sabato 27 settembre 2008
Cheese connection
Ecco come la grande truffa porta i veleni nei nostri negozi
Prodotti a basso costo nelle ex repubbliche sovietiche, in Cina e India
Sulle rotte del formaggio avariato tra porti, società off shore e camorra
Lo smistamento avviene a Ceuta, enclave spagnola in Marocco. Anche italiani i cervelli"
PAOLO BERIZZI
Ceuta ciudad abierta è scritto sul cartello di benvenuto al di là del confine tra Spagna e Marocco. Superato il filtro della Guardia Civil ? tra i profili sgangherati e il respiro rugginoso dei taxi Fiat 132, in mezzo ai frontalieri marocchini che si avviano a fare incetta di qualsiasi merce da rivendere in Africa ? , da subito, in questa enclave spagnola sullo stretto di Gibilterra, ti accorgi che quasi nulla è, o accade per caso.
Gli avamposti militari, le palme spettinate dal vento. Il porto che tutto ingoia, che si interfaccia con quello di Algeciras, sull'altra sponda dello stretto. Poche miglia di Mediterraneo e danzano come mulinelli i miliardi della "cheese connection". Qui s'incrociano le rotte mondiali di una delle più grosse frodi alimentari che l'Europa abbia mai conosciuto.
Migliaia di tonnellate di formaggio e derivati lattiero caseari importati illegalmente dall'Asia. Dalla Russia (e Bielorussia, Ucraina, Georgia, Moldavia), dall'India, dalla Cina. Centinaia di container pieni di merce prodotte da fattorie e aziende di paesi "non conformi": che non possono cioè esportare in Europa poiché non allineati ai livelli standard - igienico-sanitari e di lavorazione - imposti dalla Ue. E però questi container arrivano, ugualmente. Cinquecento tonnellate ogni settimana. Soltanto nei porti di Ceuta e Algeciras.
Duemila al mese. Ventiquattromila all'anno. Derrate di cui prima era praticamente impossibile rintracciare l'origine e il percorso. Troppi passaggi e cambi di mano, troppe "triangolazioni". Ora gli investigatori dell'Olaf (l'Ufficio europeo per la lotta alle frodi) in sinergia con alcune polizie del Vecchio continente hanno avviato una dura offensiva contro i pirati mondiali della sofisticazione e dell'adulterazione lattiero casearia. Stanno scoprendo che ai vertici della filiera ci sono anche e soprattutto italiani. Imprenditori milionari. Legati a clan criminali (ai casalesi della camorra casertana e alle famiglie attive nella Campania avellinese e nell'hinterland napoletano), o businessman indipendenti. Ma non meno spudorati.
L'obiettivo delle indagini è stroncare la tratta all'origine. Se ne stanno ricostruendo le complesse ramificazioni. Come funziona il giro. Su quali rotte viaggia. Chi lo gestisce. "Buona parte dei prodotti acquistati dagli stabilimenti europei, soprattutto italiani, spagnoli e inglesi, provengono da Russia, Cina e India - spiega da Bruxelles uno degli esperti anti frode - . Formaggi, caseina (le proteine del formaggio, ndr), latte, latte in polvere, prodotti semilavorati: difficile, oggi, se non impossibile, garantire sulla loro qualità. I trafficanti acquistano a 5, dai paesi di produzione, e rivendono a 10, a Ceuta, a Tunisi o a Algeri. Cambiano le etichette, scrivono che il formaggio arriva dalla Nuova Zelanda e invece arriva da Pechino o da Minsk (Bielorussia). Lo fanno in più passaggi, potendo contare, certo, su autorità portuali particolarmente corrompibili. Il tutto a danno della salute dei consumatori".
Una tonnellata di formaggio in Russia costa 2 mila euro; quando arriva a Ceuta il suo prezzo lievita a 4 mila. Per 1000 kg di caseina cinese bastano 3500 euro; se tu azienda italiana o spagnola la acquisti quando "transita" dal Nord Africa di euro devi sborsarne 7 mila. Ma poi la rivendi di nuovo al doppio. Libero mercato? No. Frode. Multiforme, subacquea. I canali di approvvigionamento e le corsie di trasporto sono sparse su tre continenti. Asia. Africa. Europa.
Arrivano in Italia, dopo incredibili "sponde" extraeuropee, i formaggi "low cost", e le nostre industrie sanno bene come utilizzarli. Fa niente se - come documentano i recenti sequestri - sono scaduti o avariati. Basta mischiarli con il prodotto fresco. Come facevano le aziende "riciclone" di Cremona e Piacenza smascherate dalla Guardia di Finanza. Ritiravano formaggio avariato (destinato alla zootecnia) da grandi marchi nazionali e internazionali. Lo "ripulivano" e lo immettevano nel circuito alimentare. A volte rivendendolo agli stessi fornitori tra cui figurano marchi come Galbani, Granarolo, Biraghi, Medeghini, Ferrari.
Non è un caso che gli investigatori stanno accertando avviati legami commerciali tra i titolari di queste aziende (Domenico Russo, della Tradel di Casalbuttano, e Alberto Aiani, della Delia di Monticelli d'Ongina che è collegata a due aziende di Barcellona, già arrestato il primo, denunciato il secondo) e un terzo imprenditore, italianissimo, a capo di un'industria che ha sede proprio a Ceuta. Qui si sono posati i riflettori della polizia olandese e dei carabinieri delle politiche agricole.
Da e per l'enclave spagnola, il cui territorio fa parte del sistema doganale dell'Ue (è qui il trucco), passano quantitativi enormi di "lavorati" da piazzare sul mercato europeo. Porto franco e porto sicuro. La conferma arriva dal dossier sul quale stanno lavorando i detective dell'Olaf. Ceuta è uno snodo strategico. Ma la tratta parte da molto più lontano. Porto di Odessa, Ucraina. Dalle banchine sul Mar Nero i produttori asiatici vedono partire il frutto del loro lavoro: due settimane di navigazione e le navi arrivano a destinazione.
Scali intermedi: Tunisi e Algeri. Qui viene fatto un primo maquillage. Che significa: cambiare le etichette di provenienza della merce, farla risultare "pulita" e in regola, e cioè esportata da paesi "conformi". Quelli autorizzati a vendere alle nostre aziende. Nuova Zelanda, Stati Uniti, Canada. Gli investigatori ipotizzano che dal Nord Africa siano passati grossi quantitativi di latte alla melamina prodotto a Pechino: una scorciatoia per aggirare le frontiere europee, per permettere alla Cina di esportare da noi nonostante i rigidi divieti.
Dopo i transiti nordafricani i container possono ripartire con appiccicati sopra marchi posticci. A Ceuta e ad Algerciras li aspettano come l'oro. Ancora mezz'ora di mare, da una sponda all'altra dello stretto di Gibilterra. Poi i muletti s'infilano nella pancia dei bastimenti, e iniziano a scaricare. "Cina? No grazie, io mangio solo formaggi italiani", dice il ministro dell'agricoltura, Luca Zaia.
Già, peccato che a decine di importatori nostrani il mercato asiatico non dispiaccia affatto. Sono i clienti dei banditi del formaggio. Nel giro si conoscono tutti. Stessi canali di rifornimento. La pirateria casearia - aggiunge uno degli uomini che partecipano alle indagini - attira, tra gli altri, potenti magnati russi che godono di protezioni da parte dell'oligarchia del Cremlino. Nel risiko della megatruffa alimentare, i loro traffici si incrociano, anche geograficamente, con quelli dei cartelli criminali della Campania. E con le aziende "virtuose" del profondo Nord.
Da Ceuta a Salerno hanno viaggiato le 90 tonnellate di formaggi scaduti che i carabinieri delle politiche agricole hanno sequestrato pochi giorni fa su ordine della Procura di Nocera Inferiore (Salerno). La camorra (tre arresti, 16 denunce) acquistava nell'enclave spagnola, lavorava chimicamente il prodotto, e lo rivendeva a grosse aziende nazionali. Come? La "cheese connection" dispone di braccia tanto quanto di sofisticate menti finanziarie. C'è una società off shore con sede a Ginevra, uffici in un elegante boulevard. Fa da "lavanderia": fattura tutta la merce "triangolata" dall'Asia; "ripulisce" i contratti di importazione stipulati da un'altra grossa società olandese con sede a Bladel, 40 km a Sud di Eindhoven.
Il gioco è fatto: le derrate arrivano a Ceuta già targate Suisse. Tutto è apparentemente a posto. Eccolo, dunque, il triangolo della mafia del formaggio: Odessa, Ceuta, Ginevra. In mezzo ci sono almeno cinque Paesi europei, tra cui l'Italia, che ogni settimana buttano linfa vitale nelle vene dell'organizzazione. I sequestri a macchia di leopardo sul nostro territorio altro non sono che piccoli balzelli che il sistema deve pagare alla giustizia. Ma i motori della frode funzionano a pieni giri. Spostano il formaggio e i suoi scarti da un continente all'altro: li trasformano in euro sonanti. Al porto di Ceuta sono le sei del mattino e il sole sta nascendo: il primo bastimento diretto a Algeciras si è appena staccato dal molo Espana. L'orizzonte sfuma le linee dei container.
venerdì 26 settembre 2008
Russia, fine delle ritirate tattiche
Moratti e il giocattolo nerazzurro
“Ogni tanto il fratello maggiore Gianmarco gli chiede di mettere una firma sui collocamenti. La gente si fida di lui, del suo aspetto da Bugs Bunny buono. E così è stato anche per il debutto di Saras in Borsa. I Moratti hanno incassato 1,7 miliardi di euro, ne avevano bisogno per rinforzare la squadra. Il titolo fu quotato a 6 euro in un momento di crollo del settore energetico. Chi lo comprò perse il 12% in un solo giorno. Riassunto: qualcuno decide che il prezzo di 6 euro è giusto, i risparmiatori ci credono, comprano, perdono. I Moratti e le banche ci guadagnano e la procura indaga. La Consob dov’era? Cardia illuminaci.”
Emmeemme farfugliò di querele contro di me di cui non ho avuto notizia. Quelle che ho comunque mi bastano.
Diciassette mesi dopo il post “Senza rubare”, il 23 settembre 2008, il consulente tecnico della Procura di Milano ha descritto l’operazione Saras in 400 pagine.
Il consulente, come riportato da Repubblica: “ha ipotizzato che l’incasso della quotazione sia servito soprattutto a un ramo della famiglia, quello di Massimo Moratti, per far fronte ai debiti dell’Inter. Con un contestuale danno per il mercato di 770 milioni di euro”.
In sostanza le azioni sono state quotate a un prezzo molto superiore al loro valore. I Moratti e le banche hanno incassato. Chi ha comprato ha perso 770 milioni di euro.
Le banche hanno offerto un aiuto prezioso per la collocazione dei titoli. Leemail sequestrate dalla magistratura:
- “E’ vitale che davanti al prezzo ci sia un 6”, Federico Imbert, Jp Morgan
- “Devi essere al corrente del fatto che abbiamo ottenuto 1,6 miliardi di euro, cioè da entrambi i fratelli, ma uno dei due deve ripagare 500 milioni di debiti, così quella parte non la vedremo per lungo tempo” Emilio Saracco, Jp Morgan
- “Parlato a lungo con Miccichè di Intesa. E’ contento del lavoro fatto insieme su Saras e Intercos. E’ personalmente a disposizione per stimolare forza vendita specialmente su Saras. Chiede di informarlo se vediamo problemi o sgranature. Tiene ovviamente molto al successo data l’esposizione sua e di Passera con i Moratti. E’ stato da lui Galeazzo Pecori Girali di Morgan Stanley consigliando di non esagerare sul prezzo. Lui crede che lo faccia per invidia nei nostri confronti”Federico Imbert, Jp Morgan.
Che Saràs, Saràs …:
- Moratti, incasso 1,6 miliardi di euro
- Jp Morgan, incasso 26,7 milioni di euro
- Banca Caboto, incasso 18 milioni di euro
- Morgan Stanley, incasso 20,9 milioni di euro
- Azionisti, perdita 770 milioni di euro.
mercoledì 17 settembre 2008
Mercato "speculativo". Che aggettivo!
Effetto valanga se cade Aig il numero uno delle assicurazioni
Un mercato da 60mila miliardi di dollari fatto di scommesse sui fallimenti
A rischio un mercato speculativo pari a quattro volte il Pil americano
di FEDERICO RAMPINI
È UN colosso delle assicurazioni il nuovo epicentro della crisi finanziaria mondiale. Si chiama American International Group (Aig) il "buco nero" che nella sua implosione può risucchiare nuove perdite e fallimenti a catena, con ripercussioni nel mondo intero.
La bancarotta di Lehman Brothers appare già un capitolo di storia lontano, mentre incombono preoccupazioni più gravi. La compagnia assicurativa Aig non è solo una delle più grandi del pianeta, con centomila dipendenti. Occupa un posto speciale nel mezzo di una complessa ragnatela di rapporti finanziari con centinaia di banche. Perciò la notizia del declassamento di Aig da parte delle agenzie di rating Standard&Poor e Moody's ha aperto un nuovo fronte di pericolo.
Il peggioramento della sua solvibilità finanziaria può essere l'anticamera del fallimento. Ieri mattina David Paterson, il governatore dello Stato di New York (da cui dipende per legge la vigilanza sulla compagnia assicurativa) è stato lapidario: "In queste condizioni Aig ha un giorno di vita". L'ultima speranza è una cordata d'investitori che sarebbe pronta a rilevare l'Aig. La guida, ironia della sorte, il fondatore Maurice Greenberg che fu defenestrato dai vertici della compagnia per irregolarità contabili.
Il crollo del colosso assicurativo è un evento di cui nessuno riesce a prevedere l'impatto, se non che sarà disastroso. La compagnia infatti non esercita soltanto attività assicurative tradizionali. Ha sviluppato, con un'importante divisione a Londra, un intero business speculativo sui titoli derivati, compresi i titoli "infami" che sono il frutto della cartolarizzazione dei mutui. E c'è di più. Aig si è lanciata da tempo in un altro business finanziario, i "credit default swaps" (Cds).
All'origine si tratta proprio di contratti assicurativi. Il rischio contro cui essi proteggono riguarda l'insolvenza di molteplici soggetti economici. In una fase come questa dove i fallimenti si susseguono a valanga, questo business è diventato una palla al piede per Aig. Inoltre i "credit default swaps" con il tempo hanno assunto vita propria, sono diventati a loro volta degli strumenti altamente speculativi. Con una perversione della loro vocazione originaria, i Cds sono diventati un modo per scommettere sui fallimenti (dei titolari di mutui, delle aziende, delle banche) e guadagnarci sopra.
Se per una parte del mondo della finanza essi continuano a essere una indispensabile copertura del rischio-clienti, per un'altra parte sono uno strumento di speculazione ribassista. E il business dei Cds è sfuggito ad ogni controllo. La lievitazione di questi strumenti è impressionante. Nell'insieme il volume delle esposizioni su questo mercato supera i 60.000 miliardi di dollari, il quadruplo del Pil americano. L'Aig è un protagonista centrale di questo settore. Travolto dall'impossibilità di onorare tutti quei contratti anti-fallimento, a sua volta con il suo crac può affondare l'intero sistema. Un esempio delle diramazioni internazionali: ieri la banca svizzera Ubs ha perso il 24% in Borsa, nonostante abbia garantito di avere chiuso tutti i rapporti con Aig dopo una perdita di 300 milioni di dollari.
L'importanza dell'American International Group spiega la frenesia con cui le autorità Usa si affannavano ieri attorno al suo capezzale. Lo Stato di New York, facendo una trasgressione clamorosa alle sue stesse leggi che regolano i comportamenti prudenziali delle assicurazioni, ha autorizzato Aig a farsi prestare 20 miliardi di dollari dalle sue filiali. Praticamente l'azienda ha avuto un nulla osta inaudito per infilare le mani nella cassa del ramo-vita e del ramo-rischi, con buona pace dei suoi clienti. Non è bastato. A riprova che l'intera stabilità del credito è in gioco, sul caso Aig è intervenuta
La Fed ha intimato a JP Morgan Chase e Goldman Sachs di mettere assieme un prestito-ponte di 75 miliardi di dollari: la bombola d'ossigeno per mantenere in vita il gigante assicurativo. Uno degli effetti del declassamento del rating, infatti, è che automaticamente molti creditori devono richiedere il rimborso di titoli derivati. Un'emorragia di liquidità che Aig non è in grado di fronteggiare. Ma l'ipotesi di un nuovo salvataggio pubblico è stata attaccata da John McCain, candidato repubblicano alle presidenziali. "Lasciamo che Aig fallisca", è stato il suo commento.
Dopo i costi sopportati dalle finanze pubbliche per il crac di Bear Stearns (30 miliardi di garanzie dalla Fed all'acquirente JP Morgan) e l'onere incalcolabile della nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac (200 miliardi la stima più ottimista), i repubblicani non vogliono affrontare le presidenziali con un deficit pubblico allo sbando. Se regge la linea del rigore applicata alla Lehman - o se JP Morgan e Goldman Sachs non trovano i "prestatori" volonterosi per 75 miliardi di dollari - il destino dell'Aig è segnato: un'altra bancarotta. A meno che intervenga il "cavaliere bianco" Greenberg con la sua cordata di investitori privati.
Dall'inizio di questa crisi di dimensioni storiche, le perdite totali per il sistema bancario - che il Fondo monetario internazionale stimava a 950 miliardi di dollari - salgono verso i 1.500 miliardi. Le voci di difficoltà lambiscono le due ultime merchant bank sopravvissute, Morgan Stanley e Goldman Sachs (i cui risultati sono crollati del 70%). La più grande cassa di risparmio americana, Washington Mutual, anch'essa vicina al fallimento, potrebbe essere "ingoiata" da JP Morgan. Come nell'acquisizione di Merrill Lynch da parte di Bank of America, queste operazioni decise nel nome della stabilità sistemica e dell'interesse nazionale avranno costi pesanti: ristrutturazioni e licenziamenti di massa.
L'ondata di sfiducia è inarrestabile e lo si è visto nell'impennata del costo del denaro. In una sola notte sul mercato interbancario americano è raddoppiato il costo per ottenere prestiti: il tasso Libor è schizzato da 3,20% a 6,44%, ritrovando i massimi dell'11 settembre 2001. La paralisi del credito e il dilagare della paura provocano scosse sismiche anche nella valutazione del rischio-sovrano. E' sintomatico il balzo che ha subito il rischio-Italia. Il differenziale tra i rendimenti dei nostri Btp decennali e gli equivalenti Bund tedeschi è salito di 74 punti raggiungendo un massimo storico: il record dalla nascita della moneta unica nel gennaio 1999.
(17 settembre 2008)
lunedì 15 settembre 2008
L'età delle diaspore
Dieci passi nel futuro
venerdì 12 settembre 2008
Pronti alla Guerra
I dittatori vanno a scuola di tortura
11 settembre - 1973, Golpe in Cile
Raid USA in Pakistan
Chavez caccia l'ambasciatore USA
dopo il Cile anche il Venezuela. Veramente cambiano le cose?
http://www.repubblica.it/2008/08/sezioni/esteri/bolivia/venezuela-ambasciatore/venezuela-ambasciatore.html
l leader di Caracas accusa Bush di aver organizzato un complotto per rovesciarlo
Ieri la stessa misura era stata presa dal governo boliviano di Morales
Tensione tra America e Venezuela
Chavez caccia l'ambasciatore Usa
"Se ci attaccano siano pronti a bloccare le esportazioni di petrolio"
In chiesa una targa in memoria dell'esattore boss
Forse in punto di morte, il 17 settembre 1992, mentre i killer di Totò Riina gli sparavano, anche il potente esattore di Salemi avrà invocato Dio. Ma per la giustizia italiana Ignazio Salvo resta un condannato per mafia e assieme al cugino Nino è il simbolo di una drammatica stagione. Per questo alcuni parrocchiani di Regina Pacis non hanno mai gradito quella presenza ingombrante in chiesa. E adesso hanno deciso di segnalare il caso. Dice la targa sul confessionale: «Dono di fede e d´amore di Giuseppa Puma e dei figli in perpetua benedizione e memoria di Ignazio Salvo. Ad maiorem dei gloriam. 24 giugno 2004».
Nella «memoria» di Ignazio Salvo, arrestato col cugino nel 1984, ci sono le parole dell´allora giudice istruttore Giovanni Falcone, che nella sentenza-ordinanza del maxiprocesso scriveva: «I Salvo si sono avvalsi della mafia per raggiungere posizioni di potere di assoluto rilievo e hanno costituito uno dei fattori maggiormente inquinanti delle istituzioni della Sicilia». Rivelò Buscetta: «Sono uomini d´onore della famiglia di Salemi, come tali mi sono stati presentati da Stefano Bontade».
Quei rapporti con la mafia perdente avevano fatto temere i Salvo durante l´offensiva scatenata dai "corleonesi" Riina e Provenzano contro i "palermitani" Bontade e Inzerillo. Ma i potenti titolari delle esattorie siciliane superarono anche quel momento, riciclandosi presto con i nuovi potenti. Fino a quando le indagini del pool di Falcone e Borsellino li travolsero. Ignazio Salvo si difese: «Non sono un mafioso». Ma in primo grado fu condannato a sette anni, in appello a tre. Il cugino Nino morì prima della sentenza, nel suo letto. Ignazio Salvo fu ucciso dai killer delle cosche. Dicono i pentiti: «Salvo era un altro dei politici legati a Cosa nostra, e anzi di essa facente parte, che non era riuscito ad aggiustare il maxiprocesso».
Il parroco di Regina Pacis, Aldo Nuvola, dice: «La signora Puma, vedova Salvo, fa parte del gruppo dei neocatecumenali ed è una straordinaria animatrice della Caritas, che si prende cura dei poveri di tutta la città. Alla chiesa ha fatto davvero tante donazioni: lei, che è anche un´artista, ha dipinto tutte le stazioni della nostra Via crucis. Quando arrivai in parrocchia, non sapevo che fosse la moglie di Ignazio Salvo. Il giorno che si pose il problema di acquistare un nuovo confessionale, lei si fece avanti. Mi chiese solo quella targhetta in memoria del marito. Solo dopo tempo qualcuno mi fece notare che era la persona che aveva avuto vicissitudini giudiziarie. Chiesi comunque autorizzazione all´arcivescovo De Giorgi per la donazione, che era cospicua, circa ottomila euro».
Spiega il parroco: «La famiglia Salvo sostiene che il proprio congiunto fu vittima di una persecuzione giudiziaria. Cosa possiamo dire noi? La nostra posizione deve essere sempre equanime». Aggiunge: «Che fastidio può fare quella targhetta? Ormai Ignazio Salvo è morto». Cosa rispondere allora a chi ha espresso disagio? «Per carità - dice - noi facciamo tutto alla luce del sole. Parliamone. Decidiamo assieme sul futuro di quella targa».
A Regina Pacis tutti conoscono la generosità della signora Puma. La domenica delle Palme i rami di ulivo per la processione arrivano direttamente dalla tenuta dei Salvo, a Salemi. Dice una parrocchiana: «Se in vita fu un peccatore, beh, adesso il suo nome è su un confessionale, la porta verso il cielo. Non vedo nulla di strano». Ma in cielo Ignazio Salvo si è portato molti segreti: quelli sulle complicità eccellenti fra mafia e politica, quelli sul suo patrimonio occulto che le indagini non sono mai riuscite a scovare.
giovedì 11 settembre 2008
Così ho avvelenato Napoli
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Cosi-ho-avvelenato-Napoli/2040653&ref=hpsp
Così ho avvelenato Napoli
di Gianluca Di Feo e Emiliano Fittipaldi
Le confessioni di Gaetano Vassallo, il boss che per 20 anni ha nascosto rifiuti tossici in Campania pagando politici e funzionari
Quando Vassallo si presenta ai magistrati dell'Antimafia di Napoli è il primo aprile. Mancano due settimane alle elezioni, tante cose dovevano ancora accadere. Due mesi esatti dopo, Michele Orsi, uno dei protagonisti delle sue rivelazioni è stato assassinato da un commando di killer casalesi. E 42 giorni dopo Nicola Cosentino, il più importante parlamentare da lui chiamato in causa, è diventato sottosegretario del governo Berlusconi. Vassallo non si è preoccupato. Ha continuato a riempire decine di verbali di accuse, che vengono vagliati da un pool di pm della direzione distrettuale antimafia napoletana e da squadre specializzate delle forze dell'ordine: poliziotti, finanzieri, carabinieri e Dia. Finora i riscontri alle sue testimonianze sono stati numerosi: per gli inquirenti è altamente attendibile. Anche perché ha conservato pacchi di documenti per dare forza alle sue parole. Che aprono un abisso sulla devastazione dei suoli campani e poi, attraverso i roghi e la commercializzazione dei prodotti agro-alimentari, sulla minaccia alla salute di tutti i cittadini. Come è stato possibile? "Nel corso degli anni, quanto meno fino al 2002, ho proseguito nella sfruttamento della ex discarica di Giugliano, insieme ai miei fratelli, corrompendo l'architetto Bovier del Commissariato di governo e l'ingegner Avallone dell'Arpac (l'agenzia regionale dell'ambiente). Il primo è stato remunerato continuativamente perché consentiva, falsificando i certificati o i verbali di accertamento, di far apparire conforme al materiale di bonifica i rifiuti che venivano smaltiti illecitamente. Ha ricevuto in tutto somme prossime ai 70 milioni di lire. L'ingegner Avallone era praticamente 'stipendiato' con tre milioni di lire al mese, essendo lo stesso incaricato anche di predisporre il progetto di bonifica della nostra discarica, progetto che ci consentiva la copertura formale per poter smaltire illecitamente i rifiuti". Il gran pentito dei veleni parla anche di uomini delle forze dell'ordine 'a disposizione' e di decine di sindaci prezzolati. Ci sono persino funzionari della provincia di Caserta che firmano licenze per siti che sono fuori dai loro territori. Una lista sterminata di tangenti, versate attraverso i canali più diversi: si parte dalle fidejussioni affidate negli anni Ottanta alla moglie di Rosario Gava, fratello del patriarca dc, fino alla partecipazione occulta dell'ultima leva politica alle società dell'immondizia.
L'età dell'oro
Vassallo sa tutto. Perché per venti anni è stato il ministro dei rifiuti di Francesco Bidognetti, l'uomo che assieme a Francesco 'Sandokan' Schiavone domina il clan dei casalesi. All'inizio i veleni finivano in una discarica autorizzata, quella di Giugliano, legalmente gestita. Le scorie arrivavano soprattutto dalle concerie della Toscana, sui camion della ditta di Elio e Generoso Roma. C'era poi un giro campano con tutti i rifiuti speciali provenienti dalla rottamazione di veicoli: fiumi di olii nocivi. I protagonisti sono colletti bianchi, che fanno da prestanome per i padrini latitanti, li nascondono nelle loro ville e trasmettono gli ordini dal carcere dei boss detenuti. In pratica, accusa tutte le aziende campane che hanno operato nel settore, citando minuziosamente coperture e referenti. C'è l'avvocato Cipriano Chianese. C'è Gaetano Cerci "che peraltro è in contatto con Licio Gelli e con il suo vice così come mi ha riferito dieci giorni fa". Il racconto è agghiacciante. Sembra che la zona tra Napoli e Caserta venga colpita dalla nuova febbre dell'oro. Tutti corrono a sversare liquidi tossici, improvvisandosi riciclatori. "Verso la fine degli Ottanta ogni clan si era organizzato autonomamente per interrare i carichi in discariche abusive. Finora è stato scoperto solo uno dei gruppi, ma vi erano sistemi paralleli gestiti anche da altre famiglie". Ci sono trafficanti fai-dai-te che buttano liquidi fetidi nei campi coltivati in pieno giorno. Contadini che offrono i loro frutteti alle autobotti della morte. E se qualcuno protesta, intervengono i camorristi con la mitraglietta in pugno.
La banalità del male
Chi, come Vassallo, possiede una discarica lecita, la sfrutta all'infinito. Il sistema è terribilmente banale: nei permessi non viene indicata l'esatta posizione dell'invaso, né il suo perimetro. Così le voragini vengono triplicate. "Tutte le discariche campane con tale espediente hanno continuato a smaltire in modo abusivo, sfruttando autorizzazioni meramente cartolari. Ovviamente, nel creare nuovi invasi mi sono disinteressato di attrezzare quegli spazi in modo da impermeabilizzare i terreni; non fu realizzato nessun sistema di controllo del percolato e nessuna vasca di raccolta, sicché mai si è provveduto a controllare quella discarica ed a sanarla". In uno di questi 'buchi' semilegali Vassallo fa seppellire un milione di metri cubi di detriti pericolosi.
L'aspetto più assurdo è che durante le emergenze che si sono accavallate, tutte queste discariche - quelle lecite e i satelliti abusivi - vengono espropriate dal Commissariato di governo per fare spazio all'immondizia di Napoli città. All'imprenditore della camorra Vassallo, pluri-inquisito, lo Stato concede ricchi risarcimenti: quasi due milioni e mezzo di euro. E altra monnezza seppellisce così il sarcofago dei veleni, creando un danno ancora più grave. "I rifiuti del Commissariato furono collocati in sopra-elevazione; la zone è stata poi 'sistemata', anche se sono rimasti sotterrati rifiuti speciali (includendo anche i tossici), senza che fosse stata realizzata alcuna impermeabilizzazione. Non è mai stato fatto uno studio serio in ordine alla qualità dell'acqua della falda. E quella zona è ad alta vocazione agricola". L'import di scorie pericolose fruttava al clan 10 lire al chilo. "In quel periodo solo da me guadagnarono due miliardi". Il calcolo è semplice: furono nascoste 200 mila tonnellate di sostanze tossiche. Questo soltanto per l'asse Vassallo-casalesi, senza contare gli altri i boss napoletani che si erano lanciati nell'affare, a partire dai Mallardo. "Una volta colmate le discariche, i rifiuti venivano interrati ovunque. In questi casi gli imprenditori venivano sostanzialmente by-passati, ma talora ci veniva richiesto di concedere l'uso dei nostri timbri, in modo da 'coprire' e giustificare lo smaltimento dei produttori di rifiuti, del Nord Italia... Ricordo i rifiuti dell'Acna di Cengio, che furono smaltiti nella mia discarica per 6.000 quintali. Ma carichi ben superiori dall'Acna furono gestiti dall'avvocato Chianese: trattava 70 o 80 autotreni al giorno. La fila di autotreni era tale che formava una fila di circa un chilometro e mezzo".
Un'altra misteriosa ondata di piena arriva tra la fine del 2001 e l'inizio del 2002: "Si trattava di un composto umido derivante dalla lavorazione dei rifiuti solidi urbani triturati, contenente molta plastica e vetro". Decine di camion provenienti da un impianto pubblico: a Vassallo dicono che partono da Milano e vanno fatti scomparire in fretta.
Il patto con la politica
Uno dei capitoli più importanti riguarda la società mista che curava la nettezza urbana a Mondragone e in altri centri del casertano. È lì che parla dei fratelli Michele e Sergio Orsi, imprenditori con forti agganci nei palazzi del potere: il primo è stato ammazzato a giugno. I due, arrestati nel 2006, si erano difesi descrivendo le pressioni di boss e di politici. Ma Vassallo va molto oltre: "Confesso che ho agito per conto della famiglia Bidognetti quale loro referente nel controllo della società Eco4 gestita dai fratelli Orsi. Ai fratelli Orsi era stata fissata una tangente mensile di 50 mila euro... Posso dire che
Lo 'zio', spiega, è Francesco Bidognetti: condannato all'ergastolo in appello nel processo Spartacus e, su ordine del ministro Alfano, sottoposto allo stesso regime carcerario di Totò Riina e Bernardo Provenzano. L'elezione alla provincia di Caserta è stata invece il secondo gradino della carriera di Cosentino, l'avvocato di Casal di Principe oggi leader campano della Pdl e sottosegretario all'Economia. "Faccio presente che sono tesserato 'Forza Italia' e grazie a me sono state tesserate numerose persone presso la sezione di Cesa. Mi è capitato in due occasioni di sponsorizzare la campagna elettorale di Cosentino offrendogli cene presso il ristorante di mio fratello, cene costose con centinaia di invitati. L'ho sostenuto nel 2001 e incontrato spesso dopo l'elezione in Parlamento".
Ma quando si presenta a chiedere un intervento per rientrare nel gioco grande della spazzatura, gli assetti criminali sono cambiati. Il progetto più importante è stato spostato nel territorio di 'Sandokan' Schiavone. Il parlamentare lo riceve a casa e può offrirgli solo una soluzione di ripiego: "Cosentino mi disse che si era adeguato alle scelte fatte 'a monte' dai casalesi che avevano deciso di realizzare il termovalorizzatore a Santa Maria