martedì 19 febbraio 2008

il declino dell'occidente

come non riportare un articolo così...

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2008, le nubi sul declino del sistema occidentale - 19-2-08

di Davide Rossi - da Aurora

Non è abitudine della nostra rivista riflettere sull'immediata contingenza. Da nove anni uniamo ricerca storica, interessi culturali, capacità di analisi prospettiva verso il futuro. Una serie di avvenimenti tuttavia devono d'esser presi in considerazione. Sarà, non solo per le olimpiadi, l'anno della Cina, alla quale si danno, da parte occidentale, tutte le colpe del pianeta. Ultima in termini di tempo la scarsità di cioccolato prevista per i prossimi mesi.

Sì, perché i cinesi mangian cioccolato e le ditte occidentali non hanno cacao a sufficienza e le coltivazioni mondiali non possono aumentare le produzioni ai ritmi della domanda, a meno che intervenga la piaga del cacao transegenico, il quale come tutti i prodotti ogm alla lunga rende sterili le terre.

Il pianeta è al collasso ambientale, eppure proprio la Cina – che ambisce a raggiungere un livello di consumi pari in media al 25% di quelli di un cittadino europeo, ovvero consumare tre volte meno di noi - è la dimostrazione del totale fallimento del progresso fondato sulla crescita dei consumi. Prima vittima l'Occidente, il quale ha propagandato nella vittoriosa guerra fredda il mito del “consumate di più”.

Eppure nel momento in cui la Cina e l'India vincono sui mercati mondiali, esportano, crescono e i loro cittadini, o almeno una bella fetta di quegli oltre due miliardi di persone, vogliono automobili, carta igienica e cioccolato, il prezzo del petrolio s'infiamma e le riserve si esauriscono e si perdono, come nel caso della Nigeria o dell'Irak, in cui donne e uomini di quelle terre, spesso definiti terroristi, difendono la loro unica ricchezza incendiando i pozzi e impedendo il furto del greggio da parte delle compagnie multinazionali, la deforestazione annienta la Siberia, i produttori di cioccolato annaspano perché la Cina se lo produrrà da sé, acquistando cacao, riducendo per gli occidentali le vendite e aumentando i costi della materia prima.

Tre esempi. Potrebbero essere mille. Il sistema occidentale come lo abbiamo conosciuto e come ce lo hanno insegnato è finito. Le condizioni di vita dei cittadini europei non potranno che peggiorare perché il divario tra noi e il resto del mondo è enorme e il sud del pianeta lo sta riequilibrando con il sudore del suo lavoro, che ambisce ad acqua calda in casa e non ad un secchio di acqua fredda al giorno, mentre ferve corre l'accaparramento dell'oro blu e la sua privatizzazione, ad un'automobile, alla carta igienica, a un po' di cioccolato, …

Il problema è: chi lo dice tutto questo agli europei? Chi spiega che i loro soldi saranno sempre meno e il loro potere di acquisto sarà sempre più basso, che le loro condizioni di vita dovranno orientarsi ad una riduzione dei consumi e, osiamolo dire, peggioreranno? Nel frattempo il presidente - dittatore francese straparla, Zapatero inneggia ad un fantomatico miracolo spagnolo, il nostro buon Prodi ha auspicato e sperato.

La signora Merkel in data 15 gennaio '08 in una conferenza stampa, all'ennesima domanda idiota sulla crescita, azzarda la verità: la crescita è quasi impossibile, la competizione internazionale insostenibile quando i salari europei sono decine di volte più alti di quelli del resto del mondo, la crisi della speculazione finanziaria innescata in estate dal debito statunitense incontenibile, i costi delle materie prime energetiche e alimentari crescono con la domanda, quindi ci saranno sempre meno prodotti e sempre più cari.

Incredibile tanta onestà nelle parole del cancelliere democristiano, almeno complimenti. Il dubbio è se valutare questa dichiarazione sulla crisi, il declino e la fine del sistema occidentale come un buon passo verso nuove politiche sociali in Europa e nuove relazioni internazionali, oppure come un segno drammatico di disperazione, di ammissione del fallimento.

Siamo più inclini a credere ragionevole la seconda ipotesi. Intanto in Italia grandi interessi e interessi malavitosi speculano sull'immondizia, mentre la televisione – attraverso tardive pubblicità progresso - invita a spegnere le luci che non si usano per risparmiare energia, i politici si agitano quando gli studenti di Roma ritengono che la tribuna dell'apertura dell'anno accademico di un ateneo pubblico sia poco adatta per le parole di un uomo che non ha promosso il dialogo come il cardinal Martini, ma ha sospeso decine di teologi.

Pure la Slovenia, che salutiamo per la prima presidenza dell'Unione Europea affidata ad un paese dell'est, si trova obbligata a ripetere le parole dell'incontro inter - governativo di Lisbona di dicembre: “fare dell'Europa la zona più competitiva del mondo”. Assolutamente impossibile. A meno che i salari non scendano alla media mondiale di 30 euro con, al massimo, 10 euro di contributi, francamente ci pare non praticabile. Intanto nelle fabbriche, ad esempio italiane, si muore, come a Torino, dilaniati dal fuoco dopo 12 ore di lavoro, ma gli industriali chiedono il ritorno alle sei giornate lavorative, con un sabato senza straordinari da pagare, come in Francia, dove Sarkozy ha eliminato queste spiacevoli complicazioni, applicando la nuova direttiva Bolkenstein che indirizza verso la contrattazione individuale contro quella collettiva, riducendo in un colpo diritti e salari e ripristinando orari di lavoro “concordati” degni dell'Ottocento. L'inflazione intanto sale, la produzione cala, il prodotto interno lordo non è più un indice credibile, in Italia come in Europa.

La Fiat arranca e finge, non ammettendo che è la succursale europea di una casa automobilistica indiana, la Tata Motors, i cui utili sovrastano di gran lunga quelli della fabbrica degli Agnelli. La scuola, italiana ed europea, versa in acque limacciose, incongrue, defatiganti, disperate. Ma i telegiornali ci spiegano che almeno in Italia il problema sarebbe la grave colpa degli insegnanti che invece di insegnare la competitività insegnano la solidarietà. Proprio un nuovo progetto solidale sarebbe invece il solo che potrebbe attenuare la violenza del collasso.

Violenza che intanto porta disperati e disperati occultamente organizzati a sfogarsi intorno agli stadi e contro gli stranieri. Già, verso questi cittadini che svolgono quei lavori che noi rifiutiamo, pagano le tasse e i cui figli vengono rifiutati dalle scuole materne di Milano. Lo spauracchio è quello della criminalità, la quale certo va sempre combattuta, ma solo il 5% degli stranieri svolge attività criminale, gli altri 95% no, ma a certa stampa piace trovare il nemico nella porta accanto, purché non italiano.

Così cresce la demonizzazione del tema della sicurezza, calano rapine, furti e violenze, i telegiornali diventano la succursale di cronaca nera dei peggio giornalacci. La verità che nessuno dice è che se un anziano subisce una rapina è un dramma perché non ha più nulla in banca, mentre venti anni fa qualche risparmio lo aveva.

Quindi il problema non è quello della “percezione” del problema, come altri giornaloni tanto considerati raccontano, ma della realtà. Perdere oggi la pensione rapinata fuori dalla posta significa trovarsi nella miseria di non saper cosa mangiare sino alla fine del mese. È quindi un problema sociale, non di sicurezza, ma poco importa, l'importante è moltiplicare le espulsioni, anche se i reati li compiono in stragrande maggioranza gli italiani, solo tenendo gli stranieri nel terrore infatti i datori di lavoro potranno continuare a ricattarli, sfruttarli e pagarli pochissimo e male, in fondo – questo sì - è il solo modo per restare competitivi.

L'Europa che dovrebbe difendere i diritti umani diventa così la promotrice di una nuova forma di schiavismo, mascherato, ma presente dietro casa, che si somma allo sfruttamento intensivo, ma sempre meno praticabile, della manodopera in giro per il mondo. A questi mali italiani ed europei, la penisola aggiunge un tessuto industriale composto dalla piccola imprenditoria, sempre più impossibilitata a reggere il confronto sulla produzione di manufatti che altrove si producono a prezzi dieci volte più bassi, siano le mutande in Romania e i caschi per motocicletta in Cina.

In Italia la ricerca e la produzione industriale avanzata e di alta tecnologia è insignificante, quindi quel qualcosa in più che l'Occidente in qualche modo ancora ha, ovvero intelligenze, ricerca, in Italia non esiste. Si legga Luciano Gallino per capire quanto l'Italia non produce nulla che possa essere considerato valore aggiunto.

Il declino dell'Italia è comunque solo più accentuato rispetto al resto dell'Occidente, la retorica assolutamente falsa dei politici europei relativamente alle loro presunte crescite economiche è ridicola. Inutile cercare strade per uscirne, la traiettoria è incorreggibile, eppure una possibilità l'Europa ce l'ha: ammettere il dato irreversibile del declino e sviluppare politiche sociali redistributive che contengano i guasti sociali e la disperazione che sono dietro l'angolo.

Diminuire, contenere e impedire per quanto possibile tutte le operazioni speculative, rivedere la sproporzione tra salari di lavoratori e salari di dirigenti (oggi in proporzione 400 a25 a 1) a partire dal settore pubblico, ma con un sistema fiscale serio che metta ordine anche nel settore privato. Promuovere una nuova politica internazionale basata sulla cooperazione e non sulle operazioni costose, inutili e del tutto fallimentari di esportazione della “democrazia”, che oramai in ogni angolo del pianeta sono ragionevolmente comprese anche da bambini e analfabeti come operazioni di tutela dei nostri interessi occidentali contro quelli degli altri. 1, trenta anni fa

Qualcuno si agiterà di fronte a queste proposte – essenzialmente scandinave e socialdemocratiche – eppure l'alternativa è la barbarie e la rabbia sociale, pronta a manifestarsi nelle forme più inaspettate, deleterie, distruttive. Cavalcare il “tanto peggio tanto meglio” è da sempre sbagliato, assurdo e fallimentare, negare l'evidenza della realtà italiana, europea e planetaria è idiota. Meglio sarebbe agire con coerenza e intelligenza. Ma purtroppo all'orizzonte si vedono solo – nere, nitidissime e inconfondibili - nubi.

domenica 3 febbraio 2008

Ambiente - Alternativa agli inceneritori

Le alternative agli inceneritori

www.beppegrillo.it

Inceneritori, perché no

1. L’incenerimento dei rifiuti li trasforma in nanoparticelle tossiche e diossine
2. L’incenerimento necessita di sostanze come acqua, calce,bicarbonato che aumentano la massa iniziale dei rifiuti
3. Da una tonnellata di rifiuti vengono prodotti fumi e
300 kg di ceneri solide e altre sostanze.
- le ceneri solide vanno smaltite per legge in una discarica per rifiuti tossici nocivi, rifiuti estremamente più pericolosi delle vecchie discariche
- i fumi contengono
30 kg di ceneri volanti cancerogene, 25 kg di gesso
- l’incenerimento produce
650 kg di acque inquinate da depurare
4. Le micro polveri (pm 2 fino a pm 0,1) derivanti dall’incenerimento se inalate dai polmoni giungono al sangue
in 60 secondi e in ogni altro organo in 60 minuti
5. Le patologie derivanti dall’inalazione sono: cancro,malformazioni fetali, Parkinson, Alzheimer, infarto e ictus.
Lo comprovano migliaia di lavori scientifici
6. Gli inceneritori, detti anche termovalorizzatori, sono stati finanziati con il 7% della bolletta dell’Enel associandoli
alle energie rinnovabili insieme ai rifiuti delle raffinerie di petrolio al carbone. Senza tale tassa sarebbero diseconomici. Nell’ultima Finanziaria è stato accordato il finanziamento, ma solo agli inceneritori già costruiti
7. In
Italia ci sono 51 inceneritori, sarebbe opportuno disporre di centraline che analizzino la concentrazione di micro polveri per ognuno di essi, insieme all’aumento delle malattie derivate sul territorio nel lungo periodo
8. I petrolieri, i costruttori di inceneritori e i partiti finanziati alla luce del sole da queste realtà economiche sono gli unici beneficiari dell’incenerimento dei rifiuti
www.beppegrillo.it

Riduzione dei rifiuti, raccolta differenziata,

riciclaggio e bioessicazione

1. Riduzione dei rifiuti (Berlino, per fare un esempio, ha ridotto in sei mesi i rifiuti del 50%)
2. Raccolta differenziata porta a porta con tariffa puntuale
3. Riciclo di quanto raccolto in modo differenziato
4. Quanto rimane di rifiuti dopo l’attuazione dei primi tre punti va inviato a impianti per una selezione meccanica delle tipologie dei rimanenti rifiuti indifferenziati. La parte non riciclabile può essere trattata senza bruciarla con in impianti di bioessicazione
5. In
termini economici non conviene bruciare in presenza di unaraccolta differenziata perchè:
- il legno può essere venduto alle aziende per farne truciolato
- il riciclaggio della carta rende più dell’energia che se ne può ricavare
- il riciclaggio della plastica è conveniente. Occorrono 2/3 kg di petrolio per fare un kg di plastica
6. La raccolta differenziata può arrivare al 70% dei rifiuti, il 30% rimanente può ridursi al 15-20% dopo la bioessicazione. Una quantità che è inferiore o equivale agli scarti degli inceneritori. Ma si tratta di materiali inerti e non tossici con minori spese di gestione ed impatti ambientali sanitari.

Se nel settore dei rifiuti non ci fossero le attuali realtà, per legge, di monopoli privati a totalità di capitale pubblico, ma una reale liberalizzazione del mercato, la concorrenza tra le aziende avverrebbe sulla capacità di recupero e l’incenerimento sarebbe superato.

Ambiente - Inceneritori Intervista al professor Paul Connett

dal sito di Beppe Grillo


Intervista al professor Paul Connett

in onda su Radio Popolare venerdì 24 marzo 2006

Paul Connett: 21 anni fa hanno cercato di costruire un inceneritore nella nostra contea nel nord dello stato di New York vicino al confine con il Canada. All'inizio credevo fosse una buona idea, pensavo: “ci sbarazziamo di tutte quelle orrende discariche e produciamo energia dai rifiuti in una struttura che può essere monitorata”. Poi leggendo ho scoperto che bruciando i rifiuti domestici si producono le sostanze più tossiche che l'uomo abbia mai prodotto e poi, ogni 3 tonnellate di spazzatura, resta una tonnellata di cenere molto tossica che da qualche parte andrà pur messa; quindi ho capito che l'inceneritore era la strada sbagliata.
Ho cominciato a lavorare insieme agli altri cittadini che erano contrari e siccome ero professore di chimica sono stato invitato nelle altre comunità dei vari stati americani e poi del mondo per cercare di fermare l'incenerimento. Abbiamo bloccato la costruzione di 300 inceneritori; dal 1996 negli Stati Uniti non ne è più stato costruito uno.

Intervistatrice: E in questi anni ha cercato di diffondere la sua teoria “Rifiuti Zero”. Ce la può spiegare sottolineando in particolare come si possono ridurre progressivamente inceneritori e discariche e di conseguenza l'inquinamento?

Paul Connett: Quello che ho in mente è l'obiettivo finale; credo che la cosa più semplice sia distinguere la teoria del riciclaggio al 100% e la teoria Rifiuti Zero. Da molto tempo diverse comunità cercano di portare al massimo il riciclaggio e il compostaggio dei rifiuti. Per molto tempo noi abbiamo pensato che questo fosse
l'obiettivo numero uno, ma il problema di questo sistema è che nella nostra società ci sono cose che non possono essere riciclate, cose che non possono essere compostate e quindi no possono essere riutilizzate. Finché sarà così non ci sarà mai possibile un riciclaggio al 100% e allora che cosa dice la strategia Rifiuti
Zero? Dice che i cittadini non possono farcela da soli, si devono necessariamente combinare due livelli di responsabilità: quella della comunità nella fase finale del processo e la responsabilità industriale che invece avviene all'inizio del processo. Insomma all'industria dobbiamo dire: “Se non possiamo riutilizzarli, se no
possiamo riciclarli voi quei prodotti non li dovete più fare”. Il messaggio è:

“abbiamo bisogno di un disegno industriale migliore per il 21 secolo”

perché entro la fine di questo secolo dovremmo imparare a vivere in modo sostenibile. I rifiuti coinvolgono chiunque, chiunque produce rifiuti ogni giorno, siamo tutti parte del problema. Ma se seguiamo l'approccio rifiuti zero possiamo diventare tutti parte della soluzione. E allora abbiamo bisogno di una comunità responsabile che separi i rifiuti riciclabili, la frazione umida, che raccolga i sacchi porta a porta, abbiamo bisogno di un'industria responsabile che metta a punto prodotti, confezioni e imballaggi migliori e abbiamo bisogno di una buona leadership, fatta di politici lungimiranti. Purtroppo il vero nemico di questo approccio sostenibile è l'approccio completamente insostenibile dell'incenerimento. Per troppo tempo gli ingeneri,
soprattuto quelli europei, hanno cercato di perfezionare l'incenerimento, hanno cercato di perfezionare una pessima idea. Io dico che se anche esistessero inceneritori sicuri, comunque non avrebbero senso di esistere. Non ha senso nel 21 secolo spendere così tanti soldi per distruggere risorse che dovremmo poter
riutilizzare in futuro. Certo, si può nascondere il problema come fanno in Italia, parlando di termovalorizzatori invece di inceneritori ma il problema resta, se bruci qualcosa poi devi ripartire da zero nel processo produttivo, devi sempre spendere nuovi soldi per l'estrazione delle materie prime, per la produzione e così via; se invece ricicli e riutilizzi non devi incominciare da capo e risparmi il quadruplo di energia. In questo senso la legge italiana che equipara il combustibile derivato dall'incenerimento all'energia pulita e rinnovabile è il massimo ostacolo per il minimo progresso nel problema dei rifiuti. Il governo vi chiede di pagare l'elettricità ricavata dagli inceneritori tre volte tanto quello che costerebbe da
qualsiasi altra fonte, ma paradossalmente questa politica ci fa un favore perché quando propongono di costruire un inceneritore, sul territorio la gente insorge e si organizza ed è qui che entriamo in gioco noi con le nostre proposte alternative che sono migliori per l'ambiente e per l'economia locale.

Intervistatrice: lei parlava prima di tre livelli di responsabilità, parliamo dell'industria, perché le ditte e le grandi multinazionali dovrebbero essere interessate a cambiare i loro processi produttivi?

Paul Connett: Potremmo metterla su un piano umano; queste industrie sono fatte di donne e di uomini che hanno figli e nipoti e dunque hanno tutto l'interesse a garantire loro un buon futuro, ma questo argomento non basta. L'altro vantaggio per le industrie è che la strategia Rifiuti Zero fa risparmiare e sono sicuro che a questo argomento prestano molta più attenzione. Vi faccio un esempio semplice, meraviglioso, la multinazionale Xerox Europe sta usando gli stessi camion che trasportano le nuove stampanti per ritirare quelle vecchie e portarle tutte in un enorme magazzino che si trova in Olanda. Lì le stampanti vengono smontate pulite e in gran parte riutilizzare; non finiscono in discarica. Adesso riescono così a riutilizzare il 95% del materiale, ma la cosa ancora più entusiasmante, soprattuto dal loro punto di vista, è che questo sistema gli fa risparmiare 76 milioni di dollari all'anno ed è questo il messaggio che mi fa essere più ottimista. Le ditte hanno meno costi di produzione, non devono comprare ogni volta materie prime, non devono ricomprare nuove parti, si possono riutilizzare quelle vecchie e hanno meno costi di smaltimento, molto meno costi.

Intervistatrice: e come si può agire sul terzo livello di responsabilità: i politici che fanno le leggi? Prima ha citato la legge delega del ministro Matteoli che incentiva la costruzione di nuovi inceneritori.

Paul Connett: Io credo che il problema sia tutto qui. Le persone più potenti sono quelle che hanno meno tempo per pensare al futuro. Il manager di una grande impresa si limita a far quadrare il fatturato di trimestre in trimestre. Un politico agisce in un arco di tempo finalizzato alla sua rielezione, fa progetti di mesi o al massimo di qualche anno. Quindi, secondo me, noi dobbiamo rivolgerci ai cittadini, alla gente che vota per queste persone, in particolare ai giovani che hanno un immenso interesse per il proprio futuro; vanno educati, ispirati con un approccio creativo di lungo respiro. Alla fine saranno loro i leader o saranno loro ad organizzarsi nelle varie comunità. In questi tempi in tanti paesi soffriamo per la mancanza di politici lungimiranti, ma c'è una cosa su cui bisogna insistere anche se, dall'altra parte, non ci sono politici sensibili al tema ed è questa: sostituire l'incenerimento con un sistema di controllo della frazione secca, i cosiddetti rifiuti residui, affiancato da strutture per la ricerca. Mi spiego meglio. Sappiamo già quanto sia utile riciclare vetro, lattine, plastica eccetera. Sappiamo quanto sia utile compostare l'umido, sappiamo anche come trattare i rifiuti tossici: solventi, batterie, pitture e così via... niente di tutto questo è in discussione. Il problema sta nei rifiuti residui, nei rifiuti solidi urbani appunto, io ho una definizione per questi scarti: “Cattivo disegno industriale”. Quando le industrie fanno prodotti usa e getta, confezioni usa e getta, vogliono toglierseli dai piedi. Vogliono gli inceneritori per farli sparire dopo l'utilizzo. La strategia Rifiuti Zero, invece, vuole renderli visibili al massimo questi rifiuti, allora ci vogliono delle strutture che passino al setaccio quello che entra nelle discariche, non solo quello che esce, in modo che non ci siano rifiuti tossici o organici.

La seconda struttura necessaria è un luogo di ricerca di fronte alla discarica dove le università possano stabilire i loro dipartimenti di disegno industriale o di sviluppo sostenibile. Un laboratorio funzionale alla struttura di controllo con due compiti: esaminare quei materiali non riciclabili e valutare se si possono trasformare in rifiuti riciclabili. Se questo non è possibile, lavorare insieme all'industria in modo che non li produca più e studi delle alternative. Ma perché non si può fare a meno dell'Italia in questo processo? Voi avete i migliori designer al mondo, per secoli avete sviluppato il concetto di bellezza, e perché qualcosa di estetico non può essere anche sostenibile? Il genio e la creatività di Leonardo, di Galileo non sono spariti del tutto. Se l'Italia decidesse di costruire alcune strutture di controllo e ricerca sui rifiuti voi potreste aprire la strada al resto del mondo.
Un'altra frase che uso molto spesso è questa: “un po' di creatività in entrata può far risparmiare milioni di dollari in uscita” e non è una battuta. C'è una ditta di stampanti in Australia,
la Fuji, che ha studiato una piccolissima modifica al toner dell'inchiostro, sostituendo un rullo di plastica, che è l'unica parte che si usura, la ditta può recuperare il resto, la parte magnetica che è anche la più costosa. Quel rullo costa 41 centesimi e ha fatto risparmiare all'azienda, addirittura 40 milioni di dollari. E' questo il miglior esempio che conosca di creatività che faccia risparmiare milioni di dollari. Oppure pensiamo a quei supermercati, esistono anche in Italia, che hanno un sistema di ricarica delle bottiglie d'acqua vuote. Tu vai al supermercato con la tua bottiglia vuota e torni a casa con la stessa bottiglia di nuovo piena. Pensate a quante bottiglie si risparmiano.

Intervistatrice: qual è lo strumento più efficace per far conoscere le vostre proposte? Alcune, come ci ha spiegato, riguardano i comportamenti dei singoli cittadini, altre invece devono riuscire a convincere la classe dirigente, pubblica e privata.

Paul Connett: Sicuramente gli attivisti sono un veicolo fondamentale, la gente che lavora per Greenpeace, per esempio. E' molto più facile intervenire sul territorio se puoi contare su un'organizzazione che ha una valida alternativa da proporre. Ma dall'altro lato le nostre proposte si promuovono da sole, perché l'operazione Rifiuti Zero crea migliaia di posti di lavoro, stimola nuovi interessi attorno al recupero e al riutilizzo dei materiali e questo aspetto può convincere anche i politici meno sensibili allo sviluppo sostenibile. Per esempio, la provincia Canadese della Nuova Scozia non era affatto all'avanguardia nella gestione dei rifiuti o nella coscienza ambientalista. Gli amministratori volevano allargare una discarica e i
cittadini hanno detto no, allora hanno pensato di costruire un inceneritore ad Halyfax, ma anche il governo si è opposto. A quel punto sono intervenuti gli attivisti.

Dal nulla hanno proposto un programma che in 5 anni ha ridotto del 50% i rifiuti destinati alla discarica. Con questo processo hanno creato 3000 nuovi posti di lavoro, 1000 nella raccolta e nella lavorazione dei materiali di scarto, gli altri 2000 nell'industria che progetta prodotti per il mercato, sono quindi riusciti a
catturare il valore aggiunto dei rifiuti. Un inceneritore avrebbe creato al massimo 100 posti di lavoro. La stessa cosa è accaduta a Canberra in Australia, le autorità hanno chiesto “quanti rifiuti volete che finiscano in discarica?” e i cittadini hanno risposto: “zero”, questo è stato l'inizio appunto della campagna Rifiuti Zero.

A Canberra hanno approvato una legge che si chiama “Zero Rifiuti entro il 2010”, la stessa legge è stata adottata da metà dei comuni in Nuova Zelanda e da decine di comuni anche in California. Ci sono molte realtà economiche che stanno davvero dalla nostra parte, se costruisci un inceneritore fai una scelta sbagliata e anche costosa, alla fine ti ritrovi con una tonnellata di cenere tossica che nessuno vuole, ogni tre tonnellate di rifiuti, se invece segui l'approccio Rifiuti Zero converti tre tonnellate di rifiuti in una tonnellata di prodotti riciclabili, una tonnellata di prodotti organici e una tonnellata di educazione, di educazione dei cittadini che imparano a recuperare e di educazione delle industrie che smettono di produrre prodotti che non possono essere riutilizzati.

Intervistatrice: crede davvero che la nostra società sia pronta per una sfida del genere?

Paul Connett: Dobbiamo essere pronti. Non dico sia facile, ma sono sicuro che questa è la giusta direzione. Non pretendiamo di azzerare i rifiuti in una notte. Non pretendiamo di farlo ovunque, la nostra proposta dunque diventa, proviamoci in diverse realtà, troviamo un paese, una città, una metropoli che vogliano sperimentare il sistema Rifiuti Zero, che vogliano essere pionieri e diventare un modello per tutte le altre comunità. Anche l'Italia può fare la sua parte, come dicevo, può analizzare i materiali di scarto e proporre un migliore disegno industriale.

Intervistatrice: Professor Connett we thank you so much for being with us today.

Paul Connett: Thank you very much... Grazie.

Satira Censurata e tecniche di regime

Daniele Luttazzi - Satira Censurata e tecniche di regime
http://it.youtube.com/watch?v=D36gh71ARZ8