sabato 27 settembre 2008

Cheese connection

http://www.repubblica.it/2008/09/sezioni/cronaca/rotte-form-avariato/rotte-form-avariato/rotte-form-avariato.html


Ecco come la grande truffa porta i veleni nei nostri negozi
Prodotti a basso costo nelle ex repubbliche sovietiche, in Cina e India
Sulle rotte del formaggio avariato tra porti, società off shore e camorra
Lo smistamento avviene a Ceuta, enclave spagnola in Marocco. Anche italiani i cervelli"
PAOLO BERIZZI

Ceuta ciudad abierta è scritto sul cartello di benvenuto al di là del confine tra Spagna e Marocco. Superato il filtro della Guardia Civil ? tra i profili sgangherati e il respiro rugginoso dei taxi Fiat 132, in mezzo ai frontalieri marocchini che si avviano a fare incetta di qualsiasi merce da rivendere in Africa ? , da subito, in questa enclave spagnola sullo stretto di Gibilterra, ti accorgi che quasi nulla è, o accade per caso.

Gli avamposti militari, le palme spettinate dal vento. Il porto che tutto ingoia, che si interfaccia con quello di Algeciras, sull'altra sponda dello stretto. Poche miglia di Mediterraneo e danzano come mulinelli i miliardi della "cheese connection". Qui s'incrociano le rotte mondiali di una delle più grosse frodi alimentari che l'Europa abbia mai conosciuto.

Migliaia di tonnellate di formaggio e derivati lattiero caseari importati illegalmente dall'Asia. Dalla Russia (e Bielorussia, Ucraina, Georgia, Moldavia), dall'India, dalla Cina. Centinaia di container pieni di merce prodotte da fattorie e aziende di paesi "non conformi": che non possono cioè esportare in Europa poiché non allineati ai livelli standard - igienico-sanitari e di lavorazione - imposti dalla Ue. E però questi container arrivano, ugualmente. Cinquecento tonnellate ogni settimana. Soltanto nei porti di Ceuta e Algeciras.

Duemila al mese. Ventiquattromila all'anno. Derrate di cui prima era praticamente impossibile rintracciare l'origine e il percorso. Troppi passaggi e cambi di mano, troppe "triangolazioni". Ora gli investigatori dell'Olaf (l'Ufficio europeo per la lotta alle frodi) in sinergia con alcune polizie del Vecchio continente hanno avviato una dura offensiva contro i pirati mondiali della sofisticazione e dell'adulterazione lattiero casearia. Stanno scoprendo che ai vertici della filiera ci sono anche e soprattutto italiani. Imprenditori milionari. Legati a clan criminali (ai casalesi della camorra casertana e alle famiglie attive nella Campania avellinese e nell'hinterland napoletano), o businessman indipendenti. Ma non meno spudorati.
L'obiettivo delle indagini è stroncare la tratta all'origine. Se ne stanno ricostruendo le complesse ramificazioni. Come funziona il giro. Su quali rotte viaggia. Chi lo gestisce. "Buona parte dei prodotti acquistati dagli stabilimenti europei, soprattutto italiani, spagnoli e inglesi, provengono da Russia, Cina e India - spiega da Bruxelles uno degli esperti anti frode - . Formaggi, caseina (le proteine del formaggio, ndr), latte, latte in polvere, prodotti semilavorati: difficile, oggi, se non impossibile, garantire sulla loro qualità. I trafficanti acquistano a 5, dai paesi di produzione, e rivendono a 10, a Ceuta, a Tunisi o a Algeri. Cambiano le etichette, scrivono che il formaggio arriva dalla Nuova Zelanda e invece arriva da Pechino o da Minsk (Bielorussia). Lo fanno in più passaggi, potendo contare, certo, su autorità portuali particolarmente corrompibili. Il tutto a danno della salute dei consumatori".

Una tonnellata di formaggio in Russia costa 2 mila euro; quando arriva a Ceuta il suo prezzo lievita a 4 mila. Per 1000 kg di caseina cinese bastano 3500 euro; se tu azienda italiana o spagnola la acquisti quando "transita" dal Nord Africa di euro devi sborsarne 7 mila. Ma poi la rivendi di nuovo al doppio. Libero mercato? No. Frode. Multiforme, subacquea. I canali di approvvigionamento e le corsie di trasporto sono sparse su tre continenti. Asia. Africa. Europa.

Arrivano in Italia, dopo incredibili "sponde" extraeuropee, i formaggi "low cost", e le nostre industrie sanno bene come utilizzarli. Fa niente se - come documentano i recenti sequestri - sono scaduti o avariati. Basta mischiarli con il prodotto fresco. Come facevano le aziende "riciclone" di Cremona e Piacenza smascherate dalla Guardia di Finanza. Ritiravano formaggio avariato (destinato alla zootecnia) da grandi marchi nazionali e internazionali. Lo "ripulivano" e lo immettevano nel circuito alimentare. A volte rivendendolo agli stessi fornitori tra cui figurano marchi come Galbani, Granarolo, Biraghi, Medeghini, Ferrari.

Non è un caso che gli investigatori stanno accertando avviati legami commerciali tra i titolari di queste aziende (Domenico Russo, della Tradel di Casalbuttano, e Alberto Aiani, della Delia di Monticelli d'Ongina che è collegata a due aziende di Barcellona, già arrestato il primo, denunciato il secondo) e un terzo imprenditore, italianissimo, a capo di un'industria che ha sede proprio a Ceuta. Qui si sono posati i riflettori della polizia olandese e dei carabinieri delle politiche agricole.

Da e per l'enclave spagnola, il cui territorio fa parte del sistema doganale dell'Ue (è qui il trucco), passano quantitativi enormi di "lavorati" da piazzare sul mercato europeo. Porto franco e porto sicuro. La conferma arriva dal dossier sul quale stanno lavorando i detective dell'Olaf. Ceuta è uno snodo strategico. Ma la tratta parte da molto più lontano. Porto di Odessa, Ucraina. Dalle banchine sul Mar Nero i produttori asiatici vedono partire il frutto del loro lavoro: due settimane di navigazione e le navi arrivano a destinazione.

Scali intermedi: Tunisi e Algeri. Qui viene fatto un primo maquillage. Che significa: cambiare le etichette di provenienza della merce, farla risultare "pulita" e in regola, e cioè esportata da paesi "conformi". Quelli autorizzati a vendere alle nostre aziende. Nuova Zelanda, Stati Uniti, Canada. Gli investigatori ipotizzano che dal Nord Africa siano passati grossi quantitativi di latte alla melamina prodotto a Pechino: una scorciatoia per aggirare le frontiere europee, per permettere alla Cina di esportare da noi nonostante i rigidi divieti.

Dopo i transiti nordafricani i container possono ripartire con appiccicati sopra marchi posticci. A Ceuta e ad Algerciras li aspettano come l'oro. Ancora mezz'ora di mare, da una sponda all'altra dello stretto di Gibilterra. Poi i muletti s'infilano nella pancia dei bastimenti, e iniziano a scaricare. "Cina? No grazie, io mangio solo formaggi italiani", dice il ministro dell'agricoltura, Luca Zaia.

Già, peccato che a decine di importatori nostrani il mercato asiatico non dispiaccia affatto. Sono i clienti dei banditi del formaggio. Nel giro si conoscono tutti. Stessi canali di rifornimento. La pirateria casearia - aggiunge uno degli uomini che partecipano alle indagini - attira, tra gli altri, potenti magnati russi che godono di protezioni da parte dell'oligarchia del Cremlino. Nel risiko della megatruffa alimentare, i loro traffici si incrociano, anche geograficamente, con quelli dei cartelli criminali della Campania. E con le aziende "virtuose" del profondo Nord.

Da Ceuta a Salerno hanno viaggiato le 90 tonnellate di formaggi scaduti che i carabinieri delle politiche agricole hanno sequestrato pochi giorni fa su ordine della Procura di Nocera Inferiore (Salerno). La camorra (tre arresti, 16 denunce) acquistava nell'enclave spagnola, lavorava chimicamente il prodotto, e lo rivendeva a grosse aziende nazionali. Come? La "cheese connection" dispone di braccia tanto quanto di sofisticate menti finanziarie. C'è una società off shore con sede a Ginevra, uffici in un elegante boulevard. Fa da "lavanderia": fattura tutta la merce "triangolata" dall'Asia; "ripulisce" i contratti di importazione stipulati da un'altra grossa società olandese con sede a Bladel, 40 km a Sud di Eindhoven.

Il gioco è fatto: le derrate arrivano a Ceuta già targate Suisse. Tutto è apparentemente a posto. Eccolo, dunque, il triangolo della mafia del formaggio: Odessa, Ceuta, Ginevra. In mezzo ci sono almeno cinque Paesi europei, tra cui l'Italia, che ogni settimana buttano linfa vitale nelle vene dell'organizzazione. I sequestri a macchia di leopardo sul nostro territorio altro non sono che piccoli balzelli che il sistema deve pagare alla giustizia. Ma i motori della frode funzionano a pieni giri. Spostano il formaggio e i suoi scarti da un continente all'altro: li trasformano in euro sonanti. Al porto di Ceuta sono le sei del mattino e il sole sta nascendo: il primo bastimento diretto a Algeciras si è appena staccato dal molo Espana. L'orizzonte sfuma le linee dei container.

venerdì 26 settembre 2008

Russia, fine delle ritirate tattiche


http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/25-Settembre-2008/art52.html

Russia, fine delle ritirate tattiche
GIULIETTO CHIESA

Impressioni sintetiche di cinque ore complessive a diretto contatto con i due «numeri uno» della politica russa. Tre ore con il capo del governo Vladimir Putin a Sochi; due ore abbondanti, il giorno dopo (11,12 settembre), con il presidente Dmitrij Medvedev, a Mosca. Il tutto nell'ambito di un confronto ravvicinato insieme a una trentina di esperti occidentali (il Club di discussione «Valdai»). Prima impressione: chi comanda a Mosca? Molti tra i presenti hanno cercato di trovare risposta al quesito. A me è parso che la risposta stia nel dato che i due protagonisti non hanno avuto alcun timore di esporsi davanti agli stessi interlocutori, in rapida successione. Nessuno dei due ha eluso una sola domanda. E, sebbene si fosse trattato esplicitamente di una discussione «a porte chiuse», dove le citazioni dirette erano escluse, le trascrizioni fedeli di domande e risposte sono state rese pubbliche pressoché immediatamente. Contraddizioni non ne sono emerse, né sono emerse differenziazioni tra i due. Esiste una diarchia molto solida, basata su un'intesa di lungo respiro, con una divisione di compiti assai netta.. Gli stili e l'esperienza sono diversi, ma i toni non lo sono stati. Semmai si può dire che il capo del governo, colui che viene descritto come l'uomo di ghiaccio, è stato perfino più passionale del presidente. Cui si potrebbe assegnare ora la qualifica di sorriso d'acciaio data la dura secchezza delle sue dichiarazioni. Chi ha preso la decisione di rispondere all'aggressione di Saakashvili? Putin ha detto che «Nessun carro armato si sarebbe mosso di un metro, nessun soldato di un passo, se la decisione non fosse stata presa dal comandante supremo». E Medvedev ha confermato, il giorno dopo, raccontando per filo e per segno, ora per ora, gli sviluppi della notte tra il 7 e l'8. «Se la Georgia fosse già stata ammessa, in quel momento, nella Nato, la mia decisione non sarebbe stata di una virgola diversa da quella che presi. Solo l'ordine del pericolo sarebbe stato di alcune grandezze superiore». E è stato Medvedev , infatti, a pronunciare l'epitaffio definitivo che suggella una svolta radicale dei rapporti tra Russia e Occidente: «l'8 agosto ha rappresentato la fine delle nostre illusioni sul fatto che il mondo sia costruito su giuste basi». Insieme all'altro epitaffio, che ha fatto seguito all'annuncio di Putin della fine della collaborazione con gli Stati uniti nella lotta al terrorismo internazionale: «l'8 agosto per noi equivale all'11 settembre per gli americani». Che, dopo avere individuato in certi settori dell'amministrazione Usa i promotori dell'attacco di Saakashvili, equivale a accusarli implicitamente di terrorismo. L'attuale architettura del mondo «non ci soddisfa». «Il sistema unipolare è defunto, quello bipolare non ha prospettive perché il mondo è multipolare». Ma guai a chi cerca di demolire il diritto internazionale «perché senza di esso costruire una nuova architettura sarà impossibile». Dunque chi vuole il dialogo con Mosca lo avrà. Chi vuole spingerci di nuovo dietro una cortina di ferro sappia (risposta di entrambi) che la Russia di oggi e di domani è forte abbastanza per non temere nessuno. Sarà meglio per tutti, comunque, superare l'equivoco di cui certi settori dell'Occidente non riescono a liberarsi: «la Russia non è l'Unione sovietica». Ma «la crisi con la Georgia ha modificato tutto il quadro delle relazioni esterne della Russia». «Noi non possiamo più sopportare...». Su questo è bene non coltivare altri dubbi. Fine delle ritirate tattiche e strategiche della Russia, dunque. Se l'Occidente vuole allargare ancora i confini della Nato sappia che a ogni azione corrisponderà una reazione, anche se non nello stesso posto, di uguale intensità. E non veniteci a dire che non abbiamo diritto di fare (Putin) tutto il possibile per evitare che l'Ucraina entri nella Nato. Perché noi non potremmo dire e fare questo, mentre gli Stati uniti, appoggiati da certi europei, fanno tutto il possibile per spingere l'Ucraina nella Nato? C'è qualcuno che sa rilevare la differenza tra le distanze c tra Mosca e Kiev e tra Mosca e Washington? E poi in Ucraina vivono 17 milioni di russi. Come reagiranno? A quanto pare la maggioranza degli ucraini non gradisce questo sviluppo. E sono loro a dover decidere. Sanzioni? Putin ha sorriso con sarcasmo: «neanche i vostri uomini d'affari le sosterranno». E a questo punto le risposte della Russia possono essere assai dolorose per chi ci provasse. Del resto (Putin) spiegateci perché , dopo 34 anni, il Congresso degli Stati uniti non ha ancora cancellato l'emendamento Jackson-Vanik (che escludeva l'Urss dalla categoria di «nazione maggiormente favorita», ndr ). E' questo il modo di trattare i partner ? Se ci si spintona ancora, si sappia che ci gireremo dall'altra parte (Putin, annunciando l'inaugurazione di un terminale del nuovo gasdotto verso il Pacifico). E, a sorpresa, ancora Putin tira fuori dal cassetto la vecchia idea di Gorbaciov: disfarsi delle armi atomiche. Dice: «ritengo questa prospettiva del tutto realistica. Non è una generica speranza. Mi baso sulle tecnologie realizzate nello sviluppo delle armi non nucleari, che permettono a paesi non nucleari di raggiungere potenze distruttive inaudite. Tanto più che si estende il pericolo di diffusione delle armi nucleari». Dunque dialogo per chi ci sta, ma a pari condizioni e senza sconti per nessuno. «Se la Romania concede passaporti ai moldavi perché mai noi non potremmo concederli ai cittadini di Ossetia del Sud e di Abkhazia»? La Russia non ha pretese territoriali in nessuna direzione. «Negli anni della mia presidenza (Putin) non ho mai incontrato i leader di Ossetia del Sud e Abkhazia e, anzi, li abbiamo sempre spinti verso la Georgia». Il riconoscimento della loro sovranità (Medvedev) è ora «condizione necessaria e sufficiente per la loro protezione» da altri attacchi. Apprezzamento per la linea seguita da Sarkozy a nome dell'Europa, la cui «presenza nelle zone di frizione» viene ora salutata con favore «per evitare nuove aggressioni». Ma attenzione ai missili in Polonia e al radar nella Repubblica Ceca. «Avevano detto che erano contro l'Iran, ma dopo la Georgia hanno cambiato il tiro e hanno detto che erano appropriati alla nuova situazione. Dunque sono contro di noi, come avevamo detto fin dall'inizio». Un quadro nettissimo che segnala una svolta radicale e non improvvisata, che maturava da tempo. Adesso spetta all'Europa rifare i suoi conti, visto che l'America non sembra in grado di capire.

Moratti e il giocattolo nerazzurro

dal blog di Beppe Grillo riporto:
http://www.beppegrillo.it/ del 25 settembre
Scrivevo di emmemmme Massimo Moratti nel blog il 23 aprile 2007, diciassette mesi fa:
“Ogni tanto il fratello maggiore Gianmarco gli chiede di mettere una firma sui collocamenti. La gente si fida di lui, del suo aspetto da Bugs Bunny buono. E così è stato anche per il debutto di
Saras in Borsa. I Moratti hanno incassato 1,7 miliardi di euro, ne avevano bisogno per rinforzare la squadra. Il titolo fu quotato a 6 euro in un momento di crollo del settore energetico. Chi lo comprò perse il 12% in un solo giorno. Riassunto: qualcuno decide che il prezzo di 6 euro è giusto, i risparmiatori ci credono, comprano, perdono. I Moratti e le banche ci guadagnano e la procura indaga. La Consob dov’era? Cardia illuminaci.”

Emmeemme farfugliò di querele contro di me di cui non ho avuto notizia. Quelle che ho comunque mi bastano.
Diciassette mesi dopo il post “
Senza rubare”, il 23 settembre 2008, il consulente tecnico della Procura di Milano ha descritto l’operazione Saras in 400 pagine.
Il consulente, come riportato da
Repubblica: “ha ipotizzato che l’incasso della quotazione sia servito soprattutto a un ramo della famiglia, quello di Massimo Moratti, per far fronte ai debiti dell’Inter. Con un contestuale danno per il mercato di 770 milioni di euro”.
In sostanza le azioni sono state quotate a un prezzo molto superiore al loro valore. I Moratti e le banche hanno incassato. Chi ha comprato ha perso 770 milioni di euro.
Le
banche hanno offerto un aiuto prezioso per la collocazione dei titoli. Leemail sequestrate dalla magistratura:
- “E’ vitale che davanti al prezzo ci sia un 6”,
Federico Imbert, Jp Morgan
- “Devi essere al corrente del fatto che abbiamo ottenuto 1,6 miliardi di euro, cioè da entrambi i fratelli, ma uno dei due deve ripagare 500 milioni di debiti, così quella parte non la vedremo per lungo tempo”
Emilio Saracco, Jp Morgan
- “Parlato a lungo con
Miccichè di Intesa. E’ contento del lavoro fatto insieme su Saras e Intercos. E’ personalmente a disposizione per stimolare forza vendita specialmente su Saras. Chiede di informarlo se vediamo problemi o sgranature. Tiene ovviamente molto al successo data l’esposizione sua e di Passera con i Moratti. E’ stato da lui Galeazzo Pecori Girali di Morgan Stanley consigliando di non esagerare sul prezzo. Lui crede che lo faccia per invidia nei nostri confronti”Federico Imbert, Jp Morgan.
Che Saràs, Saràs …:
- Moratti, incasso 1,6 miliardi di euro
- Jp Morgan, incasso 26,7 milioni di euro
- Banca Caboto, incasso 18 milioni di euro
- Morgan Stanley, incasso 20,9 milioni di euro
- Azionisti, perdita 770 milioni di euro.

mercoledì 17 settembre 2008

Mercato "speculativo". Che aggettivo!

va bene, siamo arrivati (ritornati) a questo stato di cose.
Ma perchè?

http://www.repubblica.it/2008/09/sezioni/economia/crisi-mutui-5/aig-crisi-rampini/aig-crisi-rampini.html


Effetto valanga se cade Aig il numero uno delle assicurazioni
Un mercato da 60mila miliardi di dollari fatto di scommesse sui fallimenti

A rischio un mercato speculativo pari a quattro volte il Pil americano

di FEDERICO RAMPINI


È UN colosso delle assicurazioni il nuovo epicentro della crisi finanziaria mondiale. Si chiama American International Group (Aig) il "buco nero" che nella sua implosione può risucchiare nuove perdite e fallimenti a catena, con ripercussioni nel mondo intero.

La bancarotta di Lehman Brothers appare già un capitolo di storia lontano, mentre incombono preoccupazioni più gravi. La compagnia assicurativa Aig non è solo una delle più grandi del pianeta, con centomila dipendenti. Occupa un posto speciale nel mezzo di una complessa ragnatela di rapporti finanziari con centinaia di banche. Perciò la notizia del declassamento di Aig da parte delle agenzie di rating Standard&Poor e Moody's ha aperto un nuovo fronte di pericolo.

Il peggioramento della sua solvibilità finanziaria può essere l'anticamera del fallimento. Ieri mattina David Paterson, il governatore dello Stato di New York (da cui dipende per legge la vigilanza sulla compagnia assicurativa) è stato lapidario: "In queste condizioni Aig ha un giorno di vita". L'ultima speranza è una cordata d'investitori che sarebbe pronta a rilevare l'Aig. La guida, ironia della sorte, il fondatore Maurice Greenberg che fu defenestrato dai vertici della compagnia per irregolarità contabili.

Il crollo del colosso assicurativo è un evento di cui nessuno riesce a prevedere l'impatto, se non che sarà disastroso. La compagnia infatti non esercita soltanto attività assicurative tradizionali. Ha sviluppato, con un'importante divisione a Londra, un intero business speculativo sui titoli derivati, compresi i titoli "infami" che sono il frutto della cartolarizzazione dei mutui. E c'è di più. Aig si è lanciata da tempo in un altro business finanziario, i "credit default swaps" (Cds).

All'origine si tratta proprio di contratti assicurativi. Il rischio contro cui essi proteggono riguarda l'insolvenza di molteplici soggetti economici. In una fase come questa dove i fallimenti si susseguono a valanga, questo business è diventato una palla al piede per Aig. Inoltre i "credit default swaps" con il tempo hanno assunto vita propria, sono diventati a loro volta degli strumenti altamente speculativi. Con una perversione della loro vocazione originaria, i Cds sono diventati un modo per scommettere sui fallimenti (dei titolari di mutui, delle aziende, delle banche) e guadagnarci sopra.

Se per una parte del mondo della finanza essi continuano a essere una indispensabile copertura del rischio-clienti, per un'altra parte sono uno strumento di speculazione ribassista. E il business dei Cds è sfuggito ad ogni controllo. La lievitazione di questi strumenti è impressionante. Nell'insieme il volume delle esposizioni su questo mercato supera i 60.000 miliardi di dollari, il quadruplo del Pil americano. L'Aig è un protagonista centrale di questo settore. Travolto dall'impossibilità di onorare tutti quei contratti anti-fallimento, a sua volta con il suo crac può affondare l'intero sistema. Un esempio delle diramazioni internazionali: ieri la banca svizzera Ubs ha perso il 24% in Borsa, nonostante abbia garantito di avere chiuso tutti i rapporti con Aig dopo una perdita di 300 milioni di dollari.

L'importanza dell'American International Group spiega la frenesia con cui le autorità Usa si affannavano ieri attorno al suo capezzale. Lo Stato di New York, facendo una trasgressione clamorosa alle sue stesse leggi che regolano i comportamenti prudenziali delle assicurazioni, ha autorizzato Aig a farsi prestare 20 miliardi di dollari dalle sue filiali. Praticamente l'azienda ha avuto un nulla osta inaudito per infilare le mani nella cassa del ramo-vita e del ramo-rischi, con buona pace dei suoi clienti. Non è bastato. A riprova che l'intera stabilità del credito è in gioco, sul caso Aig è intervenuta la Federal Reserve, "sconfinando" nel settore assicurativo che esula dalle sue competenze.

La Fed ha intimato a JP Morgan Chase e Goldman Sachs di mettere assieme un prestito-ponte di 75 miliardi di dollari: la bombola d'ossigeno per mantenere in vita il gigante assicurativo. Uno degli effetti del declassamento del rating, infatti, è che automaticamente molti creditori devono richiedere il rimborso di titoli derivati. Un'emorragia di liquidità che Aig non è in grado di fronteggiare. Ma l'ipotesi di un nuovo salvataggio pubblico è stata attaccata da John McCain, candidato repubblicano alle presidenziali. "Lasciamo che Aig fallisca", è stato il suo commento.

Dopo i costi sopportati dalle finanze pubbliche per il crac di Bear Stearns (30 miliardi di garanzie dalla Fed all'acquirente JP Morgan) e l'onere incalcolabile della nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac (200 miliardi la stima più ottimista), i repubblicani non vogliono affrontare le presidenziali con un deficit pubblico allo sbando. Se regge la linea del rigore applicata alla Lehman - o se JP Morgan e Goldman Sachs non trovano i "prestatori" volonterosi per 75 miliardi di dollari - il destino dell'Aig è segnato: un'altra bancarotta. A meno che intervenga il "cavaliere bianco" Greenberg con la sua cordata di investitori privati.

Dall'inizio di questa crisi di dimensioni storiche, le perdite totali per il sistema bancario - che il Fondo monetario internazionale stimava a 950 miliardi di dollari - salgono verso i 1.500 miliardi. Le voci di difficoltà lambiscono le due ultime merchant bank sopravvissute, Morgan Stanley e Goldman Sachs (i cui risultati sono crollati del 70%). La più grande cassa di risparmio americana, Washington Mutual, anch'essa vicina al fallimento, potrebbe essere "ingoiata" da JP Morgan. Come nell'acquisizione di Merrill Lynch da parte di Bank of America, queste operazioni decise nel nome della stabilità sistemica e dell'interesse nazionale avranno costi pesanti: ristrutturazioni e licenziamenti di massa.

L'ondata di sfiducia è inarrestabile e lo si è visto nell'impennata del costo del denaro. In una sola notte sul mercato interbancario americano è raddoppiato il costo per ottenere prestiti: il tasso Libor è schizzato da 3,20% a 6,44%, ritrovando i massimi dell'11 settembre 2001. La paralisi del credito e il dilagare della paura provocano scosse sismiche anche nella valutazione del rischio-sovrano. E' sintomatico il balzo che ha subito il rischio-Italia. Il differenziale tra i rendimenti dei nostri Btp decennali e gli equivalenti Bund tedeschi è salito di 74 punti raggiungendo un massimo storico: il record dalla nascita della moneta unica nel gennaio 1999.
(17 settembre 2008)

lunedì 15 settembre 2008

L'età delle diaspore


http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=7824

Restare se stessi in terra straniera è la sfida dell´era delle diaspore - 15/09/08

di Zygmunt Bauman - da la Repubblica
Le città, ed in particolare le metropoli, sono come pattumiere in cui i problemi della globalizzazione vengono gettati. Sono anche laboratori in cui l´arte di vivere con questi problemi (pur non risolvendoli) è sperimentata, messa alla prova e (speriamo) sviluppata. Mi concentrerò su un aspetto del processo di globalizzazione: e cioè, il mutamento di alcuni aspetti della migrazione globale.
Si possono individuare tre distinte fasi migratorie nell´epoca moderna. Quella attuale, la terza, tuttora in pieno vigore e slancio, ci porta nell´era delle diaspore: un arcipelago planetario di insediamenti etnici/religiosi/linguistici ha indotto una logica della redistribuzione planetaria delle risorse umane. Le diaspore sono disseminate, diffuse, si estendono in molti territori sovrani, ignorano le rivendicazioni territoriali per la supremazia di richieste e doveri locali, sono schiacciate dal doppio (o multiplo) legame della "doppia (o multipla) nazionalità" e doppia (o multipla) lealtà.

La nuova migrazione pone un punto interrogativo al legame tra identità e cittadinanza, individuo e luogo, vicinato e appartenenza. I confini del proprio "quartiere" sono porosi, è difficile identificare chi vi appartiene e chi è un estraneo. Che cos'è ciò a cui apparteniamo in questa località? Che cos´è ciò che ognuno di noi chiama casa e, quando ricordiamo e ripensiamo a come siamo arrivati qua, quali storie condividiamo? Vivere come noi in una diaspora tra diaspore ha imposto alla nostra attenzione il tema della "convivenza con la diversità". È probabile che avvenga solo una volta che tale differenza non sia più percepita puramente come una "irritazione temporanea", e così, diversamente dal passato, urgentemente bisognosa di interventi specifici, insegnamento e apprendimento. L'idea dei "diritti umani", si traduce oggi nel "diritto a essere diverso".

Un po' alla volta, questa nuova interpretazione dell'idea dei diritti umani, tutt'al più, semina tolleranza; deve cominciare seriamente fin d´ora a seminare solidarietà. La nuova interpretazione dell´idea di diritti umani scardina le gerarchie e distrugge l'immagine di una "evoluzione culturale" verso l'alto (progressiva). Forme di vita galleggiano, si incontrano, scontrano, precipitano, si aggrappano l´una all´altra, si fondono, si separano (per parafrasare George Simmel) con uguale gravità specifica. Le fisse e monolitiche gerarchie e le linee evolutive sono state sostituite da interminabili lotte per il riconoscimento, endemicamente inconcludenti; o al massimo da scale gerarchiche rinegoziabili.

Potremmo dire che la cultura è nella sua fase liquido-moderna, fatta a misura della libertà di scelta individuale. E dovrebbe sostenere tale libertà; assicurarsi che la scelta sia inevitabile: una necessità vitale e un dovere. La cultura contemporanea si basa su offerte, non norme. Come già notato da Pierre Bourdieu, la cultura vive secondo la seduzione, e non regole normative; secondo relazioni pubbliche, e non mantenimento dell'ordine; creando nuovi bisogni/desideri/volontà, non coercizione. Questa nostra società e una società di consumatori, e proprio come il resto del mondo è vissuto da consumatori, la cultura si trasforma in un magazzino di prodotti pensati per il consumo – in cui ognuno di essi compete per catturare l´attenzione di potenziali consumatori nella speranza di attirarli e trattenerli per un attimo. Abbandonare i rigidi standard, assecondare la mancanza di discriminazione, servire tutti i gusti non privilegiandone alcuno, incoraggiare la discontinuità e la "flessibilità" e romanticizzare l'instabilità e l'inconsistenza, è questa la "giusta" strategia da perseguire.

L'attuale fase di progressiva trasformazione dell'idea di cultura dalla sua originaria forma ispirata all'Illuminismo verso la sua reincarnazione liquido-moderna è stimolata e gestita dalle stesse forze che promuovono l'emancipazione dei mercati dagli impedimenti di natura non-economica – cioè da quei legami sociali, politici ed etici. Perseguendo la propria emancipazione, l'economia, focalizzata sul consumatore liquido-moderno, fa affidamento sulle offerte in eccesso, sul loro invecchiamento accelerato, e sul rapido declino del loro potere seduttivo – cose che, tra l'altro, la rendono un´economia di dissipazione e spreco. Dal momento che non è dato sapere in anticipo quali offerte si riveleranno sufficientemente attraenti da stimolare il desiderio consumistico, l'unica soluzione è quella di costosi tentativi.

La cultura sta diventando ora come uno di quei reparti del tipo "tutto ciò che ti serve e che puoi sognare" dei grandi magazzini in cui il mondo abitato da consumatori si è trasformato. Come in altri reparti di quel magazzino, le mensole strapiene sono rifornite giornalmente di merci, mentre i banchi sono addobbati con le ultime offerte commerciali destinate a scomparire immediatamente, assieme alle attrazioni che pubblicizzano. Le merci e le pubblicità allo stesso modo sono pensate per accrescere i desideri e stimolare le volontà (come George Steiner ha notoriamente descritto – "per un massimo impatto e un immediato invecchiamento"). I commercianti e i copywrighter contano sul connubio tra il potere seduttivo delle offerte e la radicata "arte di primeggiare", il desiderio di "ricavarsi uno spazio" proprio dei potenziali consumatori. La cultura liquido-moderna, differentemente dalla cultura dell´epoca del nation-building, non ha persone da acculturare. Ha invece clienti da sedurre. E, diversamente dai suoi predecessori "solidi moderni", non vuole più lasciare che le cose si risolvano da sole, il suo compito oggi è rendere permanente la sua sopravvivenza – rendendo temporali tutti gli aspetti della vita dei suoi precedenti protetti, ora rinati come clienti.

(Traduzione di Silvia Sai, testo elaborato in occasione del primo Festival delle Culture "Uguali-Diversi" a Luzzara e Novellara dal 12 al 14 settembre)

Dieci passi nel futuro

http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=7823
Dieci passi nel Futuro - 15/09/08

di Jeremy Rifkin – da l'Unità
La terza rivoluzione industriale rende possibile una nuova Europa sociale nel ventunesimo secolo. Il sogno europeo è il fulcro della nuova Europa sociale. La maggior parte degli europei sperano soprattutto in una nuova Europa sociale fondata sulla “qualità della vita”. Il sogno europeo sottolinea i diritti umani e sociali in un quadro di equilibrio tra modelli sociali e di mercato e con prospettive di cooperazione e di pace. Il sogno di una Europa sociale è al momento minacciato dall'incremento dei prezzi del petrolio e del gas e dagli effetti del cambiamento climatico sulle comunità e sugli ecosistemi del continente.
Presupposto di tutto è la terza rivoluzione industriale senza la quale è impossibile una nuova Europa sociale. La terza rivoluzione industriale e la nuova Europa sociale garantiranno all'Europa cinquant'anni di integrazione.

È necessaria ora una chiara agenda politica che consenta alla Commissione Europea di proseguire la realizzazione del progetto europeo. La nuova Europa sociale poggia su dieci pilastri ciascuno dei quali ha come presupposto la terza rivoluzione industriale:

1) Un livello di vita sostenibile: l'incremento di lungo periodo dei prezzi del gas e del petrolio e i crescenti effetti del cambiamento climatico su settori commerciali che vanno dall'agricoltura al turismo, stanno gia' producendo conseguenze pesanti sul livello di vita di milioni di europei. I prezzi dei prodotti alimentari sono in continua ascesa e lo stesso dicasi per i servizi e per i prodotti di largo consumo. Negli anni a venire la situazione non può che peggiorare mettendo in pericolo il sogno di una nuova Europa sociale. I governi, il mondo finanziario e imprenditoriale e la società civile debbono mobilitarsi insieme per passare a nuove forme di energia.

2) L'effetto di moltiplicatore economico: la transizione verso la terza rivoluzione industriale comporterà una riconfigurazione globale delle infrastrutture europee con la creazione di milioni di posti di lavoro e di nuovi beni e servizi con un effetto di moltiplicatore economico che si farà sentire fino alle seconda metà del ventunesimo secolo. Saranno necessari massici investimenti nelle energie rinnovabili, dovremo ristrutturare milioni di edifici trasformandoli in vere e proprie centrali elettriche e impianti di produzione di energia e saremo costretti ad abbandonare la tecnologia obsoleta delle automobili alimentate dal motore a combustione interna.

3) Nuovi lavori e modelli imprenditoriali per il ventunesimo secolo: il rifacimento delle infrastrutture europee e l'ammodernamento dell'apparato industriale comporterà una massiccia operazione di riqualificazione dei lavoratori europei come già avvenne all'inizio della prima e della seconda rivoluzione industriale. La forza lavoro della terza rivoluzione industriale dovrà essere esperta di energie rinnovabili, di edilizia verde, di tecnologia dell'informazione, di nano-tecnologie, di chimica sostenibile, di gestione di griglie energetiche digitali, di mezzi di trasporto alimentati ad energia elettrica e idrogeno e di centinaia di altre tecnologie. Imprenditori e manager dovranno conoscere nuovi modelli di impresa, tra cui il commercio open-source e networked, la ricerca distribuita e collaborativa e le strategie di sviluppo, la logistica sostenibile a basso impiego di carbone e la gestione delle catene di approvvigionamento.

4) Migliorare la sicurezza energetica dell'Europa: La Ue ha cominciato ad occuparsi di sicurezza energetica con la creazione della Comunità Europea Carbone e Acciaio e l'introduzione del progetto Euratom. L'Europa dovrà creare un regime di energia rinnovabile autosufficiente e diffuso capillarmente che sia in grado di garantire l'indipendenza energetica. Un sistema integrato europeo consentirà a ciascun Paese della Ue di produrre l'energia di cui ha bisogno e di distribuire agli altri Paesi l'eccesso di produzione.

5) Realizzare l'Agenda di Lisbona e diventare l'economia più competitiva del mondo: l'industria europea dispone di un know-how scientifico, tecnologico e finanziario tale da aprire la strada alle energie rinnovabili, all'edilizia verde, all'economia fondata sull'idrogeno e da avviare il mondo verso una nuova era economica. L'industria automobilistica, quella chimica, quella manifatturiera, quella informatica e delle comunicazioni, le industrie bancaria e assicurativa sono in grado di dare impulso alla terza rivoluzione industriale. Inoltre la Ue è il più grosso mercato mondiale per l'energia solare ed è leader mondiale nella produzione di energia eolica. Resta solo alla Ue il compito di creare un mercato unico e integrato dell'energia. Pur essendo potenzialmente il più grande mercato interno del mondo con i suoi 500 milioni di consumatori e altri 500 milioni di consumatori nelle zone associate che abbracciano il Mediterraneo e il Nord Africa, la Ue non ha ancora creato infrastrutture logistiche efficienti con una comune griglia di trasporti, di comunicazioni e di energia.

6) Dare più potere alla gente e promuovere una rete europea: la terza rivoluzione europea porta ad una nuova Europa sociale nella quale il potere sarà più capillarmente diffuso in modo da incoraggiare nuovi livelli di collaborazione tra i suoi 500 milioni di cittadini. Nella nuova era, imprese, enti locali e proprietari di abitazioni diventeranno produttori oltre che consumatori di energia - stiamo parlando della cosiddetta “generazione distribuita”. Così come nel decennio scorso la rivoluzione della “comunicazione distribuita” ha allargato le menti e ha democratizzato le comunicazioni, la terza rivoluzione industriale intende democratizzare l'energia. La democratizzazione dell'energia diventa un punto focale della nuova Europa sociale e l'accesso all'energia diventa un diritto fondamentale inalienabile dell'era della terza rivoluzione industriale. Nel ventesimo secolo abbiamo assistito all'allargamento della partecipazione politica e ad un più diffuso accesso all'istruzione e all'economia per milioni di europei. Nel ventunesimo secolo anche l'accesso all'energia diventerà un diritto sociale ed umano.

7) L'istruzione nel ventunesimo secolo: La prima e la seconda rivoluzione industriale furono accompagnate da profonde trasformazioni dei sistemi scolastici. Anche la terza rivoluzione industriale comporterà una radicale riforma della scuola per preparare le future generazioni a lavorare e vivere in un mondo post-carbone. Le scuole e le università dovranno insegnare prevalentemente informatica, bio e nano-tecnologie, scienze della terra, ecologia, teoria dei sistemi, modelli di apprendimento open-source e capitale sociale. Dovremo educare i nostri figli a pensare come cittadini globali e prepararli a passare dalla tradizionale geopolitica del ventesimo secolo alla politica della biosfera globale del ventunesimo secolo. L'istruzione riguarderà il compito di tutelare la salute della biosfera del pianeta e di promuovere gli ecosistemi regionali.

8) Una qualità della società della vita umana: nella nuova Europa sociale del ventunesimo secolo, l'opportunità economica del singolo diviene parte di una più ampia visione sociale che punta a creare una qualità della società della vita umana. I tradizionali indicatori economici del ventesimo secolo che sottolineano il prodotto interno lordo e il reddito pro capite saranno affiancati da indicatori altrettanto importanti sulla qualità della vita, sui diritti umani e sociali, sul livello di istruzione, sulla salute, sulla sicurezza delle comunità, su un giusto rapporto tra lavoro e tempo libero e sulla qualità dell'ambiente. Nella terza rivoluzione industriale motori della qualità della società della vita umana sono il potere distributivo e le comunità sostenibili.

9) Ripensare la globalizzazione dal basso : la transizione, che durerà mezzo secolo, dalla seconda alla terza rivoluzione industriale modificherà profondamente il processo di globalizzazione. A risentirne maggiormente saranno probabilmente i Paesi in via di sviluppo. Può sembrare incredibile ma oltre la metà degli abitanti del pianeta non ha mai fatto una telefonata e un terzo non dispone di corrente elettrica, la qual cosa funge da moltiplicatore della povertà. L'accesso all'energia garantisce maggiori opportunità economiche. Se milioni di individui e comunità diventassero produttori dell'energia che consumano, le conseguenze sarebbero enormi e cambierebbe anche la geografia del potere. Le comunità locali sarebbero meno soggette alla volontà di centri di potere lontani. Le comunità potrebbero produrre beni e servizi sul luogo e venderli in tutto il mondo. È questa l'essenza della politica dello sviluppo sostenibile e di una globalizzazione ripensata dal basso.

10) Il lascito dell'Europa, un pianeta sostenibile: nel 1960 il presidente Kennedy invitò la generazione americana del baby boom ad aiutarlo a portare un uomo sulla luna entro dieci anni e ad esplorare lo spazio. Nel ventunesimo secolo l'Europa deve svolgere un ruolo guida nella salvezza della biosfera sulla terra.

Per passare dalla seconda alla terza rivoluzione industriale è necessario un piano di transizione di lungo periodo e attentamente studiato. L'Unione Europea lo sa e si è impegnata a seguire un processo che poggia su due pilastri: 1) incrementare l'efficienza energetica e ridurre del 20% l'uso di carbone entro il 2020 e 2) centrare l'obiettivo del 20% di energie rinnovabili e posare le basi della terza rivoluzione industriale entro la prima metà del ventunesimo secolo.

Il testo è una sintesi dell'intervento che Jeremy Rifkin ha tenuto a «GlobaleLocale», la scuola politica estiva del Pd che si è chiusa ieri in Toscana a Castiglione del Lago, Cortona e Montepulciano. Jeremy Rifkin è presidente della Foundation on Economic Trends con sede a Washington e insegna all'Università di Pennsylvania. Traduzione di Carlo Biscotto

venerdì 12 settembre 2008

Pronti alla Guerra

cosa si deve dire per vincere le elezioni?
Ma da dove esce questa gente?
Chi pensava che la fredda Alaska, con paesaggi naturali mozzafiato e un film "Into the Wild" che di recente ci ha ripresentato questo STATO americano (di mezzo c'è il Canada), potesse covare soggetti che possono esprimersi in questo modo!?
vuol dire che...NON CI SIAMO!!!


http://www.repubblica.it/2008/09/sezioni/esteri/verso-elezioni-usa-2/palin-russia/palin-russia.html

Prima intervista televisiva per la candidata repubblicana alla vicepresidenza
La Nato va allargata e se gli stati membri sono aggrediti bisogna aiutarli
Palin, debutto tv da "donna forte"
"Pronti alla guerra con la Russia"

WASHINGTON - Sarah Palin va alla guerra. Nel suo debutto in tv da candidata alla vicepresidenza, manda un avvertimento a Mosca: l'America vuole l'estensione della Nato ad altri paesi ex sovietici e se la Russia facesse un bis dell'invasione della Georgia, è pronta anche a un conflitto armato. "Ucraina e Georgia meritano di entrare nella Nato", dice Palin a Charles Gibson, il giornalista della Abc che ha avuto l'esclusiva dell'intervista più attesa in questi giorni negli Usa. Se Tbilisi fosse stata già parte dell'Alleanza o se la Russia invadesse uno stato membro, aggiunge, gli Usa potrebbero entrare in guerra con Mosca, "perché questo è l'accordo che prendi quando sei un alleato della Nato: se un altro paese viene attaccato, devi aspettarti di venir chiamato in aiuto". Palin ci tiene a chiarire che non ha "battuto ciglio" quando John McCain le ha offerto la candidatura alla vicepresidenza: "Non puoi avere esitazioni, ho la sicurezza e la preparazione che servono". All'intervistatore che le chiede se si sente pronta anche a subentrare al presidente, se al 72enne McCain accadesse qualcosa, la governatrice risponde di sì senza esitazioni. La governatrice dell'Alaska, che in passato ha definito la guerra in Iraq "un compito indicato da Dio", si dice poi "convinta che vi è un progetto per questo mondo e che questo progetto sia per il bene". "Penso che vi sia grande speranza e grande potenziale per ogni paese - afferma - per vivere e veder protetti i suoi diritti inalienabili che sono dati da Dio. Credo che questi siano i diritti alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità. Questo, a mio giudizio, è il grande piano del mondo". Si tratta dei tre diritti affermati nella Dichiarazione d'Indipendenza americana. Palin era sparita in sordina dall'Alaska due settimane fa, senza che nessuno se ne accorgesse, per spuntare all'improvviso al fianco di McCain come candidato vicepresidente. Adesso è tornata a casa, con un esercito di giornalisti al seguito, accolta come un'eroina locale e trasformata in protagonista della politica nazionale. L'intervista, che la Abc intende proporre a puntate in vari programmi del network fino a sabato, era molto attesa, perché Palin resta un personaggio per ora semisconosciuto per il grande pubblico. La pausa in Alaska durerà poco. Gli strateghi repubblicani pensano di riunire in fretta la coppia McCain-Palin, che ha dimostrato un ottimo 'feeling' in questi giorni di campagna elettorale. Di solito il candidato presidente e il suo vice si dividono nelle ultime settimane di campagna, per coprire più terreno. Ma l'idea di McCain adesso è di tenere al suo fianco la popolare Palin, un po' come avvenne nel 1992 con l'allora inseparabile coppia Bill Clinton-Al Gore, che conquistò l'America con il proprio look giovanile e sconfisse il presidente in carica, George Bush padre. L'11 settembre della Palin è stato accompagnato da immagini ad effetto che sembrano destinate a rafforzarne il personaggio "giù al sud", negli altri stati degli Usa. Proprio nel giorno dell'anniversario dell'attacco all'America del 2001, quando il patriottismo statunitense è al massimo, la governatrice ha partecipato a una cerimonia dell'esercito per salutare il figlio Track, in partenza come soldato per l'Iraq. Il bagno di folla al suo arrivo all'aeroporto di Fairbanks, con 3.000 persone alcune delle quali erano in attesa da sei ore per vederla, servirà inoltre ai repubblicani per insistere sull'immagine di governatore più popolare d' America.

I dittatori vanno a scuola di tortura

per chi avesse perso la puntata di Report: USA-L'altro terrirismo riporto un'altra testimonianza, questa volta "cartacea"

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/11-Settembre-2008/art44.html

IL RUOLO DELLA CIA
I dittatori vanno a scuola di tortura

Nel libro «Un viaggio molto particolare», pubblicato nei Quaderni di Via Montereale, Sergio Vuskovic Rojo (classe 1930), sindaco di Valparaiso al momento del golpe in Cile, descrive i suoi nove giorni di tortura nella navescuola della Marina militare cilena, dove venne condotto a poche ore dal colpo di stato. L'intensa riflessione di un uomo che resiste con la forza del pensiero e delle proprie motivazioni alla ferocia della dittatura: un sistema che - come spiega Alfred W. McCoy nel recente volume «Una questione di tortura», pubblicato dalle edizioni Socrates - si era addestrato alla Scuola delle Americhe dell'esercito Usa, allora basata a Panama.

11 settembre - 1973, Golpe in Cile

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/11-Settembre-2008/art43.html

IL GOLPE IN CILE
Alfonso Podlech Michaud il Condor di Pinochet
L'incubo di cui sarà preda il Cile per 17 anni ebbe inizio all'alba dell'11 settembre 1973. I carri armati assaltarono il Palazzo della Moneda e il presidente socialista Salvador Allende si uccise con un colpo di fucile Parla la testimone Fresia Cesa, vedova di Omar Venturelli
GERALDINA COLOTTI

Per la destra cilena e i gruppi di potere che lo hanno appoggiato, l'ex procuratore militare di Temuco, Alfonso Podlech Michaud, 73 anni, è un principe del foro e un docente stimato. Ma per i familiari dei desaparecidos e le associazioni per i diritti umani, è un assassino e un torturatore che l'ha fatta franca: il principale responsabile nella regione dell'Araucania, agli ordini del generale Augusto Pinochet. Forte dell'immunità di cui ha sempre goduto, Podlech ha ignorato il mandato di cattura internazionale che lo inseguiva dal Natale scorso, come uno degli accusati del Piano Condor - la rete di stato che eliminava gli oppositori politici in America latina. Si è fatto fermare in Spagna insieme alla sua seconda donna, che le organizzazioni per i diritti umani accusano di aver fatto parte della brigata psicopolitica dei servizi segreti pinochettisti. E in Spagna il giudice Baltazar Garzon ha firmato l'ordine di estradizione per l'Italia, dove ora è detenuto. Podlech - a cui giorni fa sono stati rifiutati gli arresti domiciliari - è accusato di aver torturato e fatto scomparire alcuni cittadini italiani, residenti in Cile durante la dittatura. Fra questi, l'ex sacerdote Omar Venturelli, dirigente dei Cristiani per il socialismo e docente di pedagogia all'Università cattolica di Temuco. «Fummo convocati alla caserma Autaro subito dopo lo scoppio della dittatura - racconta al manifesto la moglie di Venturelli, Fresia Cea - Allora io ero dirigente sindacale della Centrale unica dei lavoratori, rappresentante degli insegnanti. L'accordo fra me e mio marito era che uno dei due avrebbe cercato di rimanere vivo per occuparsi della nostra bambina. Andai per prima in caserma, dove mi resi conto subito che non si trattava di pratiche ordinarie. Per indurmi a parlare, mi fecero assistere alle torture. Ogni tanto, due medici prendevano il polso ai prigionieri. Ho visto come facevano correre sulle ginocchia i familiari dei mapuche, sparandogli fra i piedi. Dietro la caserma c'era uno sterrato dove avvenivano le esecuzioni». Fresia Cea riesce a cavarsela, non così il marito. Quando va in caserma a cercarla, viene trattenuto e torturato. «Podlech - racconta ancora Fresia - firmò un ordine di scarcerazione per mio marito il 4 ottobre 1973, l'Orden de Libertad numero 52. Invece una settimana dopo, un compagno che era riuscito a uscire ci disse di aver sentito da una cella la sua voce: "mi chiamo Omar Venturelli, fate sapere che sto morendo". Ho chiesto aiuto a tutti, ma non riuscivo a trovare neanche una macchina». Non può trovare aiuto in parrocchia, Fresia: «il mio parroco - dice - era accusato di essere il responsabile militare del Mir, gli avevano smontato persino l'altare per trovare le armi, era dovuto fuggire insieme ad altri sacerdoti. Bernardino Pinera, il vescovo dell'Araucania, ha fatto fuggire diversi sacerdoti». Ma per Venturelli, sospeso a divinis per aver partecipato alle lotte dei contadini indigeni, il vescovo non si muove «eppure - afferma Cea - i compagni dal carcere gli avevano mandato una lettera accorata spiegandogli che Omar stava morendo sotto tortura. Non so perché non si sia mosso. Oggi dice che non si ricorda di Omar, eppure ha pubblicato un libro su quegli anni con date e particolari». Quanto a Podlech, sostiene di essere stato nominato procuratore militare di Temuco solo nel marzo '74. Anche se l'ordine di scarcerazione per Venturelli - l'Orden numero 52 - l'ha firmato prima «Anche se - afferma ora Cea - le associazioni dei diritti umani hanno raccolto molte testimonianze dirette della sua partecipazione diretta alle torture». Eppure «in tanti anni, neanche un processo. Solo ora, con la presidenza di Michelle Bachelet sono stati nominati dei giudici speciali per istruire i processi relativi alle questioni dei diritti umani. Ma quando si presentano le carte, o i tribunali si dichiarano incompetenti oppure i giudici non ritengono sufficienti le prove. A Podlec, che insegnava all'università di Major abbiamo fatto 4 denunce, ma nessuna è stata accolta. L'ultima l'abbiamo presentata a Santiago, il 26 luglio del 2006, e finalmente è andata avanti». Contro Podlec, che non aveva dimesso gli abiti del persecutore, l'anno scorso anche un gruppo di associazioni Mapuche avevano presentato un esposto, «ma a Temuco - spiega Cea - l'apparato di potere è rimasto uguale dal giorno del colpo di stato. I territori mapuche sono militarizzati, l'anno scorso 3 attivisti italiani sono stati espulsi dai territori indigeni per impedire che testimoniassero presso la giustizia internazionale». E Podlech si sarebbe recato al carcere di Temuco fin dall'11 settembre 1973, giorno del colpo di stato, per liberare i fascisti di Patria y Libertad. «Il capo dell'organizzazione di estrema destra Patria e Libertà - racconta Fresia Cea - quel giorno era a Temuco a festeggiare il colpo di stato, si tratta di Pablo Rodriguez, avvocato difensore di Pinochet. La regione dell'Araucania - aggiunge - è l'unica in tutto il Cile che ha votato fino all'ultimo con un plebiscito a favore di Pinochet». Podlech avrebbe torturato e ucciso nella caserma di Tucapel, dove venne rinchiuso anche lo scrittore cileno Luis Sepulveda, che lo racconta nel suo libro La frontiera scomparsa . «Verso le 17, dopo il coprifuoco - racconta Cea - i detenuti venivano trasferiti a Tucapel per essere torturati. Qualcuno tornava, altri venivano uccisi durante il tragitto in base alla le y de fuga , perché si sarebbero dati alla fuga. L'ordine di torturare veniva da Podlec, ma ufficialmente Temuco restava un carcere ordinario». Ricorda ancora Fresia: «Quando sono arrivata in Italia con la bambina, a un tratto mi sembrava di ricononoscere mio marito alla guida di una macchina. Allora saltavo su un taxi e dicevo: segua quella macchina, ma quando la raggiungevo vedevo che non si trattava di Omar e la speranza svaniva. Ho vissuto così per anni». Un dolore incancellabile, che alla lunga spegne la vita. Molte donne fra i familiari di desaparecidos sono morte di cancro: Gladys Marin, segretaria generale del Partito comunista cileno, la presidente dei famigliari degli scomparsi, Sola Sierra, la giornalista Patricia Verdugo. E anche Fresia Cea ha un tumore devastante. «Dicono sia il tipico male della società moderna e della sua aggressione - afferma ora -, ma nel nostro caso la violenza è stata permanente: nel vedere la tracotanza di chi ha torturato continuare a esercitare cariche pubbliche, a un certo punto i corpi non ce l'hanno fatta più». Anche per questo, le associazioni dei familiari dei desaparecidos chiedono che lo stato cileno assuma il gratuito patrocinio anche nel caso del processo Condor, assista le famiglie che devono seguire i processi in Italia. «Molti che ora sono deputati nel governo Bachelet - dice ancora Fresia - hanno ricevuto accoglienza e solidarietà in Italia ai tempi della dittatura: come Antonio Leal, che rappresentava il Partito comunista e ora è un deputato della destra, e ha dimenticato il lavoro che abbiamo fatto insieme per il Cile in Italia». Si ricorda di quell'impegno, Leal? «Speriamo - dice Fresia Cea, che è stata segretaria ministeriale nel precedente governo Lago - che quei deputati restituiscano la solidarietà al popolo italiano, che oggi chiede giustizia per alcuni suoi concittadini, e si diano da fare. In questi giorni, il quotidiano El mostrador ha reso nota la lista dei militanti della Dc che erano membri dei servizi segreti. E domenica scorsa La Nacion ha pubblicato per la prima volta nomi e fotografie dei latifondisti di Patria e Libertà, che hanno assassinato e torturato. Ma c'è ancora un lungo cammino da fare».

Raid USA in Pakistan

stato canaglia..... no paese amico..... va beh.. ora bombardiamo!
Questa geopolitica.... mah....


http://www.liberazione.it/ pag. 9

Pakistan, dura presa di posizione del neopresidente dopo gli sconfinamenti dei caccia statunitensi

Zardari: «Basta con i raid Usa»

Valeria Fraschetti
New Dehli
A sette anni dall'11 settembre la guerra di Washington contro il terrorismo è tutt'altro che conclusa, si espande. Verso un nuovo fronte, il Pakistan. Gli oltre 70mila militari americani e Nato impegnati in Afghanistan riescono a fare sempre meno contro l'inossidabile resistenza talebana che, secondo l'intelligence statunitense, utilizza alcune aree tribali pachistane di confine per nascondersi e riorganizzarsi. Così il capo di stato maggiore dell'esercito Usa, l'ammiraglio Micheal Mullen, ha annunciato una «nuova strategia militare» che tiene conto «dei due lati della frontiera». Tradotto: il raid avvenuto la settimana scorsa da parte di alcuni soldati americani nel Pakistan del nord, in cui sono state uccise 15 persone, non era un'eccezione. Piuttosto, un amaro assaggio per Islamabad dell'inizio di un'imprecisata serie di violazioni della propria sovranità territoriale.
Stando a quanto riferiva ieri il New York Times , a luglio scorso il presidente Bush in persona ha autorizzato in segreto le forze speciali a fare incursioni terrestri nelle zone di confine pachistane, anche senza il preventivo assenso del governo pachistano. In pratica, Islamabad sarà informata delle operazioni ma i militari Usa non chiederanno il permesso di oltrepassare il confine. Neanche a dirlo, la rabbia del Pakistan ieri non si è fatta attendere e tra Washigton e Islamabad è calato il gelo. Il capo delle Forze armate ha avvertito che le sue truppe impediranno d'ora in poi «non importa a quale prezzo» alle forze straniere di penetrare nel territorio pachistano. «La sovranità e l'integrità territoriale del paese saranno difese e nessuna forza straniera sarà autorizzata a condurre operazioni all'interno del nostro Paese», ha affermato ieri il generale Ashgaq Kayani.. Il primo ministro pachistano Yousuf Raza Gilani ha poi dichiarato che le parole del capo di stato maggiore dell'esercito riflettono pienamente la politica del governo.
In realtà, la reazione di Islamabad arriva quando oramai gli attacchi americani alle aree tribali pachistane sono diventati pressoché quotidiani. Finora però si erano limitati ad essere aerei. Alcuni missili americani sembra abbiano peccato di precisione e nelle ultime due settimane hanno fatto almeno 20 vittime tra la popolazione civile. Non a caso ieri anche l'ambasciatore pachistano a Washington, Hussain Hakkani, è intervenuto sulla questione: «Le azioni unilaterali degli Stati Uniti non aiutano la lotta la terrorismo, piuttosto fanno infuriare l'opinione pubblica».
Prima i droni, ora gli sconfinamenti via terra: è evidente che l'impegno nella lotta al terrorismo dimostrato da Islamabad non sia abbastanza per Washington. E dopo le notizie di ieri, i plausi e l'appoggio della Casa Bianca al neo-presidente pachistano Asif Ali Zardari, eletto la settimana scorsa, sembrano preistoria. Secondo il quotidiano newyorchese, la decisione di sconfinare in territorio pachistano rappresenta uno "spartiacque" nella politica dell'amministrazione americana che negli ultimi sette anni ha tentato di collaborare con Pakistan nella lotta ai talebani e ad Al Qaeda.
Eppure l'impegno nello sradicamento dei miliziani, almeno in termini di vite umane, il Pakistan lo sta pagando. Dal 2002 sono oltre mille i soldati rimasti uccisi nei combattimenti nelle aree tribali. Di civili pachistani, invece, ne sono morti 1.200 solo nell'ultimo anno. Ieri c'è stato l'ennesimo attentato omicida quando una serie di granate sono state scagliate contro una moschea durante l'ora di preghiera. Venti persone sono morte e altri trenta sono rimaste ferite. Mentre le forze di sicurezza pachistane hanno diffuso il loro ultimo bollettino: 20 militanti integralisti islamici uccisi grazie ad un'operazione nella regione di Bajaur, a nord ovest, verso il confine afgano.
Il presidente Hamid Karzai da Kabul si è detto favorevole allo sconfinamento delle truppe americane nel Paese confinante. «Il cambio di strategia è essenziale», ha detto ieri in una conferenza stampa, benché martedì scorso avesse dichiarato al suo omologo pachistano di essere favorevole ad una collaborazione più attiva contro la resistenza talebana. Il presidente Zardari si trova ora nella difficile posizione di dover accontentare le richieste della Casa Bianca in tema di lotta al terrorismo, senza però risultare troppo debole agli occhi della popolazione che mal sopporta le ingerenze americane. In attesa di iniziative forti da Islamabdad, Washigton proprio questa settimana ha annunciato il raddoppio della presenza militare in Afghanistan nei prossimi mesi. I soldati americani e dell'Alleanza atlantica passeranno così da 71 a 134mila.

Chavez caccia l'ambasciatore USA

dopo il Cile anche il Venezuela. Veramente cambiano le cose?


http://www.repubblica.it/2008/08/sezioni/esteri/bolivia/venezuela-ambasciatore/venezuela-ambasciatore.html


l leader di Caracas accusa Bush di aver organizzato un complotto per rovesciarlo
Ieri la stessa misura era stata presa dal governo boliviano di Morales

Tensione tra America e Venezuela
Chavez caccia l'ambasciatore Usa

"Se ci attaccano siano pronti a bloccare le esportazioni di petrolio"

CARACAS - Si alza la tensione tra Stati Uniti e Venezuela. Il presidente Ugo Chavez, dopo che ieri la Bolivia aveva espulso l'ambasciatore americano, ha adottato la stessa misura nei confronti del rappresentante diplomatico di Washington a Caracas. "L'ho fatto per solidarietà con la Bolivia, Patrick Duddy se ne deve andare entro 72 ore". Allo stesso tempo Chavez ha richiamato l'ambasciatore a Washington, Bernardo Alvarez. "Quando arriverà alla Casa Bianca un governo che rispetta l'America Latina - ha affermato - manderemo un ambasciatore".
Il presidente venezuelano, non nuovo agli attacchi contro l'America, accusa l'amministrazione Usa di aver organizzato un complotto per rovesciare lui e il presidente boliviano Morales: "Bush rispetti la sovranità dei popoli e dei governi latino-americani. Chiediamo rispetto: solo e soltanto questo". La ritorsione di Chavez, però, non si ferma all'espulsione dell'ambasciatore. E punta dritta agli interessi economici statunitensi: "In caso di attacco contro di noi potremmo sospendere le esportazioni di greggio. Andate all'inferno, yankee di merda". Nel frattempo sono finiti dietro le sbarre il generale di divisione Wilfredo Barroso e il maggiore Labarca Soto, accusati di aver tramato contro Chavez. Ieri il governo boliviano aveva imposto all'ambasciatore americano di lasciare il Paese entro 72 ore. La decisione era giunta in una giornata segnata da scontri violenti che hanno fatto almeno otto morti facendo temere l'avvio di una guerra civile. La risposta di Washington non si è fatta attendere: anche l'ambasciatore boliviano è stato espulso. La protesta contro il governo boliviano si è estesa in varie regioni del Paese e negli ultimi giorni sono stati registrati attacchi alle infrastrutture energetiche e scontri. Il governo ha denunciato un attentato contro un gasdotto, che ha causato la diminuzione del 10 per cento nell'invio di gas al Brasile. La responsabilità dell'attacco è stata attribuita a gruppi "paramilitari, fascisti e terroristi", presumibilmente organizzati da forze dell'opposizione.

In chiesa una targa in memoria dell'esattore boss


In questo articolo sono riportati concetti che sono l'emblema del nostro paese... e della vostra religione!

http://palermo.repubblica.it/dettaglio/In-chiesa-una-targa-in-memoria-dellesattore-boss/1511434

In vita fu uno degli uomini più potenti di Sicilia, sempre accanto ai mafiosi. Da morto ha un posto di riguardo nella chiesa di Regina Pacis, la parrocchia della Palermo-bene: una targa ricorda il nome di Ignazio Salvo su un confessionale donato dalla famiglia. «In perpetua benedizione e memoria», è scritto accanto alla cappella del Crocifisso sempre piena di lumini e fedeli in ginocchio.

Forse in punto di morte, il 17 settembre 1992, mentre i killer di Totò Riina gli sparavano, anche il potente esattore di Salemi avrà invocato Dio. Ma per la giustizia italiana Ignazio Salvo resta un condannato per mafia e assieme al cugino Nino è il simbolo di una drammatica stagione. Per questo alcuni parrocchiani di Regina Pacis non hanno mai gradito quella presenza ingombrante in chiesa. E adesso hanno deciso di segnalare il caso. Dice la targa sul confessionale: «Dono di fede e d´amore di Giuseppa Puma e dei figli in perpetua benedizione e memoria di Ignazio Salvo. Ad maiorem dei gloriam. 24 giugno 2004».

Nella «memoria» di Ignazio Salvo, arrestato col cugino nel 1984, ci sono le parole dell´allora giudice istruttore Giovanni Falcone, che nella sentenza-ordinanza del maxiprocesso scriveva: «I Salvo si sono avvalsi della mafia per raggiungere posizioni di potere di assoluto rilievo e hanno costituito uno dei fattori maggiormente inquinanti delle istituzioni della Sicilia». Rivelò Buscetta: «Sono uomini d´onore della famiglia di Salemi, come tali mi sono stati presentati da Stefano Bontade».

Quei rapporti con la mafia perdente avevano fatto temere i Salvo durante l´offensiva scatenata dai "corleonesi" Riina e Provenzano contro i "palermitani" Bontade e Inzerillo. Ma i potenti titolari delle esattorie siciliane superarono anche quel momento, riciclandosi presto con i nuovi potenti. Fino a quando le indagini del pool di Falcone e Borsellino li travolsero. Ignazio Salvo si difese: «Non sono un mafioso». Ma in primo grado fu condannato a sette anni, in appello a tre. Il cugino Nino morì prima della sentenza, nel suo letto. Ignazio Salvo fu ucciso dai killer delle cosche. Dicono i pentiti: «Salvo era un altro dei politici legati a Cosa nostra, e anzi di essa facente parte, che non era riuscito ad aggiustare il maxiprocesso».

Il parroco di Regina Pacis, Aldo Nuvola, dice: «La signora Puma, vedova Salvo, fa parte del gruppo dei neocatecumenali ed è una straordinaria animatrice della Caritas, che si prende cura dei poveri di tutta la città. Alla chiesa ha fatto davvero tante donazioni: lei, che è anche un´artista, ha dipinto tutte le stazioni della nostra Via crucis. Quando arrivai in parrocchia, non sapevo che fosse la moglie di Ignazio Salvo. Il giorno che si pose il problema di acquistare un nuovo confessionale, lei si fece avanti. Mi chiese solo quella targhetta in memoria del marito. Solo dopo tempo qualcuno mi fece notare che era la persona che aveva avuto vicissitudini giudiziarie. Chiesi comunque autorizzazione all´arcivescovo De Giorgi per la donazione, che era cospicua, circa ottomila euro».
Spiega il parroco: «La famiglia Salvo sostiene che il proprio congiunto fu vittima di una persecuzione giudiziaria. Cosa possiamo dire noi? La nostra posizione deve essere sempre equanime». Aggiunge: «Che fastidio può fare quella targhetta? Ormai Ignazio Salvo è morto». Cosa rispondere allora a chi ha espresso disagio? «Per carità - dice - noi facciamo tutto alla luce del sole. Parliamone. Decidiamo assieme sul futuro di quella targa».

A Regina Pacis tutti conoscono la generosità della signora Puma. La domenica delle Palme i rami di ulivo per la processione arrivano direttamente dalla tenuta dei Salvo, a Salemi. Dice una parrocchiana: «Se in vita fu un peccatore, beh, adesso il suo nome è su un confessionale, la porta verso il cielo. Non vedo nulla di strano». Ma in cielo Ignazio Salvo si è portato molti segreti: quelli sulle complicità eccellenti fra mafia e politica, quelli sul suo patrimonio occulto che le indagini non sono mai riuscite a scovare.

giovedì 11 settembre 2008

Così ho avvelenato Napoli

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Cosi-ho-avvelenato-Napoli/2040653&ref=hpsp

Così ho avvelenato Napoli

di Gianluca Di Feo e Emiliano Fittipaldi

Le confessioni di Gaetano Vassallo, il boss che per 20 anni ha nascosto rifiuti tossici in Campania pagando politici e funzionari

Temo per la mia vita e per questo ho deciso di collaborare con la giustizia e dire tutto quello che mi riguarda, anche reati da me commessi. In particolare, intendo riferire sullo smaltimento illegale dei rifiuti speciali, tossici e nocivi, a partire dal 1987-88 fino all'anno 2005. Smaltimenti realizzati in cave, in terreni vergini, in discariche non autorizzate e in siti che posso materialmente indicare, avendo anche io contribuito... Comincia così il più sconvolgente racconto della devastazione di una regione: venti anni di veleni nascosti ovunque, che hanno contaminato il suolo, l'acqua e l'aria della Campania. Venti anni di denaro facile che hanno consolidato il potere dei casalesi, diventati praticamente i monopolisti di questo business sporco e redditizio. La testimonianza choc di una follia collettiva, che dalla fine degli anni Ottanta ha spinto sindaci, boss e contadini a seminare scorie tossiche nelle campagne tra Napoli e Caserta. Con il Commissariato di governo che in nome dell'emergenza ha poi legalizzato questo inferno. Gaetano Vassallo è stato l'inventore del traffico: l'imprenditore che ha aperto la rotta dei rifiuti tossici alle aziende del Nord. E ha amministrato il grande affare per conto della famiglia Bidognetti, seguendone ascesa e declino nell'impero di Gomorra. I primi clienti li ha raccolti in Toscana, in quelle aziende fiorentine dove la massoneria di Licio Gelli continua ad avere un peso. I controlli non sono mai stati un problema: dichiara di avere avuto a libro paga i responsabili. Anche con la politica ha curato rapporti e investimenti, prendendo la tessera di Forza Italia e puntando sul partito di Berlusconi.

La rete di protezione

Quando Vassallo si presenta ai magistrati dell'Antimafia di Napoli è il primo aprile. Mancano due settimane alle elezioni, tante cose dovevano ancora accadere. Due mesi esatti dopo, Michele Orsi, uno dei protagonisti delle sue rivelazioni è stato assassinato da un commando di killer casalesi. E 42 giorni dopo Nicola Cosentino, il più importante parlamentare da lui chiamato in causa, è diventato sottosegretario del governo Berlusconi. Vassallo non si è preoccupato. Ha continuato a riempire decine di verbali di accuse, che vengono vagliati da un pool di pm della direzione distrettuale antimafia napoletana e da squadre specializzate delle forze dell'ordine: poliziotti, finanzieri, carabinieri e Dia. Finora i riscontri alle sue testimonianze sono stati numerosi: per gli inquirenti è altamente attendibile. Anche perché ha conservato pacchi di documenti per dare forza alle sue parole. Che aprono un abisso sulla devastazione dei suoli campani e poi, attraverso i roghi e la commercializzazione dei prodotti agro-alimentari, sulla minaccia alla salute di tutti i cittadini. Come è stato possibile? "Nel corso degli anni, quanto meno fino al 2002, ho proseguito nella sfruttamento della ex discarica di Giugliano, insieme ai miei fratelli, corrompendo l'architetto Bovier del Commissariato di governo e l'ingegner Avallone dell'Arpac (l'agenzia regionale dell'ambiente). Il primo è stato remunerato continuativamente perché consentiva, falsificando i certificati o i verbali di accertamento, di far apparire conforme al materiale di bonifica i rifiuti che venivano smaltiti illecitamente. Ha ricevuto in tutto somme prossime ai 70 milioni di lire. L'ingegner Avallone era praticamente 'stipendiato' con tre milioni di lire al mese, essendo lo stesso incaricato anche di predisporre il progetto di bonifica della nostra discarica, progetto che ci consentiva la copertura formale per poter smaltire illecitamente i rifiuti". Il gran pentito dei veleni parla anche di uomini delle forze dell'ordine 'a disposizione' e di decine di sindaci prezzolati. Ci sono persino funzionari della provincia di Caserta che firmano licenze per siti che sono fuori dai loro territori. Una lista sterminata di tangenti, versate attraverso i canali più diversi: si parte dalle fidejussioni affidate negli anni Ottanta alla moglie di Rosario Gava, fratello del patriarca dc, fino alla partecipazione occulta dell'ultima leva politica alle società dell'immondizia.

L'età dell'oro

Vassallo sa tutto. Perché per venti anni è stato il ministro dei rifiuti di Francesco Bidognetti, l'uomo che assieme a Francesco 'Sandokan' Schiavone domina il clan dei casalesi. All'inizio i veleni finivano in una discarica autorizzata, quella di Giugliano, legalmente gestita. Le scorie arrivavano soprattutto dalle concerie della Toscana, sui camion della ditta di Elio e Generoso Roma. C'era poi un giro campano con tutti i rifiuti speciali provenienti dalla rottamazione di veicoli: fiumi di olii nocivi. I protagonisti sono colletti bianchi, che fanno da prestanome per i padrini latitanti, li nascondono nelle loro ville e trasmettono gli ordini dal carcere dei boss detenuti. In pratica, accusa tutte le aziende campane che hanno operato nel settore, citando minuziosamente coperture e referenti. C'è l'avvocato Cipriano Chianese. C'è Gaetano Cerci "che peraltro è in contatto con Licio Gelli e con il suo vice così come mi ha riferito dieci giorni fa". Il racconto è agghiacciante. Sembra che la zona tra Napoli e Caserta venga colpita dalla nuova febbre dell'oro. Tutti corrono a sversare liquidi tossici, improvvisandosi riciclatori. "Verso la fine degli Ottanta ogni clan si era organizzato autonomamente per interrare i carichi in discariche abusive. Finora è stato scoperto solo uno dei gruppi, ma vi erano sistemi paralleli gestiti anche da altre famiglie". Ci sono trafficanti fai-dai-te che buttano liquidi fetidi nei campi coltivati in pieno giorno. Contadini che offrono i loro frutteti alle autobotti della morte. E se qualcuno protesta, intervengono i camorristi con la mitraglietta in pugno.

La banalità del male

Chi, come Vassallo, possiede una discarica lecita, la sfrutta all'infinito. Il sistema è terribilmente banale: nei permessi non viene indicata l'esatta posizione dell'invaso, né il suo perimetro. Così le voragini vengono triplicate. "Tutte le discariche campane con tale espediente hanno continuato a smaltire in modo abusivo, sfruttando autorizzazioni meramente cartolari. Ovviamente, nel creare nuovi invasi mi sono disinteressato di attrezzare quegli spazi in modo da impermeabilizzare i terreni; non fu realizzato nessun sistema di controllo del percolato e nessuna vasca di raccolta, sicché mai si è provveduto a controllare quella discarica ed a sanarla". In uno di questi 'buchi' semilegali Vassallo fa seppellire un milione di metri cubi di detriti pericolosi.

L'aspetto più assurdo è che durante le emergenze che si sono accavallate, tutte queste discariche - quelle lecite e i satelliti abusivi - vengono espropriate dal Commissariato di governo per fare spazio all'immondizia di Napoli città. All'imprenditore della camorra Vassallo, pluri-inquisito, lo Stato concede ricchi risarcimenti: quasi due milioni e mezzo di euro. E altra monnezza seppellisce così il sarcofago dei veleni, creando un danno ancora più grave. "I rifiuti del Commissariato furono collocati in sopra-elevazione; la zone è stata poi 'sistemata', anche se sono rimasti sotterrati rifiuti speciali (includendo anche i tossici), senza che fosse stata realizzata alcuna impermeabilizzazione. Non è mai stato fatto uno studio serio in ordine alla qualità dell'acqua della falda. E quella zona è ad alta vocazione agricola". L'import di scorie pericolose fruttava al clan 10 lire al chilo. "In quel periodo solo da me guadagnarono due miliardi". Il calcolo è semplice: furono nascoste 200 mila tonnellate di sostanze tossiche. Questo soltanto per l'asse Vassallo-casalesi, senza contare gli altri i boss napoletani che si erano lanciati nell'affare, a partire dai Mallardo. "Una volta colmate le discariche, i rifiuti venivano interrati ovunque. In questi casi gli imprenditori venivano sostanzialmente by-passati, ma talora ci veniva richiesto di concedere l'uso dei nostri timbri, in modo da 'coprire' e giustificare lo smaltimento dei produttori di rifiuti, del Nord Italia... Ricordo i rifiuti dell'Acna di Cengio, che furono smaltiti nella mia discarica per 6.000 quintali. Ma carichi ben superiori dall'Acna furono gestiti dall'avvocato Chianese: trattava 70 o 80 autotreni al giorno. La fila di autotreni era tale che formava una fila di circa un chilometro e mezzo".

Un'altra misteriosa ondata di piena arriva tra la fine del 2001 e l'inizio del 2002: "Si trattava di un composto umido derivante dalla lavorazione dei rifiuti solidi urbani triturati, contenente molta plastica e vetro". Decine di camion provenienti da un impianto pubblico: a Vassallo dicono che partono da Milano e vanno fatti scomparire in fretta.

Il patto con la politica

Uno dei capitoli più importanti riguarda la società mista che curava la nettezza urbana a Mondragone e in altri centri del casertano. È lì che parla dei fratelli Michele e Sergio Orsi, imprenditori con forti agganci nei palazzi del potere: il primo è stato ammazzato a giugno. I due, arrestati nel 2006, si erano difesi descrivendo le pressioni di boss e di politici. Ma Vassallo va molto oltre: "Confesso che ho agito per conto della famiglia Bidognetti quale loro referente nel controllo della società Eco4 gestita dai fratelli Orsi. Ai fratelli Orsi era stata fissata una tangente mensile di 50 mila euro... Posso dire che la società Eco4 era controllata dall'onorevole Nicola Cosentino e anche l'onorevole Mario Landoldi (An) vi aveva svariati interessi. Presenziai personalmente alla consegna di 50 mila euro in contanti da parte di Sergio Orsi a Cosentino, incontro avvenuto a casa di quest'ultimo a Casal di Principe. Ricordo che Cosentino ebbe a ricevere la somma in una busta gialla e Sergio mi informò del suo contenuto". Rapporti antichi, quelli con il politico che la scorsa settimana ha accompagnato Berlusconi nell'ultimo bagno di folla napoletano: "La mia conoscenza con Cosentino risale agli anni '80, quando lo stesso era appena uscito dal Psdi e si era candidato alla provincia. Ricordo che in quella occasione fui contattato da Bernardo Cirillo, il quale mi disse che dovevamo organizzare un incontro elettorale per il Cosentino che era uno dei 'nostri' candidati ossia un candidato del clan Bidognetti. In particolare il Cirillo specificò che era stato proprio 'lo zio' a far arrivare questo messaggio".

Lo 'zio', spiega, è Francesco Bidognetti: condannato all'ergastolo in appello nel processo Spartacus e, su ordine del ministro Alfano, sottoposto allo stesso regime carcerario di Totò Riina e Bernardo Provenzano. L'elezione alla provincia di Caserta è stata invece il secondo gradino della carriera di Cosentino, l'avvocato di Casal di Principe oggi leader campano della Pdl e sottosegretario all'Economia. "Faccio presente che sono tesserato 'Forza Italia' e grazie a me sono state tesserate numerose persone presso la sezione di Cesa. Mi è capitato in due occasioni di sponsorizzare la campagna elettorale di Cosentino offrendogli cene presso il ristorante di mio fratello, cene costose con centinaia di invitati. L'ho sostenuto nel 2001 e incontrato spesso dopo l'elezione in Parlamento".

Ma quando si presenta a chiedere un intervento per rientrare nel gioco grande della spazzatura, gli assetti criminali sono cambiati. Il progetto più importante è stato spostato nel territorio di 'Sandokan' Schiavone. Il parlamentare lo riceve a casa e può offrirgli solo una soluzione di ripiego: "Cosentino mi disse che si era adeguato alle scelte fatte 'a monte' dai casalesi che avevano deciso di realizzare il termovalorizzatore a Santa Maria La Fossa. Egli, pertanto, aveva dovuto seguire tale linea ed avvantaggiare solo il gruppo Schiavone nella gestione dell'affare e, di conseguenza, tenere fuori il gruppo Bidognetti e quindi anche me".

Vassallo non se la prende. È abituato a cadere e rialzarsi. Negli ultimi venti anni è stato arrestato tre volte. Dal 1993 in poi, ad ogni retata seguiva un periodo di stallo. Poi nel giro di due anni un'emergenza che gli riapriva le porte delle discariche. "Fui condannato in primo grado e prosciolto in appello. Ma io ero colpevole". Una situazione paradossale: anche mentre sta confessando reati odiosi, ottiene dallo Stato un indennizzo di un milione 200 mila euro. E avverte: "Conviene che li blocchiate prima che i miei fratelli li facciano sparire...".