un capo carismatico. Straordinaria era la situazione nella quale operava e straordinaria era altresì la missione che egli sentiva di avere nei confronti del gruppo-paria al quale rivolgeva il suo messaggio di speranza, basato sull’attesa dell’evento escatologico che sarebbe stato, in modo tipico, terribile e liberatorio al tempo stesso: una catastrofe apocalittica dalla quale sarebbe scaturito un Macrocosmo rigenerato e purificato.".
La metamorfosi del sacro: escatologia cristiana e genesi della dottrina socialista
Dall’Alto Medioevo al Basso Medioevo, dopo che l’ingresso dell’anno Mille è trascorso senza il verificarsi della parusia e di eventi apocalittici, progressivamente la " Città Secolare" sottrae territori alla " Città sacra". I tratti costitutivi del processo di modernizzazione – il razionalismo, l’individualismo, l’azione elettiva, il contratto – sono strutturalmente corrispondenti agli obiettivi e alle aspettative di quella che può essere indicata come la nascente borghesia protocapitalistica. A partire dal XII secolo la lingua volgare sostituisce gradualmente il latino. Con la nuova lingua comincia a modificarsi la stessa percezione della realtà: la visione del mondo non risulta essere esclusivamente religiosa. Muta la concezione del tempo: esso non è più vissuto come uno strumento di salvezza, ma come una " occasione di guadagno", come ha rilevato nei suoi scritti Le Goff. Da sacro a profano il tempo diventa una merce: "La misura del tempo divenne un servirsi del tempo, un contare il tempo, un regolare il tempo. Quando ciò avvenne – avverte Lewis Mumford in Tecnica e cultura – l’eternità smise di essere la misura e lo scopo delle azioni umane". Davanti ad un’eternità che non rappresenta più la misura e l’unica meta dell’azione umana, risulta meno credibile la credenza escatologica che indica un mondo teologicamente e teleologicamente orientato. L’uomo rinascimentale si dichiara artefice della propria vita e responsabile del proprio agire storico. La storia si desacralizza: fuoriesce dal solco provvidenzialistico tracciato dal cristianesimo. Il crescente processo di secolarizzazione di tutti gli elementi del sistema sociale scalza la visione teocentrica della realtà per sostituirla con la visione antropocentrica. Questo processo provoca la rottura traumatica di quei legami profondi che per secoli avevano unito gli individui alle loro comunità ancestrali. L’esistenza risulta subordinata alle leggi amorali del mercato. Alienazione e disorientamento anomico rappresentano i costi psicologici che l’attore sociale paga per l’avanzata della Modernità secolarizzante. Questa transizione epocale è descritta in maniera efficace da Erich Fromm:" Il sistema sociale era crollato e con esso la stabilità e la relativa sicurezza che aveva offerto all’individuo – si legge in Fuga dalla libertà – venivano meno quei vincoli che solevano dargli sicurezza e un sentimento di appartenenza. La vita non veniva più vissuta in un modo chiuso ruotante attorno all’uomo; il mondo era diventato illimitato e al tempo stesso minaccioso. Perdendo il suo posto fisso in un mondo chiuso, l’uomo perdeva anche la risposta sul significato della vita; la conseguenza era che gli cominciava a sorgere il dubbio su sé stesso e sullo scopo della vita. Era minacciato da possenti forze impersonali il capitale e il mercato. (…). Il Paradiso era perduto per sempre, l’individuo era restato solo ad affrontare il mondo: un estraneo gettato in un mondo illimitato e minaccioso.". E, come se non bastasse, un ulteriore fenomeno - perverso ed inquietante — turba la coscienza dei credenti: la Chiesa si stava trasformando in un enorme mercato dove anche la salvezza dell'anima è ridotta a merce e, come tale, offerta ai fedeli con la compravendita delle indulgenze. Mammona profanava anche Il Tempio del Signore.
In questo contesto storico il protestantesimo costituisce la risposta alle esigenze psicologiche e morali di quella massa di attori sociali, sradicati dalle loro antiche certezze. La Riforma offre le risposte alle domande di appartenenza, d’identità e sul senso della vita espresse dagli individui strappati all'ancestrale ordine per effetto della rivoluzione capitalistica e del processo di modernizzazione. La risposta consiste nella ricomposizione della cristianità in una sorta di comunità evangelica. Il luteranesimo, opponendosi al processo di corruzione che aveva contaminato le gerarchie ecclesiastiche rappresenta, tra l'altro, il disperato tentativo di evitare che lo spirito commerciale conquistasse definitivamente la Chiesa. Il movimento protestante esclude ogni tipo di compromesso fra il cristianesimo e la civiltà moderna poiché ritiene che il capitalismo sia opera del diavolo. Le espressioni di Lutero in proposito, sono inequivocabili: " E il modo del mondo di non pensare ad altro che al denaro – egli afferma – gli uomini vi si attaccano anima e corpo. Dio e il nostro prossimo sono disprezzati e la gente serve Mammona. Verranno tempi orribili, ancora peggiori di quelli che toccarono a Sodoma e Gomorra (…) sulla terra non c'è peggior nemico della comunità, del mercante e dell'usuraio, perché egli vuole diventare Dio di tutti gli uomini (…) in verità il commercio del denaro è un segno e un simbolo del fatto che il mondo è venduto in schiavitù al Diavolo da atroci peccati.".
La Riforma intende, quindi, restaurare il primato del sacro sul profano. Porsi alla guida della Cristianità. Sostituirsi alla corrotta Chiesa di Roma che aveva tradito il Messaggio originale. Restaurare, secondo l'ortodossia delle Sacre Scritture, il primato della fede su quella che Lutero definisce "la stolta ragione".
Sulle orme di Lutero, l’ala estremistica del protestantesimo, guidata da Thomas Muntzer, "esigeva – ricorda compiaciuto Engels nello scritto La guerra dei contadini, rivendicando una continuità ideologica del marxismo col protestantesimo – l’immediata instaurazione sulla terra del Regno di Dio, del Regno di Dio delle profezie millenaristiche, (…) in cui non ci sarebbero state né differenze sociali, né proprietà privata, né autorità statale". I propositi di Muntzer e dei suoi seguaci si materializzano nell’esperimento della città di Muhlhausen, qui, nel 1525, è fondata una comunità organizzata secondo i principi evangelici originari di assoluta uguaglianza e fratellanza e non esiste alcuna forma di proprietà privata. Muntzer si propone di estendere l’esperimento comunitario con la spada, se necessario, all’intera Germania. L’esperimento dura pochi mesi, la repressione sarà durissima.
Nonostante le sconfitte subite dai movimenti ereticali, la dottrina escatologica sopravviverà nei secoli ed assumerà nuove connotazioni per contrastare i processi simbiotici di secolarizzazione e di modernizzazione continuamente alimentati da quella che Marx definirà: "la rivoluzione permanente capitalistica". Alla fine della prima metà del Seicento col puritanesimo, lo gnosticismo rivoluzionario irrompe di nuovo sulla scena della storia con "una sconvolgente novità: la politica rivoluzionaria – spiega ancora Pellicani – come realizzazione della volontà di Dio. (…). Per secoli la politica era stata concepita come arte cibernetica (Platone) oppure come tecnica per realizzare l’accumulazione del potere (Machiavelli). Ma a partire dalla rivoluzione culturale puritana essa fu intesa come prassi soteriologia attraversata da parte a parte dalla tensione escatologica verso il Regno di Dio in terra, quindi come attività missionaria metodicamente rivolta a sconvolgere il mondo per purificarlo".
La tensione escatologica, dopo il fallimento del rivoluzionarismo puritano, si immerge come un fiume carsico nelle viscere della storia per poi riemergere 150 dopo con le sembianze dello gnosticismo rivoluzionario giacobino. L’esperimento giacobino rappresenta il momento cruciale per il rapporto fra lo gnosticismo cristiano e la genesi della dottrina socialista. La Rivoluzione giacobina rappresenta, scrive Carlyle ne La Rivoluzione francese, " lo sforzo supremo, dopo diciotto secoli di preparazione, per realizzare la Religione Cristiana" secondo i principi formulati dal " Quinto e nuovo Evangelista, Jean-Jacques Rousseau, che invitava ciascuno ad emendare l’esistenza perversa del mondo intero". La metamorfosi del Messaggio evangelico è, ormai, compiuta: rimossi gli aspetti teologici e metafisici esso assume i tratti teleologici e terreni, ma resta inalterata la tensione escatologica e palingenetica per la distruzione del mondo corrotto e l’edificazione di un Mondo Nuovo. " Noi – proclama Robespierre il 5 febbraio 1794 –vogliamo adempiere ai voti della Natura, compiere i destini dell’umanità, mantenere le promesse della filosofia, assolvere la Provvidenza dal lungo regno del crimine e della tirannia". La società perfetta è fondata sull’uguaglianza, la fratellanza e la libertà per i credenti, ma essa prevede lo spietato annientamento dei non-credenti attraverso la pratica del terrore. "La rivoluzione è la guerra della libertà contro i suoi nemici – spiega ancora Robespierre alla Convenzione il 25 dicembre 1793 – Il governo rivoluzionario ha bisogno di una attività straordinaria proprio perché si trova in uno stato di guerra. Se la forza del Governo popolare in tempo di pace è la Virtù, la forza del Governo popolare in tempo di rivoluzione è a un tempo stesso la Virtù e il Terrore. La Virtù, senza la quale il Terrore è funesto; il Terrore, senza il quale la Virtù è impotente. Il Terrore non è altro che la giustizia pronta, severa e inflessibile. Esso è dunque una emanazione della Virtù. (…). Il Governo della rivoluzione è il dispotismo della libertà contro la tirannia".
Il movimento giacobino diventerà il modello al quale si ispireranno tutti i movimenti rivoluzionari genericamente ostili alla modernità, al processo di secolarizzazione ed alla società ad economia capitalistica.
Il passo decisivo verso la trasformazione dell’esperimento giacobino nel rivoluzionarismo socialista è compiuto da Francois Babeuf. Questi teorizza, senza rinnegare la matrice gnostica della sua ideologia, una rivoluzione ancora più radicale che distrugga, irreversibilmente, alla radice, tutte le istituzioni funzionali allo sviluppo della società capitalistica ed instauri un nuovo modello sociale governato dalla " la religione della pura eguaglianza.". Babeuf in una serie di articoli – redatti per il foglio Il Tribuno del popolo e pubblicati in piena effervescenza rivoluzionaria fino al 1797, anno in cui sarà giustiziato per aver organizzato " la congiura per l’uguaglianza" -- traccia il modello di società socialista da realizzare ed il metodo per perseguire un tale scopo. Metodo e modello che, come vedremo, ispireranno le tesi marxiane.
Col movimento babuvista cominciano a prendere forma sistematica quegli elementi teorici che costituiranno, negli anni successivi, il nucleo irrinunciabile della dottrina socialista nelle sue diverse formulazioni. L’eguaglianza è il valore prescelto quale cardine sul quale fondare la nuova società. " Vogliamo l’eguaglianza o la morte – si legge nel Manifesto degli Eguali di Sylvain Maréchal – ecco quello che ci occorre. E l’avremo questa eguaglianza reale, non importa a quale prezzo. Guai a chi volesse far resistenza a un voto così deciso! La Rivoluzione francese è soltanto un prodromo di un’altra rivoluzione, molto più vasta, molto più solenne, e che sarà l’ultima. (…). La santa impresa che organizziamo non ha altro scopo che porre termine ai dissidi civili e alla miseria pubblica".
L’eliminazione della proprietà privata è indicata da Babeuf, che trae ispirazione dalle opere di Rousseau e di Morelly, quale fattore primario per determinare la mutazione della natura umana dalla predisposizione al male verso la disponibilità al bene. " Togliete di mezzo la proprietà – si legge nel Codice della Natura di Morelly – e voi annullerete per sempre mille accidenti che conducono l’uomo a eccessi di disperazione. Io dico che, libero da questa tirannia, è assolutamente impossibile che l’uomo sia trascinato a delitti, che sia ladro, assassino e conquistatore".
Gli artefici ai quali la Storia ha affidato il compito di realizzare la società dell’uguaglianza e della fratellanza universale sono indicati da Babeuf in una minoranza di "virtuosi" che conoscono la Verità ed il Bene e che si sono "consacrati alla rivoluzione permanente". Anticipando di quasi un secolo il ricorso alla dittatura rivoluzionaria che sarà teorizzato da Marx, Babeuf afferma che la transizione dalla società corrotta a quella finalmente purificata dovrà essere realizzata dallo Stato guidato dalla minoranza degli eletti, questi costituiranno "un’autorità straordinaria e necessaria attraverso la quale una nazione può prendere possesso della propria libertà, malgrado la corruzione che consegue dalla sua antica schiavitù e i tranelli e le ostilità dei suoi nemici interni ed esterni coalizzati contro di lei".
Il babuvismo segna la definitiva metamorfosi della tensione escatologica religiosa medievale nel paradigma laico delle moderne rivoluzioni a carattere socialista.
Utopismo e socialismo
In questa sintetica ricostruzione del processo genetico della dottrina e del movimento socialista è necessario volgere di nuovo lo sguardo al passato per osservare, sinteticamente, la letteratura utopica. Essa costituisce un elemento fondamentale per la comprensione fenomeno in esame. Letteralmente il termine utopia significa "un nessun luogo", ma può anche essere inteso come "un buon luogo" (eutopia): il luogo della giustizia e dell’eguaglianza. L’Utopia – come ha notato Horkheimer – ha due aspetti: "è la critica di ciò che è e la rappresentazione di ciò che deve essere". L’utopia non raffigura esclusivamente la mappa di una società alternativa, ma rappresenta anche una critica feroce, se pur implicita, del potere e dell’ordine sociale dominante. Una critica implicita grazie alla quale, durante le repressioni scatenate dalla recrudescenza delle guerre di religione e/o dall’assolutismo monarchico, possono sopravvivere: la condanna del presente e la speranza del domani. La tensione escatologica, i propositi di palingenesi sociale, la speranza di un mondo trasfigurato, quando non possono essere espressi liberamente, sono mimetizzati e preservati nella letteratura utopica. Gli scritti utopici costituiscono una sorta di “ messaggio nella bottiglia” che gli autori affidano alle generazioni future in attesa di tempi migliori.
Il primo testo, l’Utopia di Thomas More, che ha inaugurato e dato nome all’intero genere, è stato redatto nel 1516. Utopia si compone di due parti ben distinte. Il primo libro conduce un'analisi critica spregiudicata del malessere economico e sociale che travaglia l'Inghilterra del primo Cinquecento. Ne emerge il quadro di un paese taglieggiato da una nobiltà avida e prepotente, impoverito da inutili guerre, e percorso da moltitudini di contadini in miseria espulsi dai campi e destinati al vagabondaggio, al furto, e per questi motivi alla pena capitale. La più spietata delle repressioni – settantaduemila impiccati sotto il regno di Enrico VIII – non serve a scoraggiare uomini ridotti alla più nera disperazione: solo un mutamento delle strutture sociali, secondo More, una più equa redistribzione globale dei mezzi di sussistenza può sanare un malessere tanto profondo. " Tuttavia More – spiega Luigi Firpo nella sua introduzione al testo, in una ripubblicazione del 1979 – non si arrischia a suggerire concrete proposte e preferisce delineare un modello di Stato perfetto, romanzesco eppure minuziosamente realistico, celando le istanze rivoluzionarie sotto l'apparente inconsistenza dell'opera di fantasia. ". Il secondo libro dell’Utopia è ispirato da un lucido realismo ed animato dalla fede nella bontà naturale dell'uomo e nell'illuminata efficacia della ragione. I cittadini dell'isola felice vivono in vasti nuclei familiari, ospitati in spaziose e salubri città, intenti alle opere dell’artigianato e dell'agricoltura. Tutti lavorano, ma nessuno possiede la proprietà privata dei mezzi di produzione. Non esiste proprietà: i prodotti sono versati in magazzini comuni, senza custodi, dove ciascuno si serve del necessario; i pasti sono consumati in comune in pubblici refettori. Gratuita è l'assistenza agli ammalati. L’organizzazione gerarchica è di tipo patriarcale e l'autorità degli anziani assicura la disciplina. Il governo è elettivo. I cittadini di Utopia sono per natura pacifici, ma pronti sempre alla guerra difensiva e anche all'intervento in territorio straniero, quando si tratti di abbattere tiranni o di soccorrere popoli amici oppressi. Posti su un piano di assoluta eguaglianza, ignari di conflitti sociali, gli uomini realizzano una piena solidarietà alimentata da un’economia collettivistica.
Non a caso, la maggior parte delle utopie, con caratteristiche di denuncia delle disuguaglianze sociali e portatrici di un modello di società collettivistico, si colloca fra lo l’inizio del XVI secolo e la fine del XVIII. In questo periodo storico, infatti, si compie, in Europa occidentale, la trasformazione del protocapitalismo rinascimentale in capitalismo industriale. L’analisi critica condotta dagli utopisti, nel Settecento, denuncia gli sconvolgimenti sociali provocati dallo sviluppo dei nuovi rapporti di produzione. Essi non si limitano a descrivere, con grande attenzione, la fenomenologia dei processi storici di cui sono testimoni, ma ne individuano anche i principali soggetti storici e le cause fondamentali. Essi riconoscono che le guerre, l'espropriazione della popolazione rurale, la separazione tra città e campagna, la crescente ineguaglianza nelle ricchezze, la fame e la miseria possono essere ricondotte a un comune denominatore: la ricerca del guadagno. Ma se la « malvagia avarizia di pochi senza coscienza » e il « desiderio di possedere » sono, nello stesso tempo, la radice di tutti i mali e il fondamento dell'ordine sociale esistente, una società più giusta e più felice non potrà essere instaurata (o, meglio, restaurata) se non attraverso una radicale modificazione di tale fondamento. Il modello alternativo proposto dagli utopisti è appunto una società che anticipa i tratti che caratterizzeranno, secoli dopo, il progetto socialista: nella terra di Utopia non esiste proprietà privata, la produzione e la distribuzione dei beni sono gestite dallo Stato, il mercato, ed in certi casi la moneta, sono sconosciuti. Ma non basta: oltre alla formulazione di precise e concrete proposte di giustizia economica e sociale a base solidaristica, l’ utopismo salvaguarda – come ha giustamente rilevato Mannheim in Ideologia e Utopia – la coscienza millenaristica degli anabattisti e la trasfonda nell’idea liberal-umanitaria e nell’ideologia socialista-comunista. La coscienza utopica elabora e propone una percezione del Tempo, dello Spazio e del Tutto che rende il " nessun luogo" molto simile al Paradiso in terra profetizzato dallo gnosticismo millenaristico. II "nessun luogo" vive immerso in un eterno presente. Mito ed escatologia si fondono nel crogiolo dell'immaginario per disegnare il Totalmente altro. La straziante nostalgia di un mitico Eden – mai irrimediabilmente perduto – e l'incrollabile, quanto disperato, desiderio del suo escatologico avvento fondano la Terra promessa di Utopia. Là dove le dimensioni spazio-temporali dell'essere stato, dell'essere e del divenire sono inscindibilmente racchiuse in un eterno presente. La frattura temporale è essenzialmente frattura storica. L'utopia è un piano umano per interrompere la storia, per saltare fuori dalla storia, per giungere alla fine della storia. Nella città ideale "l'uomo nuovo" potrà finalmente arrestare la "caduta" verso il Male fino a estirparne le radici. Nel suo microuniverso, l’utopiano, muovendo dal presupposto che il Male sia esterno e non inerente alla natura umana, può realizzare quella che Morelly, nel Codice della natura del 1755, indicherà come "la situazione in cui è quasi impossibile che l'uomo sia depravato o cattivo". Alla frattura spazio-temporale che isola il "nessun luogo" dal resto del mondo corrisponde una frattura morale. L'utopiano ha interrotto volontariamente il suo legame con la storia reale, poiché questa gli appariva come un processo di progressivo decadimento morale dell'umanità. Il passato, stato incivile e primitivo come quello della barbarie, vive solamente nel ricordo di qualche anziano oppure è totalmente rimosso. Le giovani generazioni della Città Nuova vivono una sola dimensione esistenziale: il presente. Tale condizione è spiegata molto bene da Bronislaw Baczko quando nel L’Utopia, spiega " il discorso sulla Città Nuova si rivela come quello che porta in sé la soluzione dell'enigma della storia e che ne illumina tutte le dimensioni : il presente genera il futuro, ma anche il vero significato del passato.". La soluzione dell'enigma della storia è la fine della storia. In proposito Raymond Ruyer afferma: "La città utopica è come un'immagine bloccata , è un porto al quale si arriva e non un viaggio del quale non si vede la meta, (...) l'ideale è là dove più nulla avviene, dove il pendolo del tempo dovrà oscillare per l'ultima volta".
Al fine di evitare ogni forma di contatto contaminante con l’esterno, Utopia è geograficamente isolata dal resto del mondo. II "nessun luogo" sorge dalle acque, sgorga dal sogno o si cela al mondo tra invalicabili montagne. La Città Ideale non è riportata da carte geografiche. Il visitatore occasionale può accedere ad essa dopo un purificatorio viaggio attraverso le acque del mare, oppure varcando la porta del sogno. «La casa stessa sembrava essere stata costruita su delle fondamenta di questo tipo: costruite da una roccia gigantesca», scrive William Hudson ne L'era di cristallo (1887), volendo descrivere la dimora dove sarà ospitato dal popolo dei cristalliti l'anonimo vittoriano Smith al suo risveglio da un sonno traumatico. E prosegue: «Per entrare in casa, bisognava salire una scalinata a gradini larghi e bassi tagliati nella stessa roccia... L'intera struttura poggiava sul peso di sedici enormi cariatidi, a loro volta sostenute da altrettanti piedistalli rotondi che erano stati scavati nella pietra massiccia».
La struttura urbana di quasi tutti gli universi utopici è ordinata secondo una precisa figura geometrica che si ripete dalla costituzione microtopica dei singoli quartieri fino all'assetto complessivo della nazione intera. Così Thomas More disegna l'ambiente architettonico della sua Utopia: «l'isola comprende cinquantaquattro città ampie e magnifiche pressoché eguali di lingua, costumi, istituzioni e leggi, tutte identiche nel tracciato e dovunque simili nell'aspetto, per quanto il sito lo consente». Analogamente ordinato il contesto abitativo tracciato da Johann Andrea nella Descrizione della repubblica di Cristianopoli (1619); «quasi tutte le case sono costruite secondo un unico modello ». Unica anche la pianta delle diverse città che Etienne Cabet descrive nel suo Viaggio in Icaria (1840), dove è stata realizzata una perfetta società socialista: «Tutte le città della Icaria... sorgono sulla medesima pianta, diversa solo per quanto riguarda gli edifìci nazionali». Lo spazio nelle immaginarie società utopiche è delimitato da linee simmetriche che lo scompongono secondo un preciso ordine tale da determinare una serie di luoghi perfettamente uguali fra loro, per cui «tutti il luoghi risultano noti dopo averne conosciuto esclusivamente uno». Un motivo di angoscia è eliminato grazie allo spazio noto e immutabile che avvolge e protegge l'attore sociale. La staticità spaziale e l'immutabilità nel tempo - come nota Jean Servier nella Histoire de l'utopie - contribuiscono a rendere gli individui partecipi dell'immortalità. L'isolamento geografico corrisponde, per gli utopiani ad un volontario esilio che li preservi dall'influenza di elementi appartenenti a una cultura "altra", e che risulterebbero contaminanti. Utopia è una società isolata, la società tutta intera – spiega Servier - forma "come un cerchio magico a protezione dell'individuo da tutti i mali e dalle conseguenze dei suoi peccati".
L'abitante di Utopia è l'uomo che ha realizzato il suo più intimo sogno: essere una particella cosciente di un Tutto Immobile. Essere come la goccia del mare che diviene frammento di nuvola e che, infine, quale stilla di pioggia, torna al mare dopo aver fecondato la terra. Essere un microelemento di un megasistema ciclico ed eterno. Consapevole che il collettivo sopravvive all'individuo, l’Io immola se stesso al leviatanico e rassicurante Noi. Questa totale adesione, volontaria ed irreversibile, contribuisce a rendere gli individui partecipi dell'immortalità. Si ritrovano negli scritti utopici le aspirazioni paradossali dei mistici : "ottenere - come osserva ancora Bronislaw Baczko - la realizzazione dell'individuo e della sua persona tramite il suo annullamento, il suo riassorbimento nell'assoluto. L'utopia concretamente realizzata ha così il compito di soddisfare la sete di assoluto". Questa tensione verso l'assoluto richiede una forma di uguaglianza, fra i membri della comunità, tale da spingere gli "ingegneri utopici" a teorizzare la distruzione di ogni forma di libertà. Ogni attimo dell'esistenza umana è regolata, nella "Città Ideale", dagli spietati meccanismi dell'ortodossia. L'idea stessa di mutamento è impensabile nell'universo utopico. Ogni possibile fattore di mutamento sociale è inibito. Strutture, norme e valori sono immodificabili. Qualunque forma di mutamento è letteralmente impensabile. "L'umanità – spiega Baczko in proposito - non dovrà più smarrirsi, cercare la propria via e fare delle scelte. Ogni mutamento sarà solo perfezionamento e una continuazione di quanto sarà acquisito e non mai un rimetterlo in discussione. (…). Gli schemi di ogni sviluppo ulteriore sono fissati, il progresso non può produrre alcuna controfinalità, non può essere che una conferma di se stesso".
L'universo utopico è esente da imperfezioni : in esso esiste una "coincidenza fra i valori e il dover essere", si è stabilito una sorta di "essere senza divenire". Gli utopiani non possono più operare scelte perché ignorano le categorie del "Bene" e del "Male". In Utopia esiste solo il "Bene" indicato dalla indiscutibile ortodossia.
L’utopiano è un uomo che rinuncia a se stesso per aderire completamente, senza riserve, all'ortodossia. In cambio non potrà mai sentirsi uno sconfitto: nella società utopica non esistono né vincitori né vinti in quanto vige il criterio d’eguaglianza secondo il quale ognuno contribuisce per le capacità possedute e riceve in proporzione ai propri bisogni. L’economia utopiana è di tipo collettivistico, sono aboliti: il mercato, la proprietà privata dei mezzi di produzione ed, a volte, anche il denaro. Lo stato detiene la proprietà dei mezzi di produzione. L'economia non è regolata dalla legge della domanda e dell'offerta. La produzione e la distribuzione dei beni è operata dallo Stato. Primo e fondamentale provvedimento statale è l'abolizione della proprietà privata e di ogni forma di possesso, denaro compreso. More racconta che a Utopia "non c'è ombra di proprietà privata", "fabbricano d'oro e d'argento... gli orinali e i vasi per ogni sporcizia", "è stata soffocata del tutto qualunque avidità di denaro grazie all'abolizione del suo uso". Nella Città del sole (1620) di Tommaso Campanella: comunione dei beni ed abolizione della maternità e della paternità. Anche nella teocratica Repubblica di Cristianopoli descritta da Andrea "nessuno possiede in proprietà una casa privata". Analogamente "il tuo e il mio sono sconosciuti nell'isola di Agiaò" scrive De Fontanelle in Storia degli agiaoiani (1768). Non diversamente in Icaria, dove – spiega Cabet - " il capitale sociale provvede anche al nostro nutrimento, a fornirci alloggi, arredamento e vestiti", dove "il denaro, l'acquisto e la vendita sono completamente inutili".
"Ripulita la tela" dal ricordo delle idee di possesso e di pluralismo economico, politico e culturale, lo Stato Utopiano avvolge e controlla, regola e uniforma la condotta della collettività: organizza l'educazione dei giovani, detta i comportamenti sessuali, fìssa l'ora dei pasti, la durata del lavoro e quella del sonno. prerequisito fondamentale per la realizzazione del Paradiso in terra è indicata l'eliminazione di ogni forma di pluralismo politico e culturale. Nell'isola immaginata da More "è delitto punito con la pena capitale discutere affari pubblici fuori dal Senato o all'assemblea popolare", mentre nella "repubblica democratica" d’Icaria è abolita la libertà di stampa: sono permessi "un solo giornale comunale, uno solo provinciale per ogni provincia, e uno solo nazionale per ogni nazione. (…). La redazione dei giornali (è affidata) a funzionari pubblici eletti dal popolo". La "legislazione ideale" non è costituita da leggi, ma da semplici ed inviolabili "regole di vita". Per chi trasgredisce le regole - come ricorda Cabet nella sua descrizione di Icaria - la punizione più severa è "l'esecrazione pubblica". Ovviamente ciò che le regole realizzano non è certo uno Stato giuridico, bensì uno Stato Etico. I legislatori utopiani sono certi, come lo era Dom Deschamp, "che gli uomini non hanno bisogno dello Stato giuridico, ma dello Stato Etico, lo Stato sociale senza leggi", in quanto "ciò che l'uomo ritrova e realizza attraverso lo Stato Etico è la sua Unità fondamentale con le cose".
I fondatori della Città Ideale sostengono di aver ultimato il cammino umano attraverso la Storia. Essi ritengono di aver raggiunto la "decima epoca" preannunciata da Condorcet, dove, " smussati gli ostacoli tra gli uomini e la verità", è possibile edificare " lo Stato Etico". Realizzare l’ordine naturale, l’unità tra gli uomini, l’unità fra questi e la natura. Insomma ricomporre l’unità fra l’essere ed il valore frantumata dall’avvento della proprietà privata e dallo spirito competitivo, fondere ogni aspetto della realtà in un unico ed immobile Grande Tutto. Essere uno – come ha efficacemente sintetizzato Friedrich Holderlin nell’Iperione – con Tutto ciò che vive!".
SOCIALISMO PREMARXISTA : SOCIALISMO UTOPISTICO
Nel quadro della rivoluzione francese, o meglio, come reazione per la delusione di essa, si mosse il primo movimento socialista della storia. Tale movimento guidato da François Babeuf (1760-1797) organizzò, fra il 1975 ed il 1976, la " congiura per l’eguaglianza", diretta a rovesciare il governo termidoriano, che aveva interrotto lo sviluppo evolutivo e progressista (secondo lo stesso Babeuf) attribuito alla rivoluzione da Robespierre. La cospirazione, che era già riuscita a raccogliere un largo seguito popolare a Parigi e nell’esercito repubblicano, fu scoperta, e buona parte degli aderenti venne arrestata. Babeuf, condannato a morte, cercò di uccidersi e fu impiccato nel maggio 1797.
Permeato di illuminismo e di razionalismo, Babeuf, dopo aver accolto nei primi anni della rivoluzione le tesi della legge agraria e sostenitore di un rigido egualitarismo, negli gli anni e soprattutto attraverso il foglio Il Tribuno del popolo affinò via via le proprie argomentazioni, giungendo alla conclusione della necessità di sollevare una rivoluzione non più semplicemente "negli spiriti", ma, dopo aver trasformato la struttura politica del potere, anche "nelle cose". Quindi, pur profondamente avvinti alla problematica etica, per cui la rivoluzione effettiva continuava a essere quella dell’uomo e nell’uomo, egli si poneva l’obiettivo concreto della lotta contro la ricchezza, a opera di tutti coloro che dalla ricchezza e tramite essa erano sfruttati e costretti all’indigenza spirituale e materiale. Infine, il suo legame con l’utopismo settecentesco gli faceva intravedere che, attraverso questa battaglia, già tanto vicina al conflitto di classe, la costruzione alternativa sarebbe stata necessariamente comunistica, derivando dalla " guerra dei ricchi contro i poveri" e i poveri non avendo altra alternativa, a meno di non riproporsi quali "nuovi ricchi", se non la gestione comunitaria della società. Questa aspirazione comunistico – egualitaria, già di tipo moderno, veniva sintetizzata nel Manifesto degli eguali, che avrebbe dovuto costituire il programma della congiura.
Veramente originale fu l’elaborazione del concetto di "avanguardia", che tanto spazio occupò successivamente nel marxismo – leninismo, per merito del pisano Filippo Buonarroti (1761 – 1837), storico delle vicende del babouvismo attraverso la Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf del 1828, e attivissimo in tutto il lungo corso della vita quale organizzatore di leghe segrete rivoluzionarie e con intenti sociali, in Francia, in Svizzera, in Belgio e in Italia. Egli teorizzò la figura del "rivoluzionario di professione", essendo egli stesso tale, facendone un essere che doveva necessariamente operare a contatto con le masse popolari, nonostante le svariate salvaguardie da assumere per impedire le sopraffazioni poliziesche. Scopo del rivoluzionario e dei dirigenti del movimento era il cambiamento sociale della società, da attuarsi gradualmente dopo la conquista del potere, tramite una guida rivoluzionaria concentrante su di sé ogni autorità di intervento in tutti i campi della vita politico – economica, ed esercitante le funzioni di una dittatura popolare, condotta in nome e nell’interesse della collettività per un periodo delimitato di tempo. Per Buonarroti l’ideale democratico tramandato dalla rivoluzione non aveva un senso se non veniva accostato all’idea di eguaglianza: ma questa, come già per Babeuf, era concepita soltanto nell’ambito della "classe", essendo propria, scrivevano Marx ed Engels, delle "rivendicazioni del proletariato". Ed essi, nella Sacra famiglia, così sintetizzavano l’intero corso del movimento babouvista: "(…) La rivoluzione francese ha suscitato idee che portano oltre le idee di tutta la vecchia situazione del mondo. Il movimento rivoluzionario, che è cominciato nel 1789 (…) e che infine è stato momentaneamente sconfitto con la cospirazione di Babeuf, aveva suscitato l’idea comunista, che l’amico di Babeuf, Buonarroti, dopo la rivoluzione del 1830, ha introdotto nuovamente in Francia. Questa idea conseguentemente elaborata, è l’idea della nuova situazione del mondo".
Il primo socialismo o protosocialismo copre l’arco temporale compreso fra il 1789 e il 1848. La definizione di socialismo utopistico fu coniata da Karl Marx in varie opere fra le quali:
Miseria della filosofia (1847)
" questi teorici non sono che utopisti, i quali, per soddisfare i bisogni delle classi oppresse, improvvisano sistemi e ricorrono le chimere di una scienza rigeneratrice "
SOCIALISMO UTOPISTICO FRANCESE
Saint Simon : la scienza e la tecnica come base della nuova società
Claude Henri de Saint-Simon ( 1760 – 1825 ) avvertì, prima di chiunque altro, la trasformazione della società tradizionale in società industriale, individuando alcuni di quei grossi problemi sui quali, in seguito, si cimenteranno non solo i positivisti, ma soprattutto Marx e i marxisti. Il primo scritto di Sain-Simon, del 1802, sono le Lettere di un abitante di Ginevra ai suoi contemporanei; del 1817 è la sua opera più importante: L’industria; del 1825 è Il nuovo Cristianesimo.
L’idea di fondo di Saint-Simon è quella secondo la quale la storia è retta da una legge di progresso. Ma tale progresso non è lineare, in quanto la storia umana è un alternarsi di periodi organici e di periodi critici. Le epoche organiche si fondano su di un insieme di principi ben solidi e si sviluppano ed operano all’interno di essi; ma accade che, ad un certo momento, lo sviluppo della società ( nelle idee, nei valori, nella tecnica) invalida i principi su cui essa prima si fondava stabilmente, e allora abbiamo quelle idee che Saint-Simon chiama epoche critiche. Così, come il monoteismo mise in crisi l’età organica del politeismo, la Riforma e poi la Rivoluzione francese e specialmente lo sviluppo della scienza hanno posto in crisi l’età organica del Medioevo. Attraverso uno schema siffatto, Saint – Simon rovescia alcuni giudizi storici operati dall’Illuminismo. L’Illuminismo, in nome dei lumi della Ragione, aveva giudicato negativamente il Medioevo cristiano, che Saint – Simon, invece, vede come un’epoca organica e stabile governata dalla fede; l’Illuminismo aveva, inoltre, giudicato positivamente l’età moderna, ed in questa Saint –Simon vede un’epoca critica, il cui caos spirituale e sociale è frutto del crollo dei valori del Medioevo.
Ora, però, non si tratta di andar indietro. Quel che occorre è spingersi avanti, verso una nuova epoca organica, ordinata dal principio della scienza positiva. Il progresso scientifico, secondo Saint –Simon, avrebbe dunque distrutto, quelle dottrine teologiche e quelle idee metafisiche che stavano a fondamento dell’epoca organica del Medioevo; e il mondo degli uomini potrà venir riorganizzato e ordinato solo sulla base della scienza positiva. In questa nuova epoca organica il potere spirituale sarà degli uomini di scienza "i quali possono predire il più gran numero di cose", mentre il potere temporale apparterrà agli industriali, vale a dire "agli imprenditori di lavori pacifici che occuperanno il più gran numero di individui". Tutto ciò per dire che l’affermazione dell’industrialismo rende impossibile il potere teocratico – feudale del Medioevo, dove la gerarchia ecclesiastica deteneva il potere spirituale, e quello temporale era nelle mani dei guerrieri. Nella nuova epoca agli ecclesiastici si sostituiscono gli scienziati e ai guerrieri gli industriali. La scienza e la tecnologia, infatti sono oggi in grado di risolvere i problemi umani e sociali:
"Esiste – scrive Saint – Simon – un ordine di interessi sentito da tutti gli uomini e sono gli interessi che si riferiscono allo sviluppo della vita e del benessere. Quest’ordine di interessi è il solo su cui gli uomini debbano deliberare ed agire in comune, il solo dunque in funzione del quale può essere esercitata un'azione politica, il solo che può essere preso in considerazione come misura nella valutazione di tutte le istituzioni e di tutti gli affari politici. La politica è dunque la scienza della produzione, cioè la scienza che ha per obiettivo l’ordine di cose più favorevole a tutti i tipi di produzione. La politica, pertanto, è scienza della produzione, per cui non è più abbandonata al capriccio delle circostanze".
Gli uomini, scrive Saint – Simon, non possono essere felici "che soddisfacendo i loro bisogni fisici e i loro bisogni morali". E questo è appunto il fine cui tendono "le scienze, le belle arti e i mestieri", e fuori da questo esistono solo "i parassiti e i dominatori".
Al fine di illustrare la necessità che il potere politico passi nelle mani dei tecnici e degli scienziati e dei produttori, Saint – Simon adduce una nota parabola: se la Francia perdesse i tremila individui che ricoprono le cariche politiche, religiose e amministrative più importanti, lo Stato non subirebbe alcun danno e tali persone sarebbero facilmente rimpiazzabili; ma, fa presente Saint –Simon, se la Francia perdesse i tremila suoi più capaci scienziati, artisti e artigiani, essa "cadrebbe subito in uno stato di inferiorità di fronte alle nazioni di cui è ora la rivale e continuerebbe a restare subalterna nei loro confronti fino a quando non riparerà la perdita e non le rispunterà la testa". E’ il pensiero positivo, quindi, il principio ordinatore della nuova società, e questo principio eliminerà "i tre principali inconvenienti del sistema politico vigente, e cioè l’arbitrio, l’incapacità e l’intrigo".
Il progresso verso la nuova età organica, dominata dalla filosofia positiva, è un progresso inevitabile. E nel suo ultimo scritto, il Nuovo Cristianesimo, Saint – Simon delinea l’avvento della futura società come un ritorno al Cristianesimo primitivo. Essa sarà una società, in cui la scienza costituirà il mezzo per raggiungere questa fratellanza universale che "Dio ha dato agli uomini come regola della loro condotta". E, in base a questa regola, gli uomini "devono organizzare la propria società nella maniera che possa essere la più vantaggiosa per il maggior numero di persone; in tutti i lavori, in tutte le azioni, gli uomini devono proporsi lo scopo di migliorare il più rapidamente e il più completamente possibile l’esistenza morale e fisica della classe più numerosa. Io dico – proclama Saint – Simon – che in questo, e soltanto in questo, consiste la parte divina della religione cristiana".
In Francia la dottrina di Saint –Simon ebbe una diffusione non indifferente. Essa dette dignità filosofica al problema sociale; contribuì a rendere, più viva la coscienza della rilevanza sociale della scienza e della tecnica; esaltò l’attività industriale bancaria; l’idea dei canali di Suez e di Panama è un’idea dei Sansimonisti; Saint–Simon e i suoi discepoli condussero una decisa campagna contro il parassitismo e l’ingiustizia, e per favorire la giustizia, insistettero sull’idea di eliminare la proprietà privata, di abrogare il diritto di eredità (in modo da abolire “il caso della nascita”), di pianificare l’economia, sia quella agraria che l’economia industriale. E il supremo criterio che avrebbe dovuto informare l’azione dello Stato doveva essere per Saint–Simon il seguente: da ciascuno secondo la sua capacità, a ciascuno secondo le sue opere. La prima avrebbe dovuto essere la regola della produzione, la seconda quella della ripartizione. Il movimento del Saint – Simon diede origine, nei discepoli, ad una specie di chiesa (il cui pontefice era Barthèlemy – Prosper Enfantin, il cosiddetto “padre” Enfantin), che dilaniata dalla scissione delle due correnti interne, una guidata da Lesseps (che poi realizzerà il canale di Suez) e l’altra da Enfantin, non durò a lungo. E in effetti, la coesione degli elementi tecnico scientifici e di quelli mistico – romantici non era facile. Tuttavia, è proprio dal Sansimonismo che originarono le correnti socialistiche, la più importante delle quali è quella che si richiama a Charles Fourier, pur se non dobbiamo dimenticare “ il volontarismo rivoluzionario” di Louis Auguste Blanqui (1805 – 1881) e “il riformismo di Louis Blanc (1811 – 1882). Il primo fu un cospiratore, il secondo un riformatore. Blanqui pensava che la volontà rivoluzionaria, incarnata nella cospirazione armata, fosse onnipotente. Blanc, invece, fu dell’avviso che l’azione della Stato attraverso riforme graduali, avrebbe eliminato l’ineguaglianza, lo sfruttamento e soprattutto la disoccupazione. Blanqui confidava nella lotta armata, Blanc nell’azione dello Stato. E se le origini del primo si possono rintracciare in Babeuf, quelle di Blanc si possono sicuramente ritrovare in Saint – Simon.
Charles Fourier e il “ mondo nuovo societario ”
Charles Fourier (1772 – 1837) fu discepolo di Saint – Simon e autore di scritti che, nella loro stravaganza e genialità, offrono anche spunti profondi alla meditazione storica e morale. L’idea centrale del Fourier è quella per cui esiste nella storia un grandioso piano provvidenziale dal quale non possono essere esclusi l’uomo, il suo lavoro e la maniera di costituirsi della società. Ora, la Provvidenza ha messo in tutta l’umanità "le stesse passioni>. E questa "attrazione passionale" -- "la sola interprete conosciuta tra Dio e l’universo" -- non può venir frustrata e repressa. La legge di attrazione terrestre, scoperta da Newton, può venir generalizzata in maniera da abbracciare anche la vita degli uomini: le passioni umane sono “sistemi di attrazione”, e devono, quindi, venir soddisfatte. Per questo, l’organizzazione sociale, se vuol rispettare il piano armonico di Dio, deve rendere attraente il lavoro, verso cui l’uomo si sente chiamato. Talchè, piuttosto che ostacolare la naturale tendenza al piacere, occorre utilizzarla in vista del massimo rendimento.
Senonchè, sostiene Fourier, le tre grandi epoche storiche che si sarebbero avute sino ad oggi – quella dei Selvaggi, quella dei Barbari e quella dei Civilizzati – avrebbero proprio ostacolato l’armonioso sviluppo delle passioni umane, con tutta quella congerie di conflitti e di dissesti da cui non è immune la nostra società ”civilizzata”.
La civilisation era una grande cosa per gli Illuministi (progressivo perfezionamento materiale e spirituale dell’umanità), ma per Fourier la “civiltà” significa il trionfo della menzogna come è dimostrato dal commercio, a causa del quale le merci passando di mano in mano, aumentano di prezzo ma non di valore. In un viaggio tra Rouen e Parigi, avvenuto nel 1798, Fourier aveva notato differenze nel prezzo delle mele in località dallo stesso clima. Questo fatto lo convinse della nocività che scaturisce dall’attività svolta dai mediatori commerciali (Fourier fu anche rappresentante di commercio). Persuaso che accanto alle mele malefiche di Adamo e di Paride, ci fosse anche la mela benefica di Newton, Fourier volle aggiungere a quest’ultima anche la sua. Per lui, è la “civiltà” che – attraverso il regime della libera concorrenza, dove ognuno persegue il proprio interesse senza minimamente badare a quello degli altri e della comunità – accresce la miseria, pur essendo i beni disponibili in maggior quantità. E, d’altro canto, non solo l’economia è perversa, ma anche la morale. Ne Il nuovo mondo industriale (1829), Fourier scrive che nello stato attuale l’uomo è in guerra con se stesso, le sue passioni urtano tra loro; e quella scienza che si chiama morale pretende di reprimerle. Ma, fa presente Fourier, "reprimere non è armonizzare" e lo scopo è, invece, quello "di arrivare al meccanismo spontaneo delle passioni, senza reprimere alcuna". La morale attuale secondo Fourier, blocca le passioni e genera così l’ipocrisia (ad es. l’infedeltà della donna o i sotterfugi dei figli, ecc.). Essa è la sorgente della menzogna. Ma "sarebbe assurdo che Dio avesse dato alla nostra anima impulsi inutili se non addirittura nocivi".
Tutte queste considerazioni conducono Fourier a sostenere che le passioni o ”attrazioni” non debbono venir coartate, ma liberate e finalizzate al loro rendimento massimo. Fourier fu dell’avviso che l’organizzazione adatta a tal fine fosse la “falange” gruppo di circa 1600 persone che vivono in un “falansterio”. I falansteri sono unità agricolo – industriali, dove le abitazioni sono alberghi e non caserme, e dove ciascuno trova occasioni svariate per soddisfare le sue inclinazioni. Le donne sono equiparate agli uomini; la vita familiare è abolita, giacché i bambini vengono educati dalla comunità; scompare la fatica del lavoro domestico. Nel falansterio vige la totale libertà sessuale. Il bordello diventa, nel Nuovo Mondo, una istituzione di tutto rispetto. Nessuno sarà vincolato ad uno specifico lavoro. Ognuno produrrà ciò che gli piace produrre. Tuttavia, per evitare la monotonia della ripetitività, ciascun individuo imparerà almeno quaranta attività professionali e cambierà lavoro più volte al giorno. I lavori spiacevoli e sporchi (come pulire le cloache e altre cose del genere) verranno affidate ai bambini, i quali provano grande piacere nello sguazzare nella sporcizia.
Sono queste, dunque, le premesse che dovrebbero permettere il passaggio all’età dell’ Armonia universale, all’età del Mondo Nuovo Societario. In questo Mondo Nuovo Societario – destinato a durare molto più a lungo delle epoche precedenti – tutti potranno soddisfare le dodici passioni fondamentali: le cinque legate ai sensi, le quattro passioni affettive (amicizia, amore, ambizione, familismo ) e le tre passioni distributive (la passione per l’intrigo o “cabalistica”; quella per il cambiamento o “farfallina” ; e quella per la combinazione degli istinti o “composita”);. Le attività del falansterio saranno dirette da un “unarca”; Fourier però avversa la rigidità del sistema di Owen e contrariamente al Saint – Simon, il quale con il suo “consiglio industriale” centralizza il potere, Fourier con i falansteri lo decentralizza. Nel falansterio il lavoro dovrà essere attraente: "esso fornirà, forse, esche più seducenti di quelle che adesso sono le esche delle feste, dei balli e degli spettacoli". Anzi la gente troverà più soddisfazione nel lavoro che nelle feste e nei balli o spettacoli "offerti nelle ore delle sedute industriali". In questo modo in “Armonia” – così si chiamerà la società futura – il problema della produzione è tranquillamente risolto e, parimenti, data la sovrabbondanza dei prodotti, non esisterà il problema della distribuzione.
Non dobbiamo dimenticare che alcuni discepoli del Fourier tentarono di realizzare il suo programma. E si costituirono delle falangi in Europa e in America. Gli esperimenti fallirono, mostrando il carattere utopico delle idee di Fourier. E, tuttavia, negli anni più recenti, Fourier è stato ripreso in considerazione nel senso che avrebbe precorso concezioni per alcuni versi non lontane da quelle, per es., di Eros e civiltà di Herbert Marcuse.
SOCIALISMO UTOPISTICO INGLESE
Il maggior critico della rivoluzione industriale in Inghilterra fu l’industriale Robert Owen (1771- 1858), uno dei più significativi esponenti del socialismo premarxsistico, questi non assunse nei confronti del processo di industrializzazione un atteggiamento meramente negativo, bensì riformatore.
Capitano d’industria di successo, filantropo, fautore di una coraggiosa politica assistenziale nei confronti dei propri dipendenti di New Lanark. In campo nazionale, egli dettò una legislazione sul lavoro molto avanzata. Attraverso il suo insegnamento, i suoi giornali e la sua propaganda comunitaria, egli ispirò la fondazione di colonie socialiste in America o, negli ultimi lustri di vita, anche in patria. Owen dette vita a un movimento vasto e articolato – con organizzazioni indipendenti e nuclei di prevalente carattere sindacale – al quale può esser attribuita la qualifica di socialista. Tale movimento, in effetti, costituì la base della successiva costruzione del socialismo– laburismo inglese, che nel pensatore vide e individua tuttora la maggiore fonte dottrinale.
Owen considerava nella sua generalità la società industriale capitalistica, e voleva agire su di essa per riformarla non solo nelle strutture economiche, ma anche nella vita etica: l’insegnamento oweiano voleva essere, ed era perciò, prevalentemente "morale", perché si proponeva di agire sull’uomo, in particolare sull’individuo all’inizio della sua vicenda sulla terra, sul fanciullo cioè, e tramite la trasformazione di questi egli riteneva si sarebbe giunti a mutare la società nel complesso. Le parti più incisive dell’insegnamento sono rappresentate dagli studi sull’educazione intellettuale e sociale dei giovani, mentre paiono più caduche le argomentazioni tipicamente comunitarie, come ad esempio anche l’attività pratica in questo settore, col tentativo presto fallito di fondare in America, negli anni ’20, la colonia di New Harmony.
La grande scoperta di Owen, nel campo della pedagogia, fu d’aver stabilito che l’uomo non modella da sé il carattere, la coscienza, bensì li riceve dall’ambiente entro il quale vive: perciò, ne arguiva, modificando questo si sarebbe trasformata dal profondo la natura dell’uomo.
L’insegnamento di Owen fu interclassistico, e le sue stesse proposte di organizzazione sindacale guardavano all’appoggio diretto e immediato dei capitalisti, dei "potenti", ai quali egli esplicitamente si rivolse negli "appelli ai ricchi" a nome "dei produttori di tutte le ricchezze".
Soprattutto ad Owen si deve la creazione della National Consolidated Trade Union (1834).

INTRODUZIONE AL MARISMO*
*(Estratto da: L. Pellicani, Introduzione a Marx, Ed. Cappelli, Firenze 1969)
KARL MARX ( 1818 – 1883 )
" Non è la coscienza che determina la vita, ma è la vita che determina la coscienza " ( L’ ideologia tedesca)
L’ ANTROPOLOGIA
( ovvero: comprendere l’uomo nel suo essere nel mondo )
Il lavoro
L’uomo è " l’insieme dei rapporti sociali ", cioè il complesso delle concrete relazioni che egli ha con la natura e con gli altri uomini. Queste relazioni sono esteriori, pratiche, oggettive e non si possono ridurre, come pretendeva l’idealismo, alla sfera dell’interiorità spirituale.
Il lavoro ( Praxis) è l’attività pratica, sensibile, trasformatrice e creatrice al di là della quale sarebbe impossibile risalire: " la materia del lavoro e l’uomo quale soggetto sono tanto il risultato che il punto di partenza del movimento ", sicché " come la società stessa produce l’uomo in quanto uomo, così essa è prodotta da lui " ( Manoscritti economici filosofici ) . Il lavoro è l’attività creatrice e autocreatrice.
Trasformando e umanizzando la natura, l’uomo modifica le sue condizioni materiali di vita e modifica il suo stesso essere e le sue manifestazioni esteriori ( usi, costumi ), nonché il suo modo di pensare e i suoi atteggiamenti di fronte al mondo e agli altri, per cui: " tutta la così della storia universale non è che la generazione dell’uomo dal lavoro umano ".
Marx contesta ad Hegel di aver considerato esclusivamente " il lavoro spirituale astratto ", mentre egli sostiene – ribaltando il punto di vista hegeliano – che il lavoro deve essere considerato come " attività sensibile umana ", concreto, pratico, materiale.
L’alienazione economica
Hegel ha indicato il lavoro come " lavoro spirituale astratto" e lo ha giudicato positivo, egli non si è reso conto – secondo Marx – che tutta la storia dell’umanità ne testimonia l’aspetto negativo, cioè l’alienazione dell’uomo, il suo divenire estraneo a se stesso e agli oggetti da lui creati. Egli individua l’origine di tale processo di estraniazione nella divisione del lavoro. Con la divisione del lavoro, il lavoratore perde il controllo degli strumenti di produzione che passano nelle mani dei proprietari. Allora la società si scinde in due gruppi: da una parte i possidenti e dall’altra i lavoratori che per vivere e lavorare sono costretti ad accettare le condizioni di vita che i primi impongono loro. Così si apre una dolorosa frattura nella società umana: sorgono le classi con i loro distinti ed irriducibili interessi e, conseguentemente, nasce lotta sorda ed implacabile di coloro che hanno e di coloro che non hanno e sono posseduti.
L’importanza dell’opera di Marx non consiste tanto nell’aver denunciato le ingiustizie sociali, quanto nell’aver elaborato una teoria dell’alienazione che è universalmente valida poiché permette di individuare – e condannare – tutte le forme di mortificazione del lavoro umano, siano esse feudali, capitalistiche o comunistiche.
L’alienazione ideologica
Il concetto chiave dell’antropologia marxiana è il lavoro alienato. Tutte le manifestazioni spirituali dell’uomo – da lui concepite " come semplici riflessi fantastici " delle condizioni materiali di vita e del lavoro estraniato – sono affette dal medesimo vizio: sono alienate ed alienanti. L’alienazione, secondo Marx, non investe dunque soltanto il lavoro, bensì anche, e soprattutto, i prodotti spirituali e le attività civili della società. L’alienazione è la "legge dominante" della società divisa in classi e ad essa non può sfuggire nessuna espressione dell’attività umana: " religione, famiglia, Stato, diritto, morale, scienza, arte, ecc. sono soltanto particolari modi della produzione e cadono sotto la sua legge naturale".
Marx concepisce l’origine della religione come proiezione fantastica dei desideri e dei bisogni umani in un essere trascendente: " La religione è il frutto della impotenza dell’uomo di fronte alla natura: la religione è il gemito della creatura oppressa, l’animo di un mondo senza cuore, così com’è lo spirito di una condizione di vita priva di spiritualità. Essa è l’oppio del popolo ".
L’unica fonte della civiltà è il lavoro materiale. Le produzioni spirituali dell’uomo sono semplici manifestazioni di una deficienza di fondo che affligge la società umana, esse spariranno necessariamente quando l’uomo riuscirà a superare questa deficienza e a dis-alienarsi.
All’ homo sapiens, tipica figura della filosofia idealistica, Marx sostituisce l’ homo faber.
L’alienazione politica
Si è visto come, secondo Marx, l’alienazione economica sia la fonte unica dell’alienazione spirituale dell’uomo. La genesi e il significato dei fenomeni politici ed ideologici va trovata nelle relazioni concrete, pratiche che gli uomini hanno fra loro, cioè nei rapporti sociali.
L’alienazione politica, come l’alienazione ideologica, è una derivazione dell’alienazione economica.
Non è lo Stato che determina l’organizzazione sociale, bensì è l’organizzazione sociale che determina lo Stato,
Marx rifiuta categoricamente la filosofia politica hegeliana. Essa si risolve in una mistificazione idealistica che tende a presentare lo Stato, il diritto e le istituzioni politiche come espressioni della Giustizia e del Bene Comune, mentre essi altro non sono che gli strumenti attraverso i quali le classi possidenti fanno valere i loro interessi materiali. Ciò che rende inconciliabili i contrasti di interessi fra le classi è la proprietà privata. La proprietà privata scatena la lotta fra gli uomini, li rende nemici fra loro e li oppone in un irriducibile conflitto di interessi.
Ciò porta Marx a considerare la società borghese come "il principio realizzato dell’individualismo" l’esistenza individuale è il "suo scopo ultimo" e la sua divisa è "la libertà dell’uomo egoista".
"L’egoismo è (l’unico) principio della società civile (borghese)", il suo legame che unisce gli uomini gli uni agli altri è il bisogno pratico. Nasce allora la potenza irresistibile del denaro quale espressione sociale dell’egoismo
Il risultato di una simile divinizzazione e mitizzazione della proprietà privata e del denaro è alienante e mistificante ad un tempo. L’esistenza umana si reifica (si riduce a cosa, merce).
Il superamento di codeste contraddizioni sarà concretamente possibile quando sparirà la separazione fra vita privata e vita pubblica, fra uomo egoistico e uomo sociale.
Marx – come si è visto – fa sua codesta idea, ma non accetta il presupposto metafisico dal quale deriva tutto il sistema hegeliano. Convinto che "l’alienazione corre verso la sua soppressione" e che "la soppressione dell’ alienazione segue la stessa via dell’auto – alienazione". Poiché l’essenza dell’essere umano consiste nella sua prassi (lavoro materiale), l’uomo per superare l’alienazione deve dis – alienare la sua prassi, deve sopprimere il lavoro estraniato. Il che vuol dire che il sorgere della divisione del lavoro e della proprietà privata è nello stesso tempo l’atto di nascita del lavoro estraniato e quindi dell’alienazione umana. Di conseguenza, solo la soppressione della proprietà privata potrà sanare la dolorosa scissione apertasi nel seno della società umana.
Marx considera il comunismo come la "reintegrazione o (il) ritorno dell’uomo a se stesso come (la) soppressione dell’umana autoalienazione". Il comunismo è il regno in cui l’uomo potrà realizzare pienamente se stesso, libero da ogni costrizione e da ogni mortificazione. " Il comunismo – si legge nei Manoscritti – in quanto effettiva soppressione della proprietà privata quale autoalienazione dell’uomo (è) la reale appropriazione dell’umana essenza dell’uomo e per l’uomo. (Esso è) il ritorno completo, consapevole, compiuto all’interno di tutta la ricchezza dello sviluppo storico, dell’uomo per sé quale uomo sociale, cioè dell’uomo umano. Questo comunismo è, in quanto compiuto naturalismo, umanismo, e in quanto compiuto umanismo, naturalismo. Esso è la vera soluzione del contrasto dell’uomo con la natura e con l’uomo; la verace soluzione del conflitto, fra esistenza ed essenza, fra oggettivazione ed affermazione soggettiva, fra libertà e necessità, fra individuo e genere. E’ il risolto enigma della storia e si sa come tale".
Ed ancora: "l’intero movimento della storia è… il reale atto di generazione del comunismo…nel suo movimento economico la proprietà privata si avvia da sola verso la sua dissoluzione".
Nella filosofia marxiana tutto accade come se l’umanità sia un unico, gigantesco essere che ha perduto se stesso e che cerca faticosamente di ri – congiungersi con la sua essenza e in essa ri–conoscersi. Il processo mediante il quale l’umanità cerca di ritrovare se stessa in modo consapevole è il comunismo che sa di essere la "negazione della negazione, e perciò è il momento reale – e necessario per il processo storico – dell’umana emancipazione e restaurazione".Marx non solo pronostica la estinzione della Stato, una volta che la soppressione della proprietà privata avrà eliminato ogni motivo di dissenso fra le classi, ma annuncia con la stessa sicurezza l’inevitabile estinzione della religione, della filosofia e in genere di ogni manifestazione spirituale dell’uomo.
DALLA PRIMA INTERNAZIONALE ALLA SVOLTA SOCIALDEMOCRATICA
Prima internazionale
Fondata con la denominazione di Associazione internazionale degli operai nel 1864 a Londra, adottò lo statuto e il programma che erano stati elaborati da Marx ed ebbe il compito di costituire un centro di informazioni generali per le sezioni nazionali e locali della classe operaia, che si costituivano nei vari paesi.
I primi anni di vita dell’Internazionale furono poveri di successi e travagliati da una serie di contrasti radicali, soprattutto fra i seguaci di Marx e quelli di Proudhon, attorno ai grandi problemi teorici, strategici e tattici. Ma, a partire dal 1868, il suo prestigio fra gli operai crebbe di colpo e contemporaneamente essa incominciò a suscitare le apprensioni delle classi dominanti e dei governi, i quali la consideravano una pericolosa centrale di sovversione. Ciò che soprattutto colpì i contemporanei fu la passione religiosa che animava gli internazionalisti e la grandiosità del loro progetto fondamentale: non già una semplice correzione delle strutture di questa o di quella società, bensì la rigenerazione materiale e morale di tutta quanta l’umanità. Con questo spirito messianico e con la convinzione apocalittica dell’imminenza della rivoluzione socialista, l’Internazionale nel giro di pochi mesi estese la sua influenza anche su paesi, quali l’Italia e la Spagna, nei quali il movimento operaio era assai poco sviluppato.
Nel 1871 gli operai di Parigi ( in gran parte proudhoniani e blanquisti ) insorsero e proclamarono la Comune, che dai governi borghesi fu considerato come una creatura dell’Internazionale. Gli internazionalisti si assunsero volentieri il compito di difendere le ragioni e l’azione dei comunardi e Marx stesso – dopo una prima esitazione – scrisse un breve studio ( La guerra civile in Francia ) nel quale presentò la Comune come " l’araldo di una nuova società ".
Alla repressione dell’insurrezione seguì su scala europea una persecuzione sistematica dei leaders dell’Internazionale.
Inoltre l’organizzazione continuava ad essere dilaniata dalle lotte tra le diverse correnti ( marxisti, anarchici, blanquisti, mazziniani, proudhoniani, ecc.). Nel 1871, al congresso dell’Aia, gli anarchici furono espulsi e formarono l’internazionale anarchica, che si sciolse nel 1879. La prima internazionale fu sciolta nel 1876.
Le diverse anime della Prima internazionale.
Michail Bakunin (1814 – 1876) opponeva alla disciplina e all’organizzazione unitaria ( centralismo democratico ), raccomandata da Marx, una linea spontaneistica e libertaria. Per tale motivo negava l’utilità dei partiti politici, del parlamentarismo e di qualunque forma di potere costituito. L’apostolato di Bakunin non era diretto esclusivamente alla componente operaia come classe eletta dalla Storia per la rigenerazione dell’umanità, ma, anche, al sottoproletariato miserabile e ai braccianti agricoli. Inoltre rigettava con estrema determinazione la fase “ transitoria “ della dittatura del proletariato.
Il proudhonismo si fondava su due principi: la cooperazione e la reciprocità: da ciascuno secondo le proprie capacità a ciascuno secondo i propri meriti e non , quindi, " secondo i propri bisogni ". Pierre Joseph Proudhon (1809 –1865) è stato il primo che ha tentato di coniugare l’idea di socialismo con il mercato. Egli ha indicato come possibile la costruzione di un modello di società socialista policentrica e quindi regolata dalla logica pluralistica. Egli, già nel 1840, denunciava il carattere socialmente regressivo della soluzione comunista: " ll comunismo è oppressione e schiavitù " ( Che cos’è la proprietà ? ) e che la " transizione è eterna " ( Sistema delle contraddizioni economiche ).
Proudhon tentava di coniugare la libertà individuale con il socialismo; la concorrenza con la solidarietà sociale; il principio anarchico con il bisogno fisiologico di ordine. Il mutualismo in economia ( proprietà dei mezzi di produzione divisa fra le maestranze ) ed il federalismo in politica ( frantumazione del potere statale a piccole federazioni autonome ) sono le idee che permettono a Proudhon di uscire dal dilemma paralizzante: liberalismo o socialismo.
Seconda internazionale
Fondata a Parigi nel 1889, la seconda internazionale fu sin dall’inizio lacerata dai contrasti tra radicali e revisionisti. Infatti il congresso costitutivo fu dominato dai socialdemocratici tedeschi, il più forte partito proletario, diviso , tuttavia, tra la corrente revisionista guidata da Eduard Bernstein ( 1850 – 1932 ) e quella ortodossa di Karl Kautsky ( 1854 – 1938 ).
Gli anarchici furono ancora una volta formalmente esclusi dall’associazione. Aderirono, invece, alla Seconda Internazionale i nuovi partiti socialisti che venivano costituendosi ( il Partito Socialista Italiano fondato nel 1892; il Partito laburista inglese fondato nel 1893 ).
Il programma di massima fu, per tutte le componenti, quello marxista della conquista del potere finalizzata all’instaurazione d’una società socialista senza escludere l’azione volta al raggiungimento di graduali riforme misurate secondo i criteri dell’opportunità e della possibilità. Anche se restavano, nella sostanza, due anime: quella rivoluzionaria e quella riformista. Esse convivevano sia nell’ambito dei singoli partiti che nell’ambito dei militanti. Comunque sulla linea rivoluzionaria – intesa come metodologia per la presa del potere – prese il sopravvento quella legalitaria, e sempre più si fece distinzione tra la meta finale ( che restava l’eliminazione dello Stato borghese e della proprietà privata ) e le riforme graduali e di struttura, per cui si cominciò a ritenere possibile la collaborazione con le correnti progressiste della borghesia.
Il programma formulato ad Erfurt nel 1891 dalla socialdemocrazia tedesca ispirò tutta l'opera della seconda internazionale. Gli obiettivi rivoluzionari furono proiettati in un futuro lontano e passarono in primo piano una serie di mete da raggiungersi nell’immediato, tra queste: il suffragio universale, il sistema elettorale proporzionale, l’istituzione di un esercito di popolo al posto di quello professionale, abrogazione delle leggi restrittive della libertà personale, parità della donna rispetto all’uomo, dichiarazione del carattere privato di tutte le religioni, assistenza medica gratuita, giornata lavorativa di otto ore, gestione pubblica delle assicurazioni sociali per l’invalidità, la vecchia, gli infortuni sul lavoro.
La Seconda Internazionale crollò nel fragore della guerra. Nonostante il congresso di Stoccarda del 1907 avesse decretato l’intransigente opposizione alla guerra, quando nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale, l’organizzazione si frantumò in quanto i singoli partiti aderirono alla politica dei loro governi.
La frattura tra i rivoluzionari di Lenin e di Rosa Luxemburg e i socialisti patrioti divenne insanabile. La corrente rivoluzionaria diede vita – dopo la Rivoluzione d’Ottobre – nel 1919 alla Terza Internazionale, mentre a Vienna i socialisti tedeschi, svizzeri e austriaci davano vita all’Unione internazionale socialista, che al congresso di Amburgo del 1923 si fuse con la ricostituita Seconda Internazionale, nella quale erano confluite le diverse tendenze socialiste.
Nel secondo dopoguerra, con il congresso di Francoforte sul Meno nel 1951, è stata costituita l’internazionale socialista.
APPROFONDIMENTI CONCETTUALI
Socialdemocrazia
Socialdemocrazia è, attualmente, un termine per designare quei movimenti socialisti che intendono muoversi rigorosamente ed esclusivamente nell’ambito delle istituzioni liberaldemocratiche e accettano, senza riserve anche se entro certi limiti, la funzione insostituibile del mercato e della proprietà privata. Questa definizione di socialdemocrazia corrisponde di fatto con quella di riformismo socialista.
In realtà le cose non sono state sempre in questi termini. I socialdemocratici, fondatori della Seconda Internazionale, non ritenevano di essere dei riformisti, ma rivendicavano con fierezza la loro scelta rivoluzionaria: " la socialdemocrazia è un partito rivoluzionario, non un partito che fa le rivoluzioni" chiariva Karl Kautsky ( 1854 – 1939 ) nella sua veste di leader assoluto del socialismo mondiale e guida della Seconda Internazionale alla quale avevano aderito, fra gli altri, Lenin ( 1870 –1924) e Rosa Luxemburg (1870 – 1919).
La socialdemocrazia si distingueva dal socialismo rivoluzionario, nelle sue varie incarnazioni storiche, in quanto ne congelava, per necessità e non per convinzione, lo spirito di negazione totale del sistema. Ancor più nettamente la socialdemocrazia si opponeva al riformismo. Infatti la socialdemocrazia non voleva la sopravvivenza del sistema capitalistico. Essa intendeva perpetuare lo spirito rivoluzionario e millenaristico in attesa che i tempi avessero consentito il mutamento sociale radicale in senso socialista. La socialdemocrazia restava legata alla prospettiva rivoluzionaria palingenetica.
Revisionismo
Il revisionismo socialista si definisce unicamente in rapporto al marxismo. Il revisionismo, che ha in Eduard Bernstein (1850 – 1932) il suo caposcuola ed il suo rappresentante più autorevole, muove proprio dalla confutazione di alcune ipotesi marxiane che sono state smentite dagli avvenimenti storici. Eduard Bernestein, già discepolo di Marx, pubblicò, nel 1889, I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia . In questa opera, egli sottoponeva il marxismo a una revisione critica radicale. I fatti – secondo Bernstein – smentivano la teoria del crollo del capitalismo per effetto della pauperizzazione crescente e della progressiva polarizzazione delle classi, visto che la proprietà si diffondeva ed i ceti medi aumentavano. Insomma la dinamica storica dello sviluppo sociale non procedeva come avevano previste le “ leggi ” indicate da Marx.
Dati questi presupposti: “la socialdemocrazia – egli scriveva – invece di speculare sul crollo finale, ha, ancora per lungo tempo, il compito di organizzare politicamente la classe operaia e lottare per tutte le riforme all’interno dello Stato che siano atte a trasformare la sostanza dello Stato in senso democratico”.
Berstein indicava, quindi, al movimento socialista l’apertura ai valori della libertà individuale, fino ad affermare che il socialismo doveva diventare un " liberalismo organizzatore".
TERZA INTERNAZIONALE
Costituita con il nome di Comintern a Mosca nel marzo del 1919 su iniziativa di Lenin, si propone di rappresentare lo strumento organizzativo della lotta del proletariato per la rivoluzione mondiale. Essa divenne, successivamente, un docile strumento della politica estera del governo sovietico.
QUARTA INTERNAZIONALE
Fondata da Trotzkij ( 1879 – 1940 ) nel 1938, ebbe all’inizio un lago seguito negli Stati Uniti e nell’America Latina, ma fu ben presto, dato il momento storico, condannata a una vita effimera e minoritaria.
NOTE CONCLUSIVE
Oggi con il termine socialdemocrazia, divenuto sinonimo di riformismo socialista, si designa il progetto di una formazione politica che accetta la proprietà privata e il mercato, e che ha rinunciato al sogno utopico della palingenesi universale. In altri termini, davanti alle dure repliche della storia, i partiti socialisti, optando per la pratica riformista, hanno definitivamente rinunciato all’illusione rivoluzionaria sia nel metodo operativo che per il modello di società da realizzare.
Le attuali formazioni politiche socialiste hanno stipulato quello che si usa definire “il compromesso socialdemocratico“ fra Stato e mercato. L’atto di nascita di questa trasformazione, che può essere definita come una vera mutazione genetica è datato: 15 novembre 1959. In quel giorno, infatti, fu approvato il programma detto di Bad Godesberg ( nome della località dove si svolsero i lavori ), redatto dal partito socialdemocratico tedesco. Con questo programma il “marxismo veniva messo in soffitta “ e si affermava la necessità della “ libertà di mercato e concorrenza per quanto possibile, pianificazione per quanto necessario “.

Per la stesura di questi appunti sono stati utilizzati i seguenti testi:

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AA. VV., Utopisti Russi del primo Ottocento, Guida, Napoli 1982
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B.Baczko, L’utopia, Einaudi, Torino 1979
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G. De Foigny,La terra australe, Guida, Napoli 1978
B. De Fontenelle, Storia degli agiaoiani, Guida, Napoli 1979
E. Fromm, Fuga dalla libertà, Comunità, Milano 1968
A. Giddens, Le conseguenze della modernità, Il Mulino, Bologna 1944
G. Germani,Saggi sociologici, L’ ateneo, Napoli 1991
L. Gruppi ( a cura di ) , Marx- Angels , opere scelte, Editore Riuniti, Roma 1994
G. Le Goff, Tempo della chiesa e tempo del mercante, Einaudi,Torino 1977
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K . Kautsky, La dittatura del proletariato, SugarCo, Milano 1977
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L. Pellicani,Il mercato e i socialismi, SugarCo, Milano 1979
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L. Pellicani, Illusione rivoluzionaria e il compromesso socialdemocratico, E.S.I. Napoli 1985
L. Pellicani, Saggio sulla genesi del capitalismo.Alle origini della modernità, SugarCo
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