sabato 27 dicembre 2008

La crescita infinita? E' finita.

La crescita infinita? E' finita. Il coraggio di fare la rivoluzione - 25/11/08

di Loretta Napoleoni - Internazionale

“Per uscire dalla spirale della crescita infinita c’è bisogno di un gesto radicale: inventare un’altra teoria economica”.

Cos’hanno in comune il nuovo presidente degli Stati Uniti e il pianeta? Tutti e due rischiano di deluderci per mancanza d’idee. Senza una nuova teoria economica, Barack Obama non attuerà il programma di giustizia sociale che l’ha portato alla Casa Bianca e la Terra non riuscirà a soddisfare il nostro bisogno di risorse.

La prima frase del Nuovo testamento economico potrebbe essere: “E poi arrivò la Rivoluzione industriale”. Tutte le teorie economiche moderne, da Adam Smith a Milton Friedman, incluse quelle di stampo marxista, hanno come epicentro questo fenomeno. Ecco perche il moderno capitalismo e il suo opposto, il marxismo, hanno un identico cuore: lo sfruttamento ad infinitum delle risorse, per produrre una crescita economica altrettanto infinita. Ma da Smith a Marx, da Keynes a Friedman, tutti analizzano un mondo che non esiste, un pianeta che possiede risorse illimitate.
Il problema di queste teorie é che sono costruite su ipotesi sbagliate. Per salvare il mondo ci vuole una rivoluzione teorica della stessa portata di quella scatenata dalla rivoluzione industriale. Il nuovo presidente degli Stati Uniti deve incoraggiare gli economisti a guardare al futuro immaginando il mondo del 2050, quando le risorse scarseggeranno ovunque. Fino a oggi nessuno l’ha fatto perche gli sforzi sono concentrati sul settore finanziario, dove negli ultimi vent’anni è successo di tutto e dove confluisce la ricchezza prodotta dalla globalizzazione. Il difficile compito di difendere il pianeta dalla devastazione prodotta dalla crescita economica è ricaduto sulle spalle degli scienziati, che possono solo continuare a denunciare la catastrofe ambientale provocata dall’economia globalizzata.
E inutile cercare la soluzione nelle teorie economiche del passato. Il presidente Obama se ne accorgerà quando dovrà farsi rieleggere: meglio indebitarsi ulteriormente o aumentare le tasse sulla benzina per finanziare il programma di assistenza sanitaria ai poveri? Neanche limitare lo sfruttamento delle risorse è sufficiente, perche il problema non é congiunturale, è di sistema. Anche se gli Stati Uniti diventassero improvvisamente ecologisti come i paesi scandinavi, il pianeta continuerebbe l’inesorabile discesa verso l’inquinamento globale. Il modello di sviluppo economico, per la Cina comunista come per l’India capitalista e per la Norvegia ecologista, poggia sullo sfruttamento illimitato delle risorse. Un modello alternativo non esiste. Per uscire dalla gabbia di questa teoria economica c’è bisogno di un gesto radicale: inventare una teoria nuova.
Neppure le soluzioni utopiche come quella che mette l’individuo al centro di un movimento globale ecologista o quella che vuole creare uno status speciale per chi inquina meno salveranno il mondo. Sono modelli prodotti in occidente, che presuppongono un livello di sviluppo economico molto avanzato. Al contadino indiano che finalmente può permettersi dei fertilizzanti nitrogenati interessa solo il guadagno prodotto dal raccolto più rigoglioso, che userà per meccanizzare la sua azienda.


Un mondo più giusto

Il problema insomma è globale e la soluzione deve essere globale. Ce ne siamo accorti durante la crisi del credito: l’intervento di una nazione, gli Stati Uniti, non è servito a nulla, e anche le nazionalizzazioni e i salvataggi in extremis degli altri paesi non hanno avuto i risultati previsti. Forse l’unico modo per spingere gli economisti a sviluppare una teoria nuova, che funzioni in un pianeta a risorse limitate, è partire proprio dalla crisi del credito, che è stata un pallido anticipo di quello the succederà quando si esauriranno le risorse del pianeta. Non possiamo permetterci di aspettare che la crisi peggiori per poterla risolvere. Oggi dobbiamo farci con la stessa urgenza belle domande scomode: come risolvere il problema dell’acqua? Gli economisti classici questo problema se lo sono posto e una soluzione l’hanno trovata: chi non si può permettere l’acqua morirà di sete, e la popolazione mondiale si ridurrà fino al punto in cui ci sarà acqua a sufficienza per i sopravvissuti.
Malthus non avrebbe problemi con questo scenario, l’aveva analizzato più volte nel corso della storia. Perché la storia economica è scritta da due autori: abbondanza e carestia. La grande sfida di Barack Obama è la stessa del pianeta: trovare la teoria economica che interrompa il ciclo di ricchezza e povertà che ci intrappola, una teoria che produca uno sviluppo equo, equilibrato e sostenibile, e che lo faccia prima che sia troppo tardi. Bisogna aiutare il mondo a riprendersi dalle tragiche conseguenze dello sfruttamento irrazionale the distrugge più ricchezza di quanta ne produca.
Cosi sarà più facile ottenere la giustizia sociale.

Fonte: Internazionale n. 770, 14-20 novembre, pp. 20-21

La strada del dopo Kyoto

La strada del dopo-Kyoto è una rivoluzione delle nostre menti - 5/12/08

di Giulietto Chiesa

Testo dell’intervento al seminario organizzato da Green Cross International a Poznan (Polonia) il 2 Dicembre 2008 (“PROMUOVERE IL COINVOLGIMENTO DELLA COMUNITÀ DEGLI AFFARI NELL’AFFRONTARE
IL CAMBIAMENTO CLIMATICO”)





Componenti della tavola rotonda:
Dr. Jan Kulczyk, chairman di Green Cross International;
William Becker, presidente dello US Climate Action Project;
Giulietto Chiesa, europarlamentare italiano;
Michail Liebreich, presidente e amministratore delegato di New Energy Finance;
Aleksander Likhotal, presidente di Green Cross International.

Sarà sufficiente la cornice di tempo di qui a Copenhagen per costruire un accordo mondiale circa la necessità di una brusca inversione di tendenza nelle politiche globali sul cambiamento climatico?
A me pare che siamo in bruttissime acque. Ricordo il pronunciamento finale dell’incontro del World Political Forum a Torino, lo scorso 28 maggio: «Il mondo è entrato in un periodo in cui la drammatica scala, complessità e rapidità del cambiamento causato dalle attività umane, minaccia i fragili sistemi ambientali ed ecologici da cui dipendiamo».
Tuttavia i numerosi allarmi che sono stati lanciati dalla comunità scientifica internazionale nel corso di molti anni non hanno avuto successo sinora nel convincere i governi, né le élites politiche, né le società di capitali a prendere attivamente dei provvedimenti miranti a prevenire un impatto negativo sulla vita quotidiana di milioni di persone.
Questi impatti sono stati identificati con grandissima certezza, sebbene non ci sia ancora una data, e nonostante la loro scala non sia di fatto prevedibile.
Lasciate che ricordi un po’ la cattiva sorte delle prime previsioni del Club di Roma. Era molto tempo fa e i suoi allarmi non furono quasi notati, non ricevettero nessuna attenzione e, una volta notati, suscitarono diffuse derisioni, specie fra gli economisti.
Era proprio l’inizio della globalizzazione e tutti soggiacevano ancora all’illusione della crescita indefinita. Nessun limite era allora concepibile. Tra queste illusioni c’era la più grossa: l’epoca del petrolio a basso prezzo non sarebbe mai finita.
E che dire poi dei peggiori esiti allora prospettati dagli scienziati? Vennero definiti indimostrati: mere ipotesi, nulla di più.
Ma ora, quarant’anni dopo, disponiamo di una potenza di calcolo sei miliardi di volte maggiore di quella di allora, e possiamo usare delle serie statistiche molto precise e complete.
Questi dati, e non più ipotesi, dimostrano, al di là di ogni dubbio, che siamo già in ‘overshooting’. Il che significa che l’umanità ha oltrepassato già 25 anni fa i limiti della capacità di sostegno della Terra. La nostra impronta umana ha cambiato la dinamica dell’ecosistema. Il cambiamento climatico è una, solo una sebbene la più spaventosa, manifestazione di questa situazione. E ci troviamo ora in una assoluta mancanza di tempo.
Ciò per alcune ragioni basilari: la prima è che il mondo delle società di capitali sta ancora celebrando la precedente fase di crescita e rifiuta di riconoscere che siamo già entrati in un territorio di insostenibilità.
Questo è un comportamento collettivo dettato dall’ideologia. Psicologicamente comprensibile, ma potenzialmente catastrofico dal punto di vista politico e organizzativo. Perché in questa maniera il collasso arriverà proprio in modo subitaneo, per la gran sorpresa di ciascuno.
L’altro pericolo è l’idea sbagliata che tutto sarà rimesso in carreggiata tramite i miglioramenti della tecnologia e con un uso più efficiente delle leve del mercato.
Cosa che riassumerei con l’espressione “gli affari vanno avanti come al solito”
Ma il rovescio della medaglia di questa ideologia sta nel fatto che si tratta esattamente del mercato che ha generato questi esiti, e sarebbe proprio stranissimo e curiosissimo credere che il mercato, così come è stato ed è tuttora, ci possa salvare. Non lo farà. Così come non è una soluzione nemmeno la buona idea del business “verde”. Buona ma insufficiente.
E un errore correlato sta nel pensare che il passo delle tecnologie in corso di sviluppo sarà il medesimo dei progressi dei limiti della crescita. Nei fatti i due passi non vanno in pari, hanno solo poche relazioni fra loro, e le rispettive velocità non sono nemmeno comparabili.
La crisi del cambiamento climatico, per esempio, sta andando avanti più in fretta delle tecnologie che, in linea di principio, potrebbero fermarla. E per realizzare un incremento nelle capacità tecnologiche in questo campo dovremmo dar vita a un enorme investimento preliminare nella spesa per investimenti.
Ognuno capisce ora che sarà particolarmente difficile far questo nel bel mezzo della crisi finanziaria mondiale. Ma questo, per altro verso, risulta difficilissimo se la responsabilità sociale delle società di capitale rimane al livello del “tanto per dire”. Chetavola rotonda risulta troppo basso.
Allo stesso tempo tra le élites politiche la consapevolezza del pericolo rimane abbondantemente inadeguata. L’Europa è il posto migliore, in questo preciso momento, perché l’Europa ha assunto decisamente la guida in questo campo, sebbene alcuni governi resistano. Guardate all’Italia e alla Polonia come ai peggiori esempi di questa resistenza.
A tutte queste difficoltà dovremmo aggiungere la mancanza di consapevolezza del pubblico generale in merito ai rischi seri e reali che i disastri naturali implicano come risultato del riscaldamento globale.
Molti continuano a credere che il riscaldamento globale sia un problema che possiamo lasciare alle future generazioni mentre non capiamo che sta già avvenendo oggi, è già qui che ha preso piede e ci sta già colpendo. Certamente colpirà la prossima generazione.
Questo genere di cose hanno appena cominciato a entrare nel pubblico dibattito. E in un modo talvolta molto disorientante. Milioni di persone stanno ricevendo, solo da pochissimi anni, dei segnali contradditori: da una parte informazioni crescenti sul cambiamento climatico; dall’altro la pressione a incrementare i consumi sta continuando e perfino aumentando. Il che significa un aumento delle emissioni di gas serra.
Da un terzo lato c’è, anch’essa in aumento, una fortissima pressione, proveniente da ogni sorta di gruppi lobbistici in rappresentanza di imprese e interessi settoriali. Il suo scopo è di smorzare i problemi, riducendone la chiarezza, confondere il pubblico, spostare l’attenzione, ridurre la determinazione a cambiare le politiche delle amministrazioni pubbliche locali e dei governi. E considerando che i manager delle imprese mediatiche sono primariamente sottoposti a questo tipo di pressione, anche la credibilità dei media è a rischio.
Come risultato abbiamo che stanno avanzando molte pseudo-soluzioni fittizie, che – anziché aiutare a ridurre le emissioni – distribuiscono privilegi ed esenzioni. L’enfasi spesso usata per lanciare il Mercato delle Emissioni è uno di questi casi.
Una via d’uscita illusoria che, alla fine, rischia di produrre risultati trascurabili e insignificanti nell’ammontare complessivo della riduzione delle emissioni di gas serra.
Tutto questo accade mentre abbiamo bisogno di uno sforzo straordinario per produrre, nei prossimi quindici anni, una riduzione assoluta di CO2; in grado assoluto, in termini di meno milioni di tonnellate, non solo di qualche miglioramento percentuale.
In breve siamo ancora molto lontani da una soluzione onnicomprensiva, e molto lontani anche da una visione istituzionale e politica delle questioni che stiamo per affrontare entro un periodo di tempo relativamente breve.
Egoismi nazionali, interessi aziendali, settoriali e di categoria continuano a prevalere. La più impressionante di queste tendenze negative si è vista nello scontro tra la Commissione europea e le industrie automobilistiche europee, Queste ultime hanno evidentemente le loro ragioni, buone e meno buone, per resistere. Ma se ogni interesse particolare si difenderà ignorando l’intero paesaggio, non arriveremo sani e salvi alla fine del cammino.
Ritengo che non sia solo una questione di “moral suasion”, ancorché sia certamente una questione di un nuovo modo di pensare il bene comune.
Noi, a livello europeo, abbiamo il compito di sviluppare strumenti legislativi miranti a incoraggiare e aiutare tutti i settori industriali a divenire leader (e non ostacoli) nella lotta al cambiamento climatico, iniziando con il chiedere trasparenza nelle emissioni di carbonio.
In altri termini ogni ramo della società e della politica deve capire che i compiti che abbiamo di fronte sono ti tipo epocale, e senza precedenti.
Essi richiedono un intero sistema di cambiamenti, che implichino tutti gli aspetti delle relazioni umane, industriali, politiche e sociali all’interno di ogni società così come fra gli stati.
Anche le nostre idee sulla sicurezza devono cambiare radicalmente. I maggiori pericoli per la nostra sicurezza collettiva verranno da nuovi orizzonti.
Per fronteggiarli, ad esempio, non ci servono cacciabombardieri e portaerei, missili e bombe.
Al contrario, le bombe saranno l’ultimo e il più stupido mezzo quando avessimo fallito nel creare una giusta sicurezza collettiva in tutte le altre direzioni della presente crisi. Ma se sarà così, questo vorrà dire che avremo perso.
Quel che intendo è che la strada per Copenhagen richiede, per essere completata, una vera rivoluzione nelle nostre menti.

(traduzione di Pino Cabras)

Fine corsa

http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=8173
Fine Corsa - 27/10/08

di Giulietto Chiesa - Megachip

In esclusiva per i nostri lettori, pubblichiamo l'editoriale di Giulietto Chiesa comparso sul n. 4 della rivista "Megachip".
Alcune note utili, forse, per affrontare il problema della transizione a un'altra società, che sia compatibile con la sopravvivenza del genere umano. Né più né meno. E non perché, stanti così le cose, come si dirà tra qualche riga, il nostro destino sia quello di essere eliminati dalla faccia del pianeta per manifesta incompatibilità con la natura di cui siamo parte impazzita, in quanto incapace di convivere con la sua entropia.

1) La prima considerazione-constatazione è che l'umanità ha già raggiunto, da oltre 25 anni, la situazione di "insostenibilità". Il termine usato dal Club di Roma, nel suo update del 2002, è "overshooting". Siamo in overshooting da 25 anni. E' una situazione che non si era mai verificata nella vicenda, lunga 5 miliardi di anni, della ecosfera.

Dal 1980 in avanti, circa, i popoli della Terra hanno utilizzato le risorse del pianeta, ogni anno, più di quanto esse siano in condizioni di rigenerarsi.

Cos'è esattamente l'overshooting? E' “andare oltre un limite”, anche senza volerlo. In primo luogo perché non lo si sa. Ciò avviene – dicono gli scienziati del Club di Roma - in condizione di crescita accelerata, oppure quando appare un limite o una barriera, oppure a causa di un errore di valutazione che impedisce di frenare, ovvero quando si vorrebbe frenare ma non ci sono più freni disponibili.

Overshooting contiene anche un altro aspetto: che, a un certo punto, si verifica un “picco”, doppiato il quale non si può più tornare indietro. Dove si trovi questo picco, questo Capo di Buona Speranza, è molto difficile da calcolare, perché siamo dentro problemi di altissima complessità

Siamo esattamente in una situazione in cui tutti e quattro questi aspetti sono in funzione. Inoltre si calcola che ci vorranno oltre dieci anni prima che le conseguenze dell' overshooting diventino chiaramente visibili. E ci vorranno 20 anni prima che l'overshooting diventi un'idea comunemente accettata. Bisognerà agire in questi limiti di tempo.

Ma è già evidente oggi che l'attuale architettura istituzionale della politica e dell'economia mondiale non è in grado di risolvere il problema del freno.

Quanti conoscono questa situazione? Un numero insignificante di specialisti. Pochi governanti di questo pianeta. Ecco perché questa situazione deve trovare posto in una rivista che si occupa di comunicazione e di informazione: perché questa situazione non viene comunicata e, quando lo è, è comunicata male e in forme ingannevoli.

Per esempio perfino l'opinione dei gruppi più avanzati, intellettualmente e culturalmente (per esempio Al Gore e i suoi consiglieri) è che noi "corriamo il rischio" della insostenibilità. Cioè nemmeno i più avveduti sanno che ciò è già accaduto. Di conseguenza si prendono decisioni gravemente errate.

2) Cosa occorrerebbe fare, da subito?

a) Sviluppare a ritmi forzati la ricerca scientifica e tecnologica in direzione del risparmio energetico, della riduzione dell'aumento demografico del mondo povero, dell'aumento del consumo alimentare dei poveri e della crescita delle loro condizioni di vita (perché questo riduce la natalità), dell'aumento della produzione di energie alternative, della riduzione dell'inquinamento ambientale e degli scarti: in poche parole andare verso la riduzione dell'impronta umana sull'ecosistema, sulla biosfera.

b) Pianificare gl'interventi sull'unica scala che conta, cioè su scala planetaria. Cioè dotarsi di un'architettura decisionale mondiale (si spera democratica) in grado di realizzarli. Solo una tale architettura può ampliare l'orizzonte temporale della programmazione degl'interventi e consentire effetti di lunga durata per il governo della crisi.

c) Organizzare il cambiamento di abitudini di miliardi di persone. Ciò richiede un drastico mutamento dei sistemi di informazione e comunicazione, delle istituzioni educative in generale. Mutamento che non può essere spontaneo o casuale, e che va dunque organizzato dai poteri pubblici e democratici. E' evidente che esso influirà sugli assetti proprietari del sistema mediatico, e anche per questa ragione sarà duramente osteggiato.

Vi sono alcuni corollari a queste considerazioni:

Corollario n.1. Tutti questi temi programmatici richiederebbero decenni per essere realizzati. Cioè bisognerà non dimenticare che, anche se cominciassimo oggi stesso a proporre cambiamenti, ci vorrà molto tempo prima che si producano effetti. In altri termini l 'overshooting peggiorerà nel corso del prossimi vent'anni.

Corollario n.2. Non abbiamo altri trent'anni a disposizione. Il sistema economico-sociale in cui viviamo non reggerà, senza grandi cataclismi (sociali, politici, militari) entro questo lasso di tempo.

Corollario n.3. Occorrerà rendere consapevoli grandi masse popolari, in tutti i continenti, ma soprattutto nel mondo occidentale, che i limiti dello sviluppo sono già stati raggiunti. Il fatto che non lo si veda ancora non è che la conferma che il sistema mediatico nasconde la realtà invece di renderla nota e spiegarla.

Corollario n 4. Non stiamo discutendo dell'eventualità che qualcuno, da qualche parte, decida di ridurre la crescita. La crescita, nei termini in cui è avvenuta nel corso dell'ultimo secolo, sarà fermata non da decisioni umane ma dagli eventi che derivano dalla natura dell'ecosfera, cioè dalle leggi della fisica e della chimica.

Corollario n 5. Le resistenze al cambiamento saranno enormi. In primo luogo tra i padroni del nostro tempo, le corporations, e i governi. Agli uni e agli altri sarà richiesto di perdere molto e di sottostare a condizioni e discipline che rifiuteranno di rispettare. Si imporrà una visione del “Bene Comune”, contro la quale verranno scagliate mille risposte corporative, di interessi particolari che non accetteranno di essere messi in forse. Ma non sarà solo il problema di élites egoiste. Anche miliardi di individui non vorranno, non sapranno, rinunciare alle loro abitudini, fino a che gli eventi non ve li costringeranno.

Corollario n. 6. La possibilità che scenari di grande mutamento, improvvisi, non preceduti da adeguata informazione e preparazione, provochino ondate di panico, apre la strada a forti pericoli di instabilità e a formidabili pressioni per soluzioni di guerra.

Un ulteriore aspetto della questione deve essere evidenziato.

Molte risposte fino ad ora formulate a questo tipo di considerazioni affermano che vi sono due meccanismi in azione che potranno risolvere, se non tutte, almeno una parte rilevante delle attuali e future contraddizioni. Si tratterebbe della tecnologia e del mercato. E di una combinazione di entrambi. Entrambi, in effetti, possono esercitare una influenza, ma nessuno dei due, singolarmente e insieme, sarà sufficiente. Per diversi e concomitanti motivi. La tecnologia sostitutiva e integrativa dei processi in corso non è in grado di fare fronte alla rapidità della crisi. Gli aggiustamenti tecnologici necessari per produrre mutamenti nella qualità dello sviluppo (cioè verso la sostenibilità almeno parziale, cioè verso il restringimento dell' overshooting , sicuramente non verso la sua eliminazione) richiedono tempi non inferiori ai 30-50 anni per entrare in funzione. Le tecnologie costano. Le tecnologie richiedono anch'esse ulteriori flussi di energia e di materiali. Cioè, mentre cercheranno di alleviare i problemi, ne creeranno altri. In parole più semplici: crescita della popolazione mondiale, crescita geometrica dello sviluppo dei consumi, crescita della domanda di energia in presenza di costi crescenti di estrazione dell'energia fossile organica e inorganica, saranno tutti fattori che non potranno essere fermati dalla sola crescita tecnologica (neppure nell'ipotesi ottimale che, per essa, si trovino le immense risorse necessarie) .

Per quanto concerne il mercato, esso ha proceduto fino ad ora in direzione della totale insostenibilità. E' il mercato ad avere prodotto questa situazione insostenibile. Il mercato implica una crescita esponenziale (proporzionale a ciò che è già stato accumulato) , che è racchiusa nella logica del prodotto Interno Lordo. Ma una crescita esponenziale non può procedere indefinitamente in un qualsiasi spazio finito con risorse finite .

In altri termini, l'economia capitalistica, esattamente come la popolazione, non sempre cresce, ma entrambe sono strutturate per crescere e, quando crescono, lo fanno in modo esponenziale. Questo modo non è sostenibile.

Chiedere al mercato di risolvere questa equazione à una cosa priva di senso. Esiste una grande confusione, e un grande equivoco, su questa questione, nel quale gli economisti cadono sistematicamente perché non riescono a distinguere tra denaro e le cose materiali reali che il denaro rappresenta.

L'economia fisica (le merci, i servizi, e la loro produzione) è una cosa reale.

L'economia del denaro è un'invenzione sociale che non è soggetta alle leggi fisiche della natura.

Dunque, riassumendo, il problema non è se la crescita dell'impronta umana sull'ambiente (effetto della crescita esponenziale) si fermerà: la sola questione è quando e in che modo.

Il Club di Roma trae questa conclusione, che io ritengo assolutamente fondata: “Se noi saremo capaci di anticipare queste tendenze, allora potremo esercitare un certo controllo su di esse, scegliendo tra le varianti disponibili. Se noi le ignoreremo, allora i sistemi naturali sceglieranno l via d'uscita senza riguardo al benessere dell'Uomo”

Un'ultima notazione. Secondo una studio recentissimo dell'Unione Europea, soltanto per fare fronte al riscaldamento climatico in atto, le risorse mondiali necessarie, ogni anno che verrà, oscilleranno tra le due cifre di 230 e 614 miliardi di euro.

La quota europea di questa spesa - che, si noti, concerne soltanto le spese per fare fronte alle esigenze di adattamento e di riorganizzazione sociale e industriale - sarà pari, mediamente, ogni anno, a 70 miliardi di euro. Tutto ciò in condizioni normali. Si immagini soltanto cosa potrebbe significare, in una prospettiva di medio termine, lo spostamento di 200 milioni di persone, previsto dalle organizzazioni delle Nazioni Unite, in caso di mutamenti climatici catastrofici.

E si tenga presente un dato emerso negli ultimi mesi. Dato che ci informa che, se non fossimo folli, potremmo risolvere molti dei problemi qui esposti: la sola guerra irachena è costata (secondo diverse e autorevoli valutazioni) dai tre ai cinque trilioni di dollari.

La mia espulsione da Israele

http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=8459

La mia espulsione da Israele - 26/12/08


falk-richarddi Richard Falk - da comedonchisciotte.org

Quando sono arrivato in Israele come rappresentante delle Nazioni Unite sapevo che vi potevano essere dei problemi all’aeroporto. E c’erano. Il 14 Dicembre sono arrivato all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv per svolgere il mio incarico di relatore speciale per le Nazioni Unite sui territori palestinesi.

Stavo conducendo una missione che aveva lo scopo di visitare la Cisgiordania e Gaza per preparare un rapporto sull’osservanza da parte di Israele dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. Erano stati fissati degli incontri al ritmo di uno l’ora durante i sei giorni previsti, a cominciare da quello, il giorno seguente, con Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità Palestinese.

Sapevo che vi potevano essere dei problemi all’aeroporto. Israele si era fortemente opposta al mio incarico alcuni mesi prima e il suo ministro degli esteri aveva rilasciato una dichiarazione secondo cui avrebbe proibito il mio ingresso se fossi venuto in Israele nel mio ruolo di rappresentante dell’Onu.

Allo stesso tempo, non avrei fatto il lungo viaggio dalla California, dove vivo, se non fossi stato ragionevolmente ottimista sulle mie possibilità di riuscire a entrare. Israele era stata informata che avrei guidato la missione e avrei fornito una copia del mio itinerario, e aveva rilasciato i visti alle due persone che mi assistevano: un addetto alla sicurezza e un assistente, che lavorano entrambi nell’ufficio dell’alto commissario per i diritti umani a Ginevra.

Per evitare un incidente all’aeroporto, Israele avrebbe potuto o rifiutarsi di accettare i visti o comunicare alle Nazioni Unite che non mi avrebbero permesso di entrare, ma non è stata presa nessuna delle due misure. Sembra che Israele abbia voluto impartire a me, e in modo assai più significativo alle Nazioni Unite, una lezione: non vi sarà nessuna collaborazione con coloro che esprimono forti critiche sulla politica di occupazione israeliana.

Dopo che mi è stato negato l’ingresso, sono stato tenuto in custodia cautelare insieme a circa altre 20 persone con problemi d’ingresso. Da questo momento, sono stato trattato non come un rappresentante delle Nazioni Unite, ma come una sorta di minaccia falkper la sicurezza, sottoposto ad una perquisizione corporale minuziosa e alla più puntigliosa ispezione dei bagagli che abbia mai visto.

Sono stato separato dai miei due colleghi delle Nazioni Unite, a cui è stato permesso di entrare in Israele, e condotto nell’edificio di detenzione dell’aeroporto, distante circa un miglio. Mi è stato chiesto di mettere tutti i miei bagagli, insieme al cellulare, in una stanza e sono stato portato in un piccolo locale chiuso a chiave che puzzava di urina e di sudiciume. Conteneva altri cinque detenuti e costituiva uno sgradito invito alla claustrofobia. Ho passato le successive 15 ore rinchiuso in questo modo, il che è equivalso ad un corso intensivo sulle miserie della vita carceraria, inclusi lenzuola sporche, cibo immangiabile e luci che passavano dal bagliore all’oscurità, controllate dall’ufficio di guardia.

Naturalmente, la mia delusione e la mia dura reclusione sono cose insignificanti, non meritevoli di notizia per sé stesse, date le serie privazioni sopportate da milioni di persone in tutto il mondo. La loro importanza è soprattutto simbolica. Sono una persona che non ha fatto nulla di sbagliato, se non esprimere la propria forte disapprovazione per la politica di uno stato sovrano. Soprattutto, l’ovvia intenzione era di umiliare me come rappresentante dell’Onu, e di mandare perciò un messaggio di sfida alle Nazioni Unite.

Israele mi ha sempre accusato di essere prevenuto e di aver fatto accuse incendiarie sull’occupazione dei territori palestinesi. Nego di essere stato prevenuto ma insisto invece che ho cercato di essere obbiettivo nel valutare i fatti e la legislazione di pertinenza. Il carattere dell’occupazione è di dare adito ad aspre critiche sull’atteggiamento israeliano, specialmente sul rigido blocco imposto a Gaza, che ha come conseguenza la punizione collettiva di un milione e mezzo di abitanti. Prendendo di mira l’osservatore, invece di quello che viene osservato, Israele gioca una partita scaltra. Distoglie l’attenzione dalle realtà dell’occupazione, praticando in modo efficace una politica di diversione. Il blocco di Gaza non assolve nessuna funzione legittima da parte di Israele. Si dice che sia stato imposto come rappresaglia per alcuni razzi di Hamas e della Jihad islamica che sono stati lanciati oltreconfine sulla città israeliana di Sderot. L’illegalità di lanciare questi razzi è indiscutibile, ma non giustifica in alcun modo l’indiscriminata rappresaglia israeliana contro l’intera popolazione di Gaza.

Richard Falk
(Inviato Onu per i diritti umani) - The Guardian

Abbasso le feste comandate

e ancor di più quelle di fede religiosa...

http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=8457
Cronache Bizantine. Abbasso le Feste Comandate! - 25/12/08

di Ennio Remondino - Megachip

Da quando ho superato i 10 anni d’età e la favola di Babbo Natale, sogno l’abolizione della “Feste comandate”. Lascio da parte il Natale, ormai trascorso, e la Pasqua che deve inevitabilmente seguire, per le evidenti implicazioni religiose di chi ha la fede, ma insisto a detestare Capodanno, Ferragosto e tutte le più recenti “festività” di mamma, papà, nonni, cugini, zie ed amori inventate dai pubblicitari.

L’obbligo a festeggiare e a divertirsi che producono arrabbiatura garantita e fregatura assicurata. Il Capodanno come il “film panettone”, da abolire per tutela della salute pubblica. Le festività d’obbligo, oltre che una seccatura, possono diventare anche occasioni sottilmente crudeli. Le musichette della gioia e la Sacralità della Famiglia ovunque, quando moltissime famiglie sono costrette a raccattare, per l’occasione, i pezzi che avevano perso per strada. Bimbi ad inseguire regali e genitori sotto alberi separati. Suoceri e suocere a guadagnarsi odio al posto della consueta e più innocua indifferenza. L’obbligo a mostrarsi buoni quando ti girano le balle per un mondo dove di buono resta davvero poco. La corsa ai consumi e l’appello all’ottimismo quando hai appena ricevuto la lettera di cassa integrazione o quella di fine di contratto precario. Ottimista sarà Lei, Caro Presidente Berlusconi: non per remare contro a tutti i costi, ma io proprio non ci riesco.

L'Istat, proprio alla vigilia di Natale, ci ha raccontato che il 5% delle famiglie italiane non ha soldi per comprare cibo ed il 15% arriva con difficoltà alla fine del mese. Questo soltanto nello scorso anno. Il 2008, lo sappiamo noi prima dell’Istat, sta andando certamente peggio. Restiamo al rimpianto 2007: il 5% di italiani vuol dire un milione di persone che va a letto con la fame, e quelle che non arrivano alla fine del mese sono 7 milioni e mezzo. Poi la crudele questione della “media”. Secondo la teoria del mezzo pollo per ciascuno, nel 2006 la “famiglia media” italiana guadagnava 28 mila 500 euro l’anno, escluse le tasse. Statisticamente parlando io o qualsiasi di voi fa media con Berlusconi o un Agnelli. Bella consolazione. Ma non è solo il cibo a mancare a una famiglia su venti. Più dell’11% delle famiglie non ha avuto i soldi per le cure mediche, per fare esami, ottenere diagnosi, operazioni. A molti mancano anche gli abiti, non per la moda, ma per il freddo. Quanti sono stati i morti per mancanza di soldi, l’Istat non lo dice.

Anche per questi numeri, laicamente, da minoranza in via d’estinzione, sento viva ormai soltanto la memoria del 25 aprile e del primo maggio. Forse ormai sono favole anche le mie, ma ci tengo. Il 2 giugno, se sono nei paraggi di un’ambasciata italiana dei miei territori giornalistici, mi impongo la Festa della Repubblica ed un certo giorno dell’anno, da troppi anni, cerco di essere in trasferta per quello che risulta essere il mio compleanno. Mi appello dunque a tutti quelli che odiano questo periodo dell’anno. Non so se siamo minoranza o “maggioranza silenziosa” e quindi codarda. Per questo grido: “Alziamo la testa amici dell’anti-festività e mettiamoci in sciopero da auguri, sms, panettoni e buone parole a tutti gli antipatici, cattivi ed inutili con cui siamo costretti ad avere a che fare in questo infausto periodo dell’anno”. La nostra intima festa del “Vaffa” silente, senza bisogno di nessun Grillo parlante.

Vivendo in un paese musulmano (la sede di corrispondenza Rai da Istanbul), mi capita inoltre di pensare alla prevaricazione coloniale della nostra cultura cristiano-occidentale sul resto del mondo. Noi ed il nostro “Calendario Gregoriano” per contabilizzare persino lo scorrere del tempo e della vita. Mi sono documentato ed ho scoperto che esistono almeno altri 10 Calendari. Ad Istanbul, per esempio, dovrei augurare “Buon 1430” , dalla data dell’Egira di Maometto. A Gerusalemme ovest, con gli amici ebrei, dovrei festeggiare il 5770 deciso dalla Bibbia. A Belgrado, il Natale giuliano e liturgico arriva con la nostra Epifania. Per il mio amico e stimatissimo collega Paolo Longo, da Pechino, buon 4646, ma a partire dal 21 gennaio. Per Raffaele Fichera, dal Sud America, varrebbe l’intraducibile calendario Maya. Buon Capodanno che vi pare a tutti voi, e che le Feste finiscano presto. Col 2009 che ci attende avremo di che sprecare ottimismo.

Crimini in Vaticano

http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=8451&page=2
di Giorgio Bongiovanni - www.antimafiduemila.com
IIparte

30 miliardi e Amen

Si è discusso a lungo di tutta questa faccenda sui giornali italiani, in particolare per alimentare la solita bagarre politica necessaria a nascondere sotto il gigantesco tappeto le molte responsabilità e le molte cointeressenze nelle scalate bancarie. Non si è fiorani-gianpieroparlato quasi per niente invece di alcuni cruciali passaggi della carriera di Gian Piero Fiorani alle cui origini c’è la sua naturale predisposizione agli ambienti cattolici e della Dc. Ancora prima di entrare in banca il giovane lodigiano scriveva su Il cittadino di Lodi e su L’Avvenire ed è proprio grazie alla frequentazione di Antonio Fazio che viene introdotto nelle alte sfere dell’episcopato. Nel 2000, poco dopo essere diventato amministratore delegato della Bpl, entra in contatto con il cardinale Ruini, presidente della Cei, (la conferenza episcopale italiana, cioe’ il parlamento del vaticano) con il quale mette a punto una serie di progetti per la ristrutturazione e la costruzione di parrocchie. Per analogia si potrebbe paragonare il ruolo di Fiorani e della Banca di Lodi a quello che ebbero Roberto Calvi e l’Ambrosiano anche se in proporzioni minori e fortunatamente con un epilogo meno drammatico. Entrambi però sono stati banchieri spericolati che si sono fatti strada nel mondo della finanza anche per il giusto altolocato contatto con la finanza vaticana. Della reale entità del rapporto di Fiorani con il Vaticano si conosce appena un accenno, quello che il banchiere stesso rivela ai magistrati di Milano che lo interrogano il 10 luglio 2007.
E’ Fiorani a introdurre l’argomento e lo fa con una lamentela: “Io ho perso ogni tipo di credibilità, di referenza con la Chiesa – spiega al pm Fusco – Mi dispiace dirglielo, l’ho persa completamene… (…) L’ho contestato al Cardinale Re, che ho rivisto, l’ho contestato ad altri personaggi perché ho detto: ‘Voi siete un’associazione che è la peggiore che c’è al mondo, no un conto è la fede, un conto è la Chiesa’ (…) ‘Voi vedete uno che vi dà i soldi, come io vi ho sempre dato i soldi in contanti, contabile che ho, ma andava tutto bene. Dall’altra parte quando una persona poi è in disgrazia, non fate neanche una chiamata a sua moglie per sapere se sta bene o male’. Io l’ho apertamente detto. Sa cosa mi hanno risposto? Che la chiesa è fatta di uomini e gli uomini sbagliano”.
calvi-robertoLo sfogo prosegue con una confessione e una pseudo minaccia di vendetta: “… io contesterò nelle sedi opportune… perché io i primi soldi neri li ho dati al Cardinale Castillo Lara, quando ho comprato la Cassa Lombarda. Che mi ha chiesto di dargli 30 miliardi delle vecchie lire possibilmente su conto estero, non sul conto del Vaticano. Io allora beh, tranquillo, con Mazza dico: ‘Allora, mi dia il conto del Vaticano che bonifichiamo la somma’, ‘No, bonifichiamo Bsi (Banca Svizzera Italiana) Lugano, mi dice’.
Alle domande del pm Fiorani chiarisce tutto l’antefatto. Una quota della Cassa Lombarda, il 30%, è di proprietà dell’Aspa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica) di cui dal 1989 è presidente il cardinale venezuelano Rosario Josè Castillo Lara. Il quale, secondo la ricostruzione del banchiere, avrebbe chiesto di far transitare il denaro tramite conti esteri per farlo poi depositare in un conto presso la Bsi di Lugano. La quota del Vaticano fu infatti prima intestata ad una società della Banca Svizzera poi girata alla famiglia Trabaldo Togna proprietaria della Cassa Lombarda che poi avrebbe venduto alla Lodi.
La ragione di questo giro è presto detta: “Noi abbiamo dichiarato un valore troppo basso – gli dice il cardinale – paghiamo troppe plusvalenze, allora facciamo un’operazione estero su estero”. E Mazza, al tempo patron di Bdl, siamo nel 1995, ordina al suo giovane pupillo di eseguire: “Va beh, vai là, fallo”.
Così Fiorani trasferisce con un bonifico bancario i 30 miliardi delle vecchie lire su questo conto svizzero e aggiunge al magistrato: “Ci sono tre conti del Vaticano (alla Bsi di Lugano ndr.) che erano su penso, non esagero, dai due ai tre miliardi di Euro.!”.
Inutile dire che non è stato possibile effettuare alcun accertamento sulle dichiarazioni di Fiorani che riguardano la finanza Vaticana come in nessuno dei casi che in passato hanno coinvolto i vertici porporati. Intoccabili, ingiudicabili, improcessabili, qualsiasi sia il crimine o l’ingiustizia da loro commessa.
Eccone un dettagliato elenco, a valutare siano almeno i cristiani.

A futura memoria

Nel dossier sulla storia blasfema del Vaticano che nelle prossime settimane pubblicheremo ricostruiremo alcuni dei fatti più eclatanti che hanno visto il coinvolgimento dei vertici dell’istituzione della Chiesa cattolica in crimini più o meno gravi. Partecipazioni dirette e indirette, compiacenze e terribili omissioni.
La benedizione di dittature e violenze di massa, i genocidi di indigeni e le prevaricazioni razziali, la collusione con potenti e corrotti, le cointeressenze con speculatori e mafiosi, le cospirazioni internazionali contro i governi avversi, il riciclaggio, il silenzio e i misteri consumati all’interno delle mura vaticane, il messaggio di Fatima, la morte di Papa Luciani, i privilegi fiscali e il più orribile dei crimini: la pedofilia.
Un viaggio dentro Babilonia la grande spaccata al suo interno dall’operato misericordioso e santo di tanti missionari osteggiati e sacrificati per restituire almeno un po’ di dignità al Credo cristiano sepolto sotto cumuli di ricchezza e nefandezze che nulla hanno a che vedere con gli insegnamenti di Gesù Cristo il quale implacabilmente ricorda ai traditori della Sua Chiesa i Comandamenti e le leggi della vita Universale:

“Ama il prossimo tuo come te stesso”. (Matteo, 19,16-10). Le dittature e le guerre sante della chiesa cattolica hanno tradito Cristo.

bruno-giordano“ E’ più facile che un cammello passi nella cruna dell’ago che un ricco entri nel regno dei Cieli”. (Matteo, 19,24) La corruzione e il potere della Chiesa Cattolica hanno tradito Cristo.

3. “Chiunque scandalizza uno di questo bimbi farebbe meglio a gettarsi in mare con una macina al collo”. (Matteo,18,11-10) La pedofilia all’interno della Chiesa cattolica ha tradito Cristo.

Diceva Giordano Bruno, il grande filosofo italiano del XVI sec, bruciato sul rogo di Campo de Fiori a Roma proprio dalla Chiesa Cattolica il 16 febbraio del 1600: “La religione è indispensabile all’uomo cosi come la filosofia. Non è possibile una società senza religione tra i popoli. Ma la religione ed in particolare quella cattolica romana deve cambiare, ritornare alle origini, deve essere strumento di fratellanza e convivenza civile tra gli uomini e non centro di potere”. Il Messaggio di questo Eterno Spirito che muta nel tempo lo faccio mio oggi. Noi non siamo contro le religioni e gli insegnamenti Universali. Noi siamo contro quei Criminali vestiti da Uomini che esercitano il potere tiranno nel nome di Cristo personificando quel blasfemo valore che inesorabilmente sta conducendo la società umana al fallimento e all’autodistruzione: l’inganno, che è peggiore del tradimento.

Buon Natale agli assetati di Giustizia, ai sofferenti e agli amanti dell’Amore.

In Fede

Giorgio Bongiovanni

S. Elpidio a Mare - Italia - 21 dicembre 2008 ore 11,30



Iparte
Premessa:

Mi sento un uomo di fede e come tutti sanno da vent’anni vivo la mia esperienza spirituale personale, ma sono anche un giornalista impegnato, quale direttore di ANTIMAFIA Duemila, nel cercare di dare il mio contributo all’affermazione della democrazia, della libertà, della giustizia e della fratellanza nella mia terra natia, la Sicilia, il mio Paese, l’Italia, in Europa e nel mondo intero.
Mi riconosco negli insegnamenti Cristiani della Chiesa Cattolica, anche se ho sviluppato idee per certi versi eretiche rispetto a quelle ufficialmente proclamate dalla Chiesa, concetti di filosofia universale e cosmica contemplati da molte scuole spirituali d’oriente e dello stesso occidente, che tuttavia non mi impediscono di individuare all’interno dell’istituzione cattolica l’operato di autentici Ministri di Cristo. Uomini e donne che vivono il sacerdozio a “imitazione di Cristo”, rendendo vivo e concreto il Vangelo come don Luigi Ciotti, che mi ha concesso l’onore di battezzare i miei figli, come Padre Alex Zanotelli, come Madre Teresa di Calcutta così come credo nella santità delle stimmate di Padre Pio.
Questa premessa è per specificare che quanto leggerete in questo dossier non è l’attacco di un ateo anticlericale né tanto meno la provocazione di un polemico, è invece un grido, un richiamo accorato affinché venga fatta pulizia all’interno della Chiesa di Pietro che Cristo chiamò la casa della preghiera. Perché quando tornerà non abbia a dover ripetere quanto già disse una volta: “Voi fate della mia casa di preghiera un covo di ladri” (Giovanni 2, 16 : Marco 11, 15-17: Luca 19, 45-46: Matteo 21, 12-13)
Quindi nel rispetto del credo di tutti i fedeli questo è il mio intento.

Crimini e silenzio

piazza-san-pietroL’intera storia della Chiesa Cattolica, soprattutto nell’esercizio del suo potere temporale, è costellata di crimini, scandali, violenze, soprusi, menzogne e mistificazioni. Da secoli e per secoli l’Istituzione cattolica romana ha costruito il suo impero sull’inganno diventando uno degli attori principali di quel sistema mondiale che ha diviso il pianeta in ricchi predatori e in poverissimi depredati. Quello che solo oggi è visibile agli occhi di tutti è la risultante di centinaia di anni di prevaricazione e prepotenza che hanno determinato l’incolmabile divario tra i popoli, tra le razze e la devastazione del sistema ambientale ad esclusivo beneficio di pochi potenti, intoccabili e impuniti che ingrassano le loro smisurate ricchezze affamando interi popoli. Anche il Vaticano è responsabile del miliardo di persone che ogni giorno muore nel genocidio più drammatico di tutti i tempi, quello provocato dalla fame e dalla estrema povertà, perché ha stretto accordi e affari con i dominatori disonesti di ogni dove, prestando le sue segrete stanze ai criminali di ogni tempo, dittatori, mafiosi, assassini, speculatori, finanzieri senza scrupoli, politici corrotti, tutti illustri colletti bianchi e porpora. Solo di alcuni di questi, dei più piccoli e più sacrificabili tra i pesci, si sono potute ricostruire le storie criminali e senza mai alcuna conseguenza per gli alti prelati vaticani, protetti dalle solide e sontuose mura di alabastro e dal silenzio compiacente dei maggiori mass-media che sono controllati dai medesimi gruppi di potere in cui siedono cardinali e vescovi.
Non deve meravigliare perciò che di tutto il rumoreggiar che si è fatto dello scandalo dei cosiddetti “furbetti del quartierino”, dagli sms privati al vergognoso attacco che ha destituito il pg Clementina Forleo dalle proprie funzioni, poco, pochissimo risalto ha avuto invece un risvolto di questa inchiesta, a mio avviso, per niente secondario. Solo l’attenta penna di Curzio Maltese su Repubblica e un paio di ottimi libri (Capitalismo di rapina, Biondani, Malagutti, Gerevini Ed. Chiarelettere e Onorevoli wanted, Travaglio e Gomez Ed. Riuniti) hanno riportato quanto uno dei principali protagonisti di quest’ennesima truffa ai danni degli italiani, Gian Piero Fiorani, ha raccontato in un brevissimo verbale ai magistrati che lo interrogavano.
Prima però facciamo un piccolo passo indietro.

Nuove facce, un unico infallibile metodo

Gian Piero Fiorani è un uomo brillante e carismatico. Ha solo 19 anni quando entra alla Banca popolare di Lodi. Le sue doti emergono immediatamente e nel giro di pochi anni sale i gradini della gerarchia interna alla Bpl conquistandosi la fiducia personale del grande patron Angelo Mazza che gli affida incarichi sempre più delicati in diverse parti d’Italia, a Firenze e in Sicilia, per farne poi uno dei suoi prediletti. Il giovane pupillo viene infatti a conoscenza dei conti segreti esteri di cui dispone la banca e apprende con grande celerità il sistema per guadagnare, far guadagnare e intraprendere una sfolgorante carriera. Il destino gli serve presto l’occasione per mettere in pratica tutto quanto assimilato con tanta perspicacia. Mazza muore improvvisamente a soli 58 anni nel 1997 e viene sostituito da Ambrogio Sfondrini ma solo per due anni; nel 1999, infatti, l’amministratore delegato della Banca di Lodi è Gian Piero Fiorani.
Fino al 2005, quando la sua stella precipiterà dal firmamento della finanza Fiorani farà compiere un enorme salto di “qualità” alla Bpl inserendola nella rosa dei primi dieci istituti finanziari italiani. Il metodo è vincente. Si circonda di un gruppo di fedelissimi che inserisce ai vertici dei vari posti di comando, gratifica i suoi dipendenti più audaci e molto poco schizzinosi con bonus da favola e traghetta una banca di provincia tra i colossi italiani fino a sfidare un Golia europeo come l’olandese Abn Amro.
Il tutto, come dimostrerà la magistratura, truccando le carte e violando ogni regola e, naturalmente non da solo.
Oltre ai suoi fidati Gianfranco Boni, “mago della finanza”, Attilio Savaré suo alter ego in amministrazione, Giovanni Vismara, suo consigliere in strategie e Donato Patrini, sua longa manus nei delicatissimi rapporti con i politici, Fiorani stringe alleanze fondamentali con i nomi di primo piano della scena nazionale italiana, imprenditoria e finanza comprese.
Grazie ad un sofisticato sistema di truffe e speculazioni ai danni dei correntisti e dei risparmiatori, grazie soprattutto ad accurate e continue operazioni di insider trading (ossia sapere in anticipo notizie riservate sugli investimenti ndr.) Fiorani e i suoi creano e rimpinguano a dismisura un infinito numero di conti correnti esteri sparsi in tutto il mondo, dalle Cayman a Singapore passando per la Svizzera e il Liechtenstein, ai quali attingere per foraggiare questo o quel personaggio a seconda delle necessità e delle ambizioni.
Forte di questa rete l’Ad della Bpl, che poi nel 2005 cambierà il suo nome in Banca Popolare Italiana, prepara il big business, il colpo più importante della sua vita: la scalata all’Antonveneta.
Il tipico scandalo italiano che rivela, ancora una volta, l’intreccio affaristico-criminale tra interi pezzi della classe dirigente del nostro Paese che specula e ingrassa sulle spalle di ignari e inermi cittadini.
E’ l’estate del 2004 quando Fiorani rivela a un selezionatissimo gruppo di uomini collocati nei punti strategici la sua intenzione, almeno la prima: assumere il controllo di Antonveneta assieme al gruppo di azionisti di Hopa, la creatura finanziaria di Emilio Gnutti (Hopa sta per Holding di partecipazioni ndr).
Fiorani informa per primo Gnutti, ovviamente, e poi Luigi Grillo, esponente di Forza Italia affinché metta al corrente Berlusconi delle sue mire, Ennio Doris, presidente berlusconiano di Mediolanum, Bruno Bianchi, uno degli ispettori di Bankitalia, Fabio Pelenzona vice presidente di Unicredit, consigliere di Mediobanca, esponente della Margherita e molto utile per i suoi contatti con la famiglia Benetton che detiene quote di Antonveneta, Don Gianni Bignami, prete esperto di finanza molto ben introdotto in Vaticano e soprattutto il suo interlocutore più importante Antonio Fazio, il presidente della Banca d’Italia, dalla cui firma dipende il successo del suo piano.
Fiorani inizia a muoversi per dotarsi degli elementi fondamentali di cui necessita: il consenso di coloro che contano, la situazione politica favorevole e fidati amici cui far rastrellare illegalmente le azioni Antonveneta con il denaro fornito con infiniti giri dall’estero proprio dalle casse occulte della Bpl. Gli ostacoli? Molti, ma non sono un problema: si superano comprando o ricattando, sono tali e tanti i favori che ha elargito in ogni direzione da poter passare a batter cassa in ogni sponda.
Quando infatti la Lega Nord dichiara di voler votare le nuove norme sul risparmio andando di fatto a limitare il potere di Fazio basterà una sola telefonata di Fiorani a ricordare ai vertici del partito di quel favorino che fece loro salvando dal crack certo la Credieuronord, la banca dei “purissimi” contro “Roma ladrona” fatta fallire a tempo di record con un debito enorme che si sarebbe scaricato sulle spalle degli esigenti imprenditori padani.
ratzingerIl banchiere di provincia non perde un colpo, si trasferisce letteralmente al Senato e cura di persona, uno per uno, i rapporti con i vari politici per proteggere la posizione di Fazio che, naturalmente, contraccambia tanta sollecitudine.
Quando la Abn Amro nel marzo del 2005 annuncia l’Offerta pubblica di Acquisto (Opa) su Antonveneta, Fazio limita e dilata la scalata olandese favorendo quella ancora non dichiarata da Fiorani che nel contempo è riuscito a mettere insieme altri 18 investitori prestanome e denaro sufficienti per realizzare il suo sogno.
A comprare in sordina le quote della banca padovana sono tra gli altri un gruppo di rapaci imprenditori bresciani legati a Gnutti, Stefano Ricucci, Francesco Bellavista Caltagirone e altri tutti in percentuali sotto i limiti per cui andrebbero dichiarate sul mercato (2% per la Consob e 5 % per Bankitalia ndr).
Tuttavia il capo della banca olandese Rijkman Groenik ha già cominciato a sentire puzza di bruciato. E’ il momento di ingaggiare le contromosse premendo anche sugli organismi di vigilanza europea che avviano le prime richieste di verifica. Fiorani però non si perde d’animo e con la complicità di Fazio riesce a far credere che le azioni comprate dai 18 investitori non rientrano nella cosiddetta “azione di concerto”, cioè non agiscono sotto la sua regia. Nessuno, nemmeno la Consob, andrà a verificare che i soldi per l’acquisto delle azioni vengono dalla Bpl.
Nel frattempo il Banco di Bilbao lancia l’Opa sulla Bnl in cordata con le Generali e Della Valle. Ad opporsi un altro eterogeneo gruppo di “furbetti” tra cui gli immobiliaristi Danilo Coppola, Statuto e altri investitori tra cui sempre Ricucci, Gnutti e soprattutto Caltagirone.
Quando Giovanni Consorte, il numero uno di Unipol, super appoggiato da D’Alema e Fassino come rivelano le intercettazioni che non sentiremo mai e per le quali il gip Forleo ha perso il suo posto, lancia la sua Opa su Bnl, tutti i “furbetti del quartierino” gli venderanno le loro quote realizzando guadagni da capogiro e favorendo la scalata italiana sponsorizzata a gran voce dai politici nostrani che per difendere i propri interessi tuonano contro l’assalto delle banche estere a quelle italiane.
Le pressioni europee però mettono in difficoltà Bankitalia all’interno della quale si crea una vera e propria spaccatura tra gli uomini del presidente Fazio che difendono a spada tratta Fiorani e altri che invece redigono un rapporto nel quale considerano la Bpl non in grado di far fronte alla gestione di Antonveneta. Un braccio di ferro intestino che si arresta solo con l’intervento della magistratura che già da diverso tempo, grazie ad un testimone, Egidio Menclossi, scaricato da Fiorani perché faceva troppe domande, sta indagando su Fiorani e compagni. Il mago di Lodi verrà arrestato trascinando in rovina per primo Fazio e poi tutta la brigata di avventurieri che avevano trafficato e lucrato con lui. Antonveneta come noto sarà poi acquisita da Abn Amro e Bnl da Bnp Paris Bas.
Sarà quindi la magistratura ancora una volta a riportare ordine dopo l’assalto di pirateria con cui questa nuova razza predona ha fatto e continua a fare scempio dei profitti del lavoro onesto dei cittadini, assumendosi, da sola, la responsabilità del controllo e della sanzione che invece dovrebbe venire anche dagli altri organi preposti oltre che, manco a dirlo, da una politica e da un’imprenditoria onesta e trasparente. Ma non è così che funziona il sistema, anzi è anche peggio.

domenica 21 dicembre 2008

La questione morale

I PARTITI non fanno più politica. Hanno degenerato e questa è l'origine dei mali d'Italia. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani, oppure distorcendoli senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello: non sono più organizzazioni che promuovono la maturazione civile e l'iniziativa del popolo, ma piuttosto federazioni di correnti e di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss".
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le istituzioni a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai, alcuni grandi giornali.

Molti italiani si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato e delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ottenuto vantaggi o sperano di riceverne o temono di non riceverne più.
La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendovi dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, denunciarli e metterli in galera. La questione morale nell'Italia di oggi fa tutt'uno con l'occupazione dello Stato da parte dei partiti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo.

28 luglio del 1981 - Enrico Berlinguer in un'intervista pubblicata su Repubblica

venerdì 19 dicembre 2008

Salerno - che succede?


Salerno non decolla più
Stop voli da Pontecagnano
Annuncio a sorpresa quello fatto dalla Global Aviation Network che ha sospeso il servizio che assicurava per l'aeroporto di Salerno. La società che ha dato vita allo scalo in un lungo comunicato specifica le ragioni che hanno portato alla scelta, alcune legate agli scenari economici mondiali, ma altre a motivi locali. Fra questi la scelta di OrionAir fatta da Global Aviation Network come partner per operare i voli. ''Purtroppo e sorprendentemente, alcuni dei problemi che hanno creato maggiori disagi ai passeggeri sono venuti proprio dal velivolo'', si legge nella nota. Altro attore negativo di questa vicenda è stata la contrapposizione fra enti ed istituzioni: ''La politica locale è stata, in tutti questi mesi, così capace di influire negativamente sul destino dell'aeroporto, da rendere la cosa del tutto inspiegabile agli occhi di una società che si stava impegnando con tutte le sue risorse, finanziarie, tecniche e umane, per fare funzionare i voli. L'escalation di scontri, il cui apice è stato il momento in cui si è arrivati a provvedimenti giudiziari gli uni contro gli altri, hanno generato profondo disagio presso il pubblico, un calo della domanda, la convinzione presso molti che l'aeroporto avrebbe chiuso e la presa di posizione di alcuni operatori turistici, soprattutto agenzie del nord Italia, che 'Salerno non funziona', con conseguente vendita di biglietti su Napoli e disagio per i salernitani. Fattori quali minacce di scioperi, mancanza di segnaletica stradale, carenze infrastrutturali e altre situazioni poco piacevoli non hanno aiutato lo scalo a sostenere i voli di Global Aviation''. Gli ultimi incidenti sono stati la rottura del sistema VOR e l'azionamento da parte del personale di pulizia, dello scivolo d'emergenza che ha impedito i voli. Il presidente del conorzio aeroportuale, Augusto Strianese, precisa che l'aeroporto non chiuderà e che il consorzio è parte lesa in questa vicenda e si sta già attivando a trovare altre compagnie aeree disposte a garantire il servizio. I legali del consorzio sono già al lavoro, aggiunge, anche perché sono gia' stati venduti 3000 biglietti aerei per le prossime vacanze di Natale, ''il segnale più evidente questo della buona salute dello scalo salernitano e delle grandi potenzialità che ha''.
(18 dicembre 2008)

Il comunicato della compagnia


Global Aviation Network sospende i voli e spiega i fatti. (Parte 1 di 2)
Global Aviation Network, che con un ambizioso e accurato business plan ha dato vita all’Aeroporto di Salerno, si vede costretta a sospendere il servizio e per la prima volta dopo mesi di impegno e duro lavoro racconta il proprio punto di vista sui fatti.
Sono cinque i fattori negativi che hanno costretto a sospendere i voli: due incontrollabili, mentre altri tre sono imputabili a precise responsabilità.
I due fattori che sfuggono al controllo di chiunque, anche di chi ha studiato il business plan, sono la crisi finanziaria globale e il costo del petrolio andato alle stelle nei primi mesi di operatività.
Per il costo del petrolio, lo scenario internazionale ha messo la società di fronte a una situazione in cui il costo del carburante aveva raggiunto nei mesi estivi cifre impensabili; basti pensare che le quotazioni del 17 dicembre sono di circa tre volte inferiori rispetto a quelle viste la scorsa estate. Il carburante ha quindi inciso in modo imprevisto e pesante sulla cassa di Global Aviation Network, che ha fatto comunque fronte agli impegni ben oltre quanto prevedibile, tenendo costantemente aggiornato il Consorzio per l'Aeroporto della situazione.
La crisi finanziaria internazionale, dal canto suo, ha avuto ripercussioni pesanti a causa delle banche italiane. Ha infatti determinato non solo l’impossibilità di accedere al credito per sostenere i piani di sviluppo, già disegnati nel business plan, ma addirittura l’interruzione unilaterale da parte del sistema bancario di accordi già in atto, per cui anche le più semplici e garantite forme di finanziamento a breve sono state bruscamente interrotte unilateralmente e senza motivo. A nulla sono valse le garanzie, lo storico e gli impegni sempre rispettati. Neanche l’appoggio e le garanzie offerte dagli attori istituzionali impegnati finanziariamente a sostenere il progetto ha avuto spazio per sbloccare la situazione, nemmeno presso i propri fidati interlocutori bancari, con il risultato che nulla è andato avanti.
Ora veniamo alle responsabilità locali.
OrionAir è stata la compagnia aerea scelta da Global Aviation Network come partner per operare i voli. Global Aviation Network, forte dell’esperienza di Guglielmo Rapicano, aveva preferito la proposta degli spagnoli di OrionAir ad altre perché offriva garanzie migliori, era giovane e con le risorse per crescere. Purtroppo e sorprendentemente, alcuni dei problemi che hanno creato maggiori disagi ai passeggeri sono venuti proprio dal velivolo. I casi sono noti: i ritardi del 1 settembre per problemi tecnici a Madrid di domenica; problemi con un motore; problemi con le luci interne; problemi al carrello; rottura del pannello spie dei sistemi di bordo; etc
La politica locale è stata, in tutti questi mesi, così capace di influire negativamente sul destino dell’aeroporto da rendere la cosa del tutto inspiegabile agli occhi di una società che si stava impegnando con tutte le sue risorse, finanziarie, tecniche e umane, per fare funzionare i voli. L’escalation di scontri, il cui apice è stato il momento in cui si è arrivati a provvedimenti giudiziari gli uni contro gli altri, hanno generato profondo disagio presso il pubblico, un calo della domanda, la convinzione presso molti che l’aeroporto avrebbe chiuso e la presa di posizione di alcuni operatori turistici, soprattutto agenzie del nord Italia, che “Salerno non funziona”, con conseguente vendita di biglietti su Napoli e disagio per i salernitani.

Fattori quali minacce di scioperi, mancanza di segnaletica stradale, carenze infrastrutturali e altre situazioni poco piacevoli non hanno aiutato lo scalo a sostenere i voli di Global Aviation Network. I casi più eclatanti sono stati la doppia rottura dell’apparecchiatura VOR aeroportuale per la guida all'atterraggio e, ultimo, il caso del personale di pulizia dello scalo che ha attivato distrattamente lo scivolo di emergenza provocando l’impossibilità a volare, perché indispensabile per motivi di sicurezza.
In tutti questi casi, con estrema dedizione Global Aviation Network non solo ha dovuto gestire le giuste rimostranze dei clienti, ma ha dovuto organizzare servizi di ripiego, riprotezioni, trasferimenti, pernottamenti, catering e altri servizi che hanno tutti pesato sul solo portafoglio di Global Aviation Network stessa, nonostante questa non avesse alcuna responsabilità e anzi ci andava a rimettere per via della cattiva pubblicità.
Dal canto suo, Global Aviation Network è sempre stata concentrata sul soddisfare i clienti, ha portato l’offerta di voli presso gli operatori, ha partecipato a fiere ed eventi nazionali e internazionali, ha studiato e promosso ogni tipo di partnership, cercando sempre di essere di stimolo, di mediazione costruttiva. Purtroppo con rammarico si deve ammettere che non è bastato.
In questo scenario, che fino in fondo si è cercato di scongiurare, Global Aviation Network intende ringraziare gli operatori turistici che hanno fatto il loro lavoro; i molti passeggeri, perché non solo hanno volato con soddisfazione, ma hanno spesso scritto e telefonato per mostrare la loro piena solidarietà e sconforto di fronte agli scontri politico-istituzionali vissuti in questi mesi; ai fornitori e ai partner, che hanno sostenuto Global Aviation Network anche con sacrifici che nessuno avrebbe voluto; a tutti coloro che hanno creduto nel progetto, perché il territorio del salernitano, con Salerno, il Cilento, la Costa d’Amalfi e tutto il resto meritano un aeroporto vivo e sano.
Da rilevare che in un convegno tenutosi a Roma il 12 novembre 2008 presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti dal titolo “AEROPORTI E TERRITORIO - SCENARI ECONOMICI, ANALISI DEL TRAFFICO E COMPETITIVITA' DELLE INFRASTRUTTURE DEL MEZZOGIORNO” è emerso con autorevole chiarezza che c’è spazio, domanda e risorse per la fondazione di una compagnia aerea meridionale, che era e resta il progetto di Guglielmo Rapicano. Gli atti di questo autorevole studio sono disponibili su internet al sito www.srmezzogiorno.it.

martedì 16 dicembre 2008

Pecore tossiche... e noi?

http://bari.repubblica.it/dettaglio/Pecore-tossiche-abbattute:-Malati-anche-noi-pastori/1562567

Pecore tossiche abbattute: 'Malati anche noi pastori'

di Giuliano Foschini

TARANTO - Enzo Fornaro dice che lui e la sua famiglia su quel camion ci sono già saliti. «Ho trent' anni e ho già avuto un cancro. Un tumore ha ammazzato mia madre». Enzo Fornaro è un imprenditore agricolo di Taranto. Il camion invece è uno dei tre che ieri mattina ha caricato 1.150 pecore (600 circa erano di proprietà della famiglia Fornaro) e le ha trasportate in un macello di Conversano, dove oggi verranno ammazzate. Prima una scossa in testa, per stordirle. Poi - tramite un sistema meccanico - ammazzate per iugulazione, cioè con il taglio della giugulare. La loro carne non finirà però sulle tavole degli italiani. Ma in discarica: "rifiuto di tipo 1", dicono le carte bollate. Significa rifiuto tossico altamente pericoloso. I 1.150 capi deportati ieri e gli altri settecento che verranno trasportati stamattina sono infatti le italianissime bestie alla diossina. Si tratta di pecore e agnellini allevati a pochi passi dalla zona industriale di Taranto che analisi della Asl, ordinate dalla Procura, hanno dimostrato essere contaminati: condannati a morte dalla geografia, ammazzati per il solo fatto di essere nati a Taranto, la patria della diossina in Italia e probabilmente di Europa per colpa dello stabilimento siderurgico dell' Ilva («ma noi con c' entriamo con questa storia delle pecore» precisano dall' azienda) e di altre fabbriche.

Queste bestie erano destinate alla macellazione. Ma mai avrebbero potuto entrare nel ciclo alimentare: la loro carne sarebbe stata pericolosa per l' uomo. Dovevano essere abbattute. L' ordine sanitario è arrivato poco più di due mesi fa. Il trasporto soltanto ieri: si è dovuto attendere, come impone la legge, la nascita di un centinaio di agnelli visto che molte capre erano gravide. Saranno tutti uccisi. Agli otto allevatori colpiti la Regione ha riconosciuto un rimborso (poco più di centomila euro) ritenuto però assolutamente insufficiente. «Gli unici a pagare siamo stati noi che ci siamo ammalati e abbiamo perso il lavoro. E queste povere bestie - spiega Fornaro - Gli altri sono là, con le ciminiere che continuano ad avvelenarci».

«La storia degli agnelli di Taranto è un po' il paradigma dell' inquinamento di questa città: rimane la strage degli innocenti e quel senso di impunità» denunciano le associazioni ambientaliste. «Il fatto che ci sia una contaminazione nella catena alimentare - spiega il direttore regionale dell'Arpa, Giorgio Assennato - rende ancora più urgenti le misure di contenimento delle emissioni tossiche». Misure che il consiglio regionale della Puglia discuterà il 16 dicembre: proposta dal governatore Nichi Vendola (e passata in commissione con l' astensione dell' opposizione) la legge pugliese imporrebbe il dimezzamento delle emissioni a tutte le fabbriche (Ilva compresa) entro aprile prossimo e una riduzione di circa otto volte quelle attuali nel 2010. Poi, ci sono le pecore. Che potrebbero diventare il simbolo del futuro di Taranto: alcune analisi, disposte alla Procura, potrebbero dimostrare la matrice della diossina. Indicherebbero cioè per la prima volta in maniera scientifica (e giudiziaria) la correlazione tra l' inquinamento e l' inquinatore. Saranno le pecore a dare un nome e un cognome agli avvelenatori di Taranto.
(16 dicembre 2008)

lunedì 15 dicembre 2008

Occorre una visione del futuro

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=5363&ID_sezione=&sezione=

LUCA RICOLFI
Zig-zag. Stop and go. Tatticismo. Navigazione a vista. Politica degli annunci. Gioco delle tre carte. Incursioni e marce indietro. Potete usare le parole che preferite, però l’impressione resta quella: il governo appare in preda a continui «strattonamenti», che trasmettono all’elettorato una sensazione di precarietà e sostanziale debolezza. È il caso, per citare esempi recenti, delle più o meno effettive marce indietro su università, scuola, sconti fiscali per le ristrutturazioni «ecologiche».

Ma è anche il caso dei ripetuti rinvii della riforma della giustizia, del disegno di legge delega sul federalismo fiscale, per non parlare della riforma organica del Welfare, in particolare in materia di ammortizzatori sociali.

Di fronte a questo spettacolo, l’interpretazione che prevale nei commenti è che il centro-destra si stia rendendo conto che, senza concedere qualcosa a opposizione e sindacati, sia difficile mantenere il consenso dell’elettorato. Di qui il passaggio da una stagione di riforme dall’alto, imposte con blitz legislativi, a una stagione di riforme balbettate, abbozzate o «facoltative», come le ha sarcasticamente bollate Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera. L’interpretazione tatticista, per cui il governo agirebbe come agisce essenzialmente per non far salire troppo la tensione nel Paese, è più che ragionevole (nessun governo può prescindere completamente dal consenso) ma non mi convince fino in fondo. La mia impressione è che l’erraticità del comportamento del governo abbia radici al tempo stesso più banali e più profonde.

Radici banali, innanzitutto. Sarò forse un ingenuo, ma a me certi «errori» legislativi paiono semplicemente frutto di fretta, superficialità e impreparazione tecnica. Voglio dire che certe marce indietro non mi paiono vere concessioni all’opposizione, bensì semplici tributi al buon senso, ossia correzioni di errori che si sarebbero tranquillamente evitati se i ministri studiassero i problemi prima di decidere, e disponessero di staff tecnici più competenti.

Faccio solo tre esempi di provvedimenti chiaramente mal concepiti, ma successivamente corretti: il blocco uniforme del turnover nell’università, che puniva anche gli atenei «virtuosi»; la riduzione degli incentivi fiscali alle ristrutturazioni «ecologiche», che aveva persino aspetti aberranti, come la retroattività e il silenzio-diniego; le riforme scolastiche, prive di garanzie esplicite alle famiglie (tempo pieno) e di una dettagliata valutazione tecnica dei tempi e dei modi di attuazione (con conseguente rivolta degli enti locali).

A questi tre esempi di fragilità tecnica se ne dovrebbe forse aggiungere un quarto, di enorme importanza: a tutt’oggi sembra ancora in alto mare la costruzione di quella «base di dati condivisa» che giustamente il ministro Tremonti vede come precondizione di avvio del federalismo. In breve, a me sembra che di fatto il governo stia facendo un po’ come quei produttori di software che, dovendo rispettare una certa data per mettere sul mercato nuovi prodotti, o nuove versioni dei prodotti precedenti, usano gli utenti come cavie, contando di riparare i «bachi» in un secondo momento, quando le cavie avranno segnalato tutti i malfunzionamenti dei nuovi sistemi. Fuor di metafora: non sarebbe meglio che i governi (il discorso vale anche per il passato) studiassero attentamente l’impatto delle norme prima di vararle, anziché ricorrere sistematicamente a emendamenti del governo stesso, più o meno suggeriti dall’opposizione e dalla piazza?

Ma non c’è solo questo, forse. L’erraticità dell’azione di governo ha anche radici più profonde. Anche qui potrei sbagliarmi, ma la mia sensazione è che il governo di centro-destra non abbia né la convinzione né le capacità - la cultura, verrebbe da dire - che sarebbero necessarie per difendere le proprie scelte, o meglio ancora la propria visione del futuro del Paese. Se tanto spesso il governo è indotto a rivedere le proprie decisioni, comunicando così una sensazione di debolezza, non è solo perché si trova costretto a correggere ex post errori commessi per fretta o superficialità, ma perché questo governo, o forse sarebbe meglio dire questa destra, riesce ad avere torto anche quando ha sostanzialmente ragione. Certe marce indietro sono dovute al fatto che, arrivato al dunque, il governo si rende conto che l’opinione pubblica non capirebbe, e non capirebbe perché non è preparata a determinate scelte. Ma perché l’opinione pubblica non è preparata?

È qui che le spiegazioni del governo diventano carenti. Berlusconi dice che sono stati fatti errori di comunicazione. La Gelmini dice che è colpa dell’informazione, che non fa il suo mestiere. Hanno entrambi ragione, come non ho mancato di rilevare più volte io stesso quando ho denunciato il mare di falsità che sindacati, opposizione e stampa partigiana hanno diffuso in questi mesi sulla riforma della scuola. Però accusare gli altri non basta: i timori delle famiglie sul tempo pieno, o sul destino dei ragazzi nel pomeriggio, non possono essere dissolti solo con comunicati, interviste, conferenze stampa, se poi quelle assicurazioni non hanno un riscontro preciso e inequivocabile nelle norme di legge. Altrimenti succede quel che è successo nei giorni scorsi in materia di riforme scolastiche: il governo mantiene l’80% di quel che aveva deciso (compreso maestro unico e abolizione del «modulo», ossia dei 2 insegnanti per 3 classi), ma quel che passa nell’opinione pubblica è che l’opposizione avrebbe costretto il governo alla ritirata, quando la realtà è molto più prosaica: la riforma Gelmini non è mai stata brutta come l’opposizione amava dipingerla, e già prima della presunta retromarcia era evidente (almeno a chi avesse avuto la pazienza di fare i conti) che i risparmi di spesa consentiti dall’eliminazione delle compresenze erano sufficienti ad aumentare il numero di classi a tempo pieno.

Insomma, a me pare che il governo stenti a capire quanto importante sia oggi preparare l’opinione pubblica alle riforme, ben prima e al di là della doverosa informazione sulle singole leggi e riforme. Non solo perché la cultura riformista è minoranza nel Paese, ma perché in un periodo di crisi la gente ha più che mai bisogno di ragionevoli certezze, di sapere dove il timoniere intende portare la nave. Visione, la chiamerebbe forse Tremonti; egemonia, l’avrebbe chiamata Gramsci. Se non c’è tutto questo, è inutile invitare la gente a sperare, ad avere fiducia, a essere ottimisti, e tanto meno a investire e spendere in regali di Natale.

domenica 14 dicembre 2008

Intervista a Licio Gelli

senza parole...
ma dove vogliamo andare....

e sentite cose dice di Obama.. prima della sua elezione


http://www.pandoratv.it/index.php?q=static/gelli