domenica 27 gennaio 2008

Uomo: specie in estinzione

12 giugno 1992 - direi che è attualissimo...
http://www.cuba.cu/gobierno/discursos/2007/ita/f310807t.html

Un'importante specie biologica corre il rischio di sparire per la rapida e progressiva liquidazione dalle sue condizioni naturali di vita: l'uomo.
Ora prendiamo coscienza di questo problema quando é quasi tardi per impedirlo.

È necessario segnalare che le società consumistiche sono le fondamentali responsabili dell'atroce distruzione dell'ecosistema. Sono nate dalle antiche metropoli coloniali e dalle politiche imperiali che, a loro volta, hanno generato il ritardo e la povertà che oggi colpiscono l'immensa maggioranza dell'umanità. Con solo il 20% della popolazione mondiale, consumano i due terzi dei metalli ed i tre quarti dell'energia prodotte nel mondo. Hanno avvelenato i mari e i fiumi, hanno inquinato l'aria, hanno indebolito e perforato la cappa di ozono, hanno saturato l'atmosfera di gas che alterano le condizioni climatiche con effetti catastrofici che incominciamo già a soffrire.

I boschi spariscono, i deserti si estendono, migliaia di milioni di tonnellate di terra fertile vanno ogni anno a fermare il mare. Numerose specie si estinguono. La pressione delle popolazioni e la povertà conducono a sforzi disperati per sopravvivere, anche a costo della natura. Non è possibile incolpare di questo i paesi del Terzo Mondo, colonie ieri, nazioni sfruttate e saccheggiate oggi da un ordine economico mondiale ingiusto.

La soluzione non può essere impedire lo sviluppo di coloro che più ne hanno bisogno. La realtà è che tutto ciò che oggi contribuisce al sottosviluppo ed alla povertà costituisce una flagrante violazione dell'ecologia. Decine di milioni di uomini, donne e bambini muoiono ogni anno nel Terzo Mondo in conseguenza di questo, più che in ognuna delle due guerre mondiali. Lo scambio disuguale, il protezionismo ed il debito estero aggrediscono l'ecologia e propiziano la distruzione dell'ecosistema.

Se si vuole salvare l'umanità da questa autodistruzione, bisogna distribuire meglio le ricchezze e le tecnologie disponibili sul pianeta. Meno lusso e meno sperpero in pochi paesi affinché si abbia meno povertà e meno fame su gran parte della Terra. Non più trasferimenti al Terzo Mondo di stili di vita ed abitudini di consumo che rovinano l'ecosistema. Rendiamo più razionale la vita umana. Applichiamo un ordine economico internazionale giusto. Utilizziamo tutta la scienza necessaria per uno sviluppo sostenuto senza inquinamento. Paghiamo il debito ecologico e non il debito estero. Scompaia la fame e non l'uomo.

Quando le supposte minacce del comunismo sono sparite e non rimangono più pretesti per guerre fredde, corse agli armamenti e spese militari, che cosa impedisce di dedicare immediatamente queste risorse a promuovere lo sviluppo del Terzo Mondo e a combattere la minaccia di distruzione ecologica del pianeta?

Cessino gli egoismi, cessino gli egemonismi, cessino l'insensibilità, l'irresponsabilità e l'inganno. Domani sarà troppo tardi per fare ciò che avremmo dovuto fare molto tempo fa.

Grazie.

DISCORSO PRONUNCIATO A RIO DE JANEIRO DAL COMANDANTE IN CAPO Fidel Castro Ruz DURANTE LA CONFERENZA DELLE NAZIONI UNITE SU ECOSISTEMA E SVILUPPO, IL 12 GIUGNO 1992.


La cocaina dei popoli

interessante punto di vista
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/La-cocaina-dei-popoli/1901928/18


Non sono sicuro che abbia ragione José Saramago quando scrive che se tutti fossimo atei vivremmo in una società più pacifica. Ma qualche riflessione l'inducono sia il 'Gott mit uns' che il 'God bless America'

In un recente dibattito dedicato alla semiotica del sacro si era finiti a un certo punto di parlare di quella idea che va da Machiavelli a Rousseau, e oltre, di una 'religione civile' dei Romani, intesa come insieme di credenze e di obblighi capace di tenere insieme la società. È stato fatto notare che da questa concezione, in sé virtuosa, si arriva facilmente all'idea della religione come 'instrumentum regni', espediente che un potere politico (magari rappresentato da miscredenti) usa per tenere buoni i propri sudditi.

L'idea era già presente in autori che avevano esperienza della religione civile dei romani e per esempio Polibio ('Storie' VI) scriveva a proposito dei riti romani che "in una nazione formata da soli sapienti, sarebbe inutile ricorrere a mezzi come questi, ma poiché la moltitudine è per sua natura volubile e soggiace a passioni di ogni genere, a sfrenata avidità, ad ira violenta, non c'è che trattenerla con siffatti apparati e con misteriosi timori. Sono per questo del parere che gli antichi non abbiano introdotto senza ragione presso le moltitudini la fede religiosa e le superstizioni sull'Ade, ma che piuttosto siano stolti coloro che cercano di eliminarle ai nostri giorni. I Romani, pur maneggiando nelle pubbliche cariche e nelle ambascerie quantità di denaro di molti maggiori, si conservano onesti solo per rispetto al vincolo del giuramento; mentre presso gli altri popoli raramente si trova chi non tocchi il pubblico denaro, presso i Romani è raro trovare che qualcuno si macchi di tale colpa".

Se pure i romani si comportavano così virtuosamente in epoca repubblicana, certamente a un certo punto hanno smesso. E si può capire perché secoli dopo Spinoza desse un'altra lettura dello 'instrumentum regni', e delle sue cerimonie splendide e accattivanti: "Ordunque, se è vero che il segreto più grande e il massimo interesse del regime monarchico consistono nel mantenere gli uomini nell'inganno e nel nascondere sotto lo specioso nome di religione la paura con cui essi devono essere tenuti sottomessi, perché combattano per la loro schiavitù come se fosse la loro salvezza. è altrettanto vero che in una libera comunità non si potrebbe né pensare né tentare di realizzare nulla di più funesto" ('Trattato teologico politico').
Di qui non era difficile arrivare alla celebre definizione marxiana per cui la religione è l'oppio dei popoli. Ma è vero che le religioni hanno tutte e sempre questa 'virtus dormitiva'? Di opinione nettamente diversa è per esempio José Saramago che a più riprese si è scagliato contro le religioni come fomite di conflitto: "Le religioni, tutte, senza eccezione, non serviranno mai per avvicinare e riconciliare gli uomini e, al contrario, sono state e continuano a essere causa di sofferenze inenarrabili, di stragi, di mostruose violenze fisiche e spirituali che costituiscono uno dei più tenebrosi capitoli della misera storia umana" (da 'la Repubblica', 20 settembre 2001).

Saramago concludeva altrove che "se tutti fossimo atei vivremmo in una società più pacifica". Non sono sicuro che abbia ragione, ma certo sembra che indirettamente gli abbia risposto papa Ratzinger nella sua recente enciclica 'Spe salvi' dove ci dice che al contrario l'ateismo del XIX e del XX secolo, anche se si è presentato come protesta contro le ingiustizie del mondo e della storia universale, ha fatto sì che "da tale premessa siano conseguite le più grandi crudeltà e violazioni della giustizia".

Mi viene il sospetto che Ratzinger pensasse a quei senzadio di Lenin e Stalin, ma dimenticava che sulle bandiere naziste stava scritto 'Gott mit uns' (che significa 'Dio è con noi'), che falangi di cappellani militari benedicevano i gagliardetti fascisti, che ispirato a principi religiosissimi e sostenuto da Guerriglieri di Cristo Re era il massacratore Francisco Franco (a parte i crimini degli avversari, è pur sempre lui che ha cominciato), che religiosissimi erano i vandeani contro i repubblicani che avevano pure inventato una Dea Ragione ('instrumentum regni'), che cattolici e protestanti si sono allegramente massacrati per anni e anni, che sia i crociati che i loro nemici erano spinti da motivazioni religiose, che per difendere la religione romana si facevano mangiare i cristiani dai leoni, che per ragioni religiose sono stati accesi molti roghi, che religiosissimi sono i fondamentalisti musulmani, gli attentatori delle Twin Towers, Osama e i talebani che bombardavano i Buddha, che per ragioni religiose si oppongono India e Pakistan, e che infine è invocando 'God bless America' che Bush ha invaso l'Iraq. Per cui mi veniva da riflettere che forse (se talora la religione è o è stata oppio dei popoli) più spesso ne è stata la cocaina. Forse l'uomo è animale psichedelico.


a proposito di inceneritori

dal blog di grillo http://www.beppegrillo.it/

si parla molto di inceneritori ma ci dicono proprio tutto?


Brescia
è il luogo santo dei piazzisti degli inceneritori. Vi si recano in pellegrinaggio per respirare l'aria salubre direttamente dal camino. Bevono il latte locale e fanno un giro in bicicletta nei dintorni. E' la vittoria della scienza contro le tenebre.
Per saperne di più su questo miracolo dell'innovazione ho deciso di aprire
una piccola inchiesta. Oggi pubblico la prima parte del viaggio nell'inceneritore. Tenetevi forte.

"A Brescia vi sono inquietanti analogie con la Campania: nel
latte di aziende dei dintorni della città si è recentemente scoperta una presenza di diossine fuori norma; si nota inoltre un’elevatissima incidenza di tumori al fegato.
Ma il Registro tumori dell’Asl, rassicurante, sostiene, senza dati verificabili, che ciò è imputabile all’eccesso di epatiti e di consumi di alcol (Giornale di Brescia, 10 novembre 2007). Va segnalato che l’
ing. Renzo Capra, presidente di Asm, fa parte del Comitato scientifico del Registro tumori dell’Asl, di cui è anche finanziatore.
Si sostiene che vengono risparmiate 470 mila tonnellate l’anno di emissioni di CO2. ma non si dice che il confronto viene fatto con la discarica e non con il riciclaggio, che consente risparmi di emissioni di CO2 tre volte superiori (AEA Technology. Waste management options and climate change, European Commission, 2001).
A Brescia
si finge di fare la raccolta differenziata. Ma questa viene annullata dal continuo aumento dell produzione dei rifiuti, assimilando gli speciali. In 10 anni, da quando funziona l’inceneritore, il rifiuto indifferenziato da smaltire è sempre rimasto pari a 1,1 Kg/giorno/pro capite, esattamente come la Campania, 5-6 volte superiore a quello indifferenziato dove si fa la RD “porta a porta” con tariffa puntuale (es. Consorzio Priula Treviso). L’inceneritore del resto ha bisogno di rifiuti ed Asm è riuscita a compiere il “miracolo” di mantenere le stesse quantità in 10 anni!
Per gonfiare i risultati Asm dà
i numeri in chilowattora ( 570 milioni ), facendo finta di non sapere che l’unità di misura, fuori dal domicilio privato, è il gigawattora (milioni di KWh) o il terawattora (miliardi di KWh). In verità il megaimpianto di Brescia ( 800.000 tonnellate/anno ) ha una potenza pari ad un decimo di una normale centrale turbogas; il costo impiantistico per MW installato è 5-6 volte quello di una centrale turbogas; la resa è di circa 20% del potere calorifico presente nei rifiuti contro un 55% di una centrale turbogas; la poca energia ricavata è annullata dallo spreco di altri materiali preziosi ( 5-6 mila tonnellate di ferro; 6 mila tonnellate di alluminio; centinaia di tonnellate di rame, ogni anno nelle ceneri, nel caso di Brescia ). Insomma nell’inceneritorista Lombardia, con 13 impianti, il contributo di questi alla produzione di energia elettrica è pari al 2%!
E’ una macchina dello spreco e antieconomica che si regge solo sugli scandalosi contributi
Cip6 (leggi il post) - per l’inceneritore di Brescia, oltre 60 milioni di euro l’anno, per 8 anni, il doppio dell’investimento impiantistico!.
Nel 2006 l'inceneritore Asm è proclamato "campione del mondo", avendo vinto il "Wtert 2006 Industry Award". Sennonché l'Ente premiatore, Wtert, della Columbia University ha tra gli sponsor la
Martin GmbH, Germany, produttrice dello stesso impianto Asm." Marino Ruzzenenti, www.ambientebrescia.it

così muore il centrosinistra

bellissimo intervento di Ezio Mauro su Repubblica

Nemmeno due anni dopo il voto che ha sconfitto Berlusconi e la sua destra, Romano Prodi deve lasciare Palazzo Chigi e uscire di scena, con il suo governo che si arrende infine al Senato dove Dini e Mastella gli votano contro, dopo una settimana d'agonia. È lo strano - e ingiusto - destino di un uomo politico che per due volte ha battuto Berlusconi, per due volte ha risanato i conti pubblici e per due volte ha dovuto interrompere a metà la sua avventura di governo per lo sfascio della maggioranza che lo aveva scelto come leader.

Con Prodi, però, oggi non finisce soltanto una leadership e un governo, ma una cultura politica - il centrosinistra - che tra alti e bassi ha attraversato gli anni più importanti del nostro Paese, segnando la storia repubblicana.

Ciò che è finito davvero, infatti, è l'idea di un'ampia coalizione che raggruppi insieme tutto ciò che è alternativo alla destra, comunque assemblato, e dovunque porti la risultante. Prodi è morto politicamente proprio di questo. È morto a destra, per la vendetta di Mastella e gli interessi di Dini, ma per due anni ha sofferto a sinistra, per gli scarti di Diliberto, Giordano e Pecoraro, soprattutto sulla politica estera. Mentre faceva firmare ai leader alleati un programma faraonico e velleitario di 281 pagine e un impegno di lealtà perfettamente inutile per l'intera legislatura, Prodi coltivava in realtà un'ambizione culturale, prima ancora che politica: quella di tenere insieme le due sinistre italiane (la riformista e la radicale), obbligandole a coniugare giustizia e solidarietà insieme con modernità e innovazione, in un patto con i moderati antiberlusconiani.

Quell'ambizione è saltata, o meglio si è tradotta talvolta in politica durante questi due anni, mai in una cultura di governo riconosciuta e riconoscibile.

I risultati positivi di un governo che ha rovesciato il proverbio, razzolando bene mentre continuava a predicare male, non sono riusciti a fare massa, a orientare un'opinione pubblica ostile per paura delle tasse, spaventata dalle risse interne alla maggioranza, disorientata dalla mancanza di un disegno comune capace di indicare una prospettiva, un paesaggio collettivo, una ragione pubblica per ritrovare il senso di comunità, muoversi insieme, condividere un percorso politico.

Anche le cose migliori che il governo ha fatto, sono state spezzettate, spolpate e azzannate dal famelico gioco d'interdizione dei partiti, incapaci di far coalizione, di sentirsi maggioranza, di indicare un'Italia diversa dopo i cinque anni berlusconiani: ai cittadini, le politiche di centrosinistra sono arrivate ogni volta svalutate, incerte, contraddittorie e soprattutto depotenziate, come se la rissa interna - che è il risultato di una mancanza di cultura comune - avesse succhiato ogni linfa. Ancor più, avesse succhiato via il senso, il significato delle cose.

Fuori dal recinto tortuoso del governo, la destra non ha fatto molto per riconquistarsi il diritto di governare. Le sue contraddizioni sono tutte aperte, e la crisi della sinistra regala a Berlusconi una leadership interna che i suoi alleati ancora ieri contestavano. Ma la destra, questo è il paradosso al ribasso del 2008, è in qualche modo sintonica e addirittura interprete del sentimento italiano dominante, che è insieme di protesta e di esclusione, forse di secessione individuale dallo Stato, probabilmente di delusione repubblicana, certamente di solitudine civica. Nella grande disconnessione da ogni discorso pubblico, che è la cifra nazionale di questa fase, il nuovo populismo berlusconiano può trovare terreno propizio, perché salta tutte le mediazioni, dà agli individui l'impressione di essere cercati dalla politica e non per una rappresentanza, ma per una sintonia separata con la leadership, una vibrazione, un'adesione, ad uno ad uno.

Intorno si è mossa e si muove la gerarchia cattolica, che ormai lascia un'impronta visibile non nel discorso pubblico dov'è la benvenuta, ma sul terreno politico, istituzionale e addirittura parlamentare, dove in una democrazia occidentale dovrebbe valere solo la legge dello Stato e la regola di maggioranza, che è la forma di decisione della democrazia. Un'impronta che sempre più, purtroppo, è quella di un Dio italiano fino ad oggi sconosciuto, che non si preoccupa di parlare all'intero Paese ma conta le sue pecore ad ogni occasione interpretando il confronto come prova di forza - dunque come atto politico - , le rinchiude nel recinto della precettistica e se deve marchiarle, lo fa sul fianco destro.

Un contesto nel quale poteva reggere soltanto una politica in grado di esprimere una cultura moderna, cosciente di sé, risolta, capace di nascere a sinistra e parlare all'intero Paese. Tutto questo è mancato, per ragioni evidenti. La vittoria mutilata del 2006 ha messo subito il governo sulla difensiva, preoccupato di munirsi all'interno, col risultato di una dilatazione abnorme di ministri e sottosegretari. Ma i partiti, mentre si munivano l'uno contro l'altro, si disconnettevano dal Paese. Nel loro mondo chiuso, hanno camminato a passo di veti, minacce e ricatti, indebolendo la figura dello stesso Presidente del Consiglio, costretto a mediare più che a indirizzare. Si sono sentite ogni giorno mille voci, a nome del governo. La voce del centrosinistra è mancata.

Oggi che Mastella ha firmato un contratto con il Cavaliere e Dini ha onorato la cambiale natalizia, risulta evidente che Prodi salta perché è saltato quell'equilibrio che univa i moderati alle due sinistre, e come tale poteva rappresentare la maggioranza dell'Italia contemporanea. Tuttavia, senza il trasformismo (non nuovo: sia Dini che Mastella sono ritornati infine a casa) Prodi non sarebbe caduto. Barcollando, il governo avrebbe ancora potuto andare avanti, e questa è la ragione che ha spinto il premier ad andare al Senato, per mettere in piena luce sia la doppia defezione da destra e verso destra, sia l'assurdità di una legge elettorale che dà allo stesso governo la vittoria alla Camera e la sconfitta al Senato.

Da qui partirà il presidente Napolitano con le consultazioni, nella sua ricerca di consolidare un equilibrio politico e istituzionale che ritrovi un baricentro al sistema e al Paese. Il Capo dello Stato dovrà dunque tentare, col suo buonsenso repubblicano, di correggere queste legge elettorale prima di riportare il Paese al voto. La strada è quella di un governo istituzionale guidato dal presidente del Senato Marini, formato da poche personalità scelte fuori dai partiti, sostenuto dalle forze di buona volontà per giungere al risultato che serve al Paese.

Riformare la legge elettorale, e se fosse possibile, riformare anche Camera e Senato, cambiando i regolamenti, riducendo il numero dei parlamentari, correggendo il bicameralismo perfetto. Un governo non a termine, ma di scopo.

Che può durare poco, se i partiti sono sinceri nell'impegno e responsabili nelle scelte, col Capo dello Stato garante del percorso e dell'approdo.
Berlusconi è contrario a questa soluzione perché vuole votare al più presto, con i rifiuti per strada a Napoli (altra prova tragica d'impotenza del centrosinistra, locale e nazionale), con piazza San Pietro ancora calda di bandiere papiste, con il volto di Prodi da esibire in campagna elettorale come un avversario già battuto, in più in grado di imbrigliare l'avversario vero, che è da oggi Walter Veltroni.

(
25 gennaio 2008)

dalla chiesa strategia della tensione

Intervista pubblicata sul quotidiano IL MANIFESTO


Vattimo: «Dalla Chiesa strategia della tensione»

Per il filosofo torinese «ciò che non è negoziabile non può che essere oggetto di scontro». Dal Vaticano una fede dogmatica. «Scandaloso che il Pd aderisca»

Eleonora Martini

Professor Gianni Vattimo, oggi l'Angelus del Papa si trasforma in manifestazione politica con l'adesione di parte del Pd. Cosa ne pensa?
Mi sembra scandaloso, in tempi di tensione come questi su molti argomenti etici. Non che mi aspettassi molto dal Pd, ma almeno che quella parte di dirigenza di lontana provenienza comunista non si assoggettasse completamente al vaticanismo applicato alla vita sociale. Andare in piazza San Pietro mi sembra quasi come la grande ovazione del Parlamento a Mastella, che ha suscitato soltanto desideri di emigrazione. Meno grave, ma pur sempre un segno di abbandono di qualsiasi ritegno, una cosa impudica e direi perfino oscena.
Eppure c'è chi, anche a sinistra, è convinto di vedere una deriva laicista.

Non è laicismo, è anticlericalismo. Ma se c'è una rinnovata sensibilità anticlericale in Italia, se vediamo spuntare qua e là un po' di laicismo, bisogna chiedersi perché, a meno che non si voglia dare la colpa al demonio. Dipende solo dall'invadenza vaticana, non da altro. Negli ultimi venti anni con Wojtyla la sinistra italiana non è mai stata anticlericale, lo è diventata un poco ora solo quando le pretese del Vaticano sono diventate eccessive.
Il Pd di Veltroni considera fondamentale asserire il ruolo della religione nello spazio pubblico...

Anche l'ateismo, come orientamento etico culturale, può essere considerato come una religione. Le religioni sono tante e in Italia liberamente praticabili anche in associazioni, o come entità, gruppi, e strutture architettoniche. Non vedo la necessità di chiedere uno spazio pubblico per le religioni. A meno che questo spazio pubblico non voglia dire il sabotaggio dei Dico, l'impossibilità di discutere di un tema di bioetica in maniera civile senza incontrare certi personaggi che affermano che i loro principi sono non negoziabili. Ciò che non è negoziabile, non può che essere oggetto di scontro. È questo che vogliono?
Perché allora il Pd sente questa necessità? È a rischio il «rispetto delle posizioni e del pensiero» dei cattolici, come sottintendono i 44 democratici firmatari dell'appello per l'Angelus?

Mi sembra che a rischio siano le posizioni dei laici. C'è la pretesa, ad esempio, di imporre il pensiero secondo cui il matrimonio omosessuale sarebbe contro natura, quella natura umana di cui è depositaria la Chiesa. È chiaramente un artificio per imporre le norme cattoliche anche a chi non crede: dire che i cattolici non debbono divorziare è cosa diversa che dire che per natura il matrimonio è indissolubile. Io non credo proprio che sia il Papa a difendere la verità umana.
Cosa pensa di quanto accaduto all'Università?

Mettiamo le cose in chiaro: è il Papa che non ha voluto andare, perché davvero si sente il vicario di Dio. Cosa vera dal punto di vista del dogma cattolico ma non per uno stato laico. Del resto non c'è stata un'opposizione alla religione ma alla politica religiosa del Vaticano. La presenza del papa non significa affatto la presenza di Gesù, perché Gesù con questa Chiesa, con questo papa, con la loro politica, non ha nulla a che vedere.
Perché Benedetto XVI ha scelto di essere un papa rissoso, che cerca sempre la prova di forza?

A me sembra che lui debba caratterizzarsi in qualche modo e differenziarsi da Wojtyla, molto diverso dal punto di vista umano. Credo che Ratzinger risenta del clima di una Chiesa entrata in agonia, che si sente più minacciata di quanto non sia. E così invece di esercitare la carità, che susciterebbe un po' di simpatia, indossa la corazza. E lo fa con abili mosse come in quest'ultimo caso in cui mi sembra che fosse tutto previsto: sono riusciti a creare una tale situazione di tensione che sarà impossibile per un po' di mesi parlare di Cus, di fecondazione, di embrioni. Saremo accusati di essere illiberali, intolleranti.
Quindi questa protesta è stata controproducente?

No, hanno fatto benissimo. Sarebbe come dire che data l'aggressività dei clericali, è meglio assecondarli per evitare conseguenze peggiori.
Quali valori rimarrebbero alla Chiesa se rinunciasse all'etica intransigente e dogmatica?

Continuare a fondare la religiosità sui dogmi della teologia naturale, che non erano impliciti nei discorsi del Gesù storico ma si sono accumulati nel corso della storia, non ha più senso oggi. Dovrebbe predicare la vita di Gesù perché paradossalmente è più vero Gesù bambino che la teologia dogmatica di Ratzinger: parla a qualcuno, dice qualcosa a chi ha bisogno di inquadrare la propria prospettiva esistenziale in una cornice mitica, non scientifica. D'altra parte, se alla verità assoluta rivelata di Ratzinger si contrappone quella scientifica e indiscutibile di Odifreddi, io mi sottraggo. Anche se in questa situazione politica, tra i due io scelgo di stare con i più deboli, quindi di oppormi al clero.

domenica 20 gennaio 2008

politica - quale informazione?

chi lo sapeva?
Riporto un articolo di Gennaro Carotenuto pubblicato su Granma

Lula con Fidel, ecco come funziona la dottrina Shannon


Il caso è che hanno fatto finta di non accorgersi o quasi che il presidente brasiliano Lula sia andato a Cuba. Ha firmato importantissimi accordi commerciali ed energetici e Petrobras opererà nelle acque territoriali cubane. Lula ha manifestato la grande amicizia del Brasile verso la sanguinaria dittatura cubana, i rapporti del Brasile verso la quale sono per sua stessa definizione i migliori della storia.

Non solo. Il presidente Lula da Silva si è incontrato con il diavolo barbuto Fidel Castro, l’ha abbracciato e baciato con calore, si sono intrattenuti da vecchi amici quali sono per quasi tre ore, e ha dato al mondo ghiotte notizie di prima mano sulla sua salute. Lo ha definito "incredibilmente lucido come nei momenti migliori, e in uno stato di salute impeccabile" tanto che Fidel stesso ha dovuto smorzare le dichiarazioni entusiastiche di Lula.

In pratica Lula ha fatto e detto a Cuba e con Fidel esattamente le stesse cose che fa e dice Hugo Chávez. Con una differenza.

Nonostante Lula e il Brasile siano molto più importanti di Chávez e del Venezuela, e la speranza dell’andata all’inferno di Fidel da parte dei benpensanti mondiali sia identica, la copertura della visita di Lula rispetto a quella di Chávez è stata di cento volte inferiore. A parità di cose che dicono o fanno Lula e Chávez, il trattamento dei media è opposto. Quando Chávez va lodato (come per gli ostaggi delle FARC) si glissa. Quando entrambi vanno a Cuba (ammesso e ovviamente non concesso che sia una colpa) Chávez va esecrato e ridicolizzato e su Lula si glissa.

Ciò è dovuto ad alcuni motivi giornalistici, ma in particolare ad un indirizzo politico preciso preso dai media sull’America latina a partire dal 2005: quella del divide et impera della "dottrina Shannon". Thomas Shannon è il sottosegretario agli esteri per l’America latina del governo Bush. Sostituì quell’esaltato di Otto Reich, mafioso cubano-americano, veterano di tutte le guerre sporche e organizzatore del colpo di stato a Caracas dell’11 aprile 2002, ma soprattutto, da uomo di Donald Rumsfeld, teorizzatore dell’ "asse del male latinoamericano da colpire".

Come testimoniò il golpe a Caracas, la pretesa del fondamentalismo protestante dei neoconservatori di scatenare l’apocalisse sul continente ribelle fallì miseramente e nel 2005 a Reich subentrò Thomas Shannon, diplomatico di carriera, tutt’altra classe e finezza. E questi fece degli aggiustamenti importanti, teorizzando che non tutta l’America latina era asse del male, ma solo la metà. Questa non era una mera (e opportuna) analisi politica, era una chiave di lettura per gli avvenimenti a venire.

Detto così la linea ad alcuni media amici sapendo che gli altri si sarebbero immediatamente adeguati: qualunque cosa dicano o facciano in America latina, da oggi ci sono "governi di sinistra responsabili" e "governi di sinistra irresponsabili". Infatti la stampa mondiale si adeguò come un sol uomo: Evo Morales è sempre cattivo, Michelle Bachelet sempre buona; Nestor Kirchner (ora Cristina Fernández) cattivo/a, Alan García buono; Lula buono, Chávez cattivo.

Ciò qualunque cosa dicano o facciano, in una logica amico-nemico che con l’informazione e il giornalismo e perfino con intelligenza ed onestà non ha nulla a che fare. E allora eccoli lì, così scoperti nella loro malafede da fare tenerezza. Se Chávez il petroliere e Lula l’agrocombustibile, discutono, da El País all’Economist alla Repubblica giù paginate sullo "scontro". Se Lula va a Caracas a far campagna per Lula, silenzio assoluto. Se insieme fondano il Banco del Sur, sminuire. Se Chávez va a trovare Fidel, indignazione, irrisione, ma anche curiosità sulle condizioni di questo, ma se ci va Lula invece silenzio, perdonare. Non sia mai che qualcuno pensi che Lula e Chávez non sono così distanti e che Cuba non sia così isolata come da mezzo secolo la dipingono.

economia - microeconomia 1

studiando Microeconomia da un libro di testo universitario riporto un concetto che secondo me è illuminante...

"... come abbiamo visto, l'esistenza di imprese con potere di mercato può anche generare vantaggi sociali quali il miglior sfruttamento delle economie di scala e maggiori investimenti in ricerca e sviluppo che possono compensare la perdita secca. Sarebbe ideale per la società che le imprese fossero abbastanza grandi da poter beneficiare di economie di scala ma allo stesso tempo venissero persuase o indotte a non aumentare il prezzo rispetto al costo marginale in assenza di esternalità, in modo da produrre nel punto
p=CMG...".