venerdì 12 settembre 2008

11 settembre - 1973, Golpe in Cile

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/11-Settembre-2008/art43.html

IL GOLPE IN CILE
Alfonso Podlech Michaud il Condor di Pinochet
L'incubo di cui sarà preda il Cile per 17 anni ebbe inizio all'alba dell'11 settembre 1973. I carri armati assaltarono il Palazzo della Moneda e il presidente socialista Salvador Allende si uccise con un colpo di fucile Parla la testimone Fresia Cesa, vedova di Omar Venturelli
GERALDINA COLOTTI

Per la destra cilena e i gruppi di potere che lo hanno appoggiato, l'ex procuratore militare di Temuco, Alfonso Podlech Michaud, 73 anni, è un principe del foro e un docente stimato. Ma per i familiari dei desaparecidos e le associazioni per i diritti umani, è un assassino e un torturatore che l'ha fatta franca: il principale responsabile nella regione dell'Araucania, agli ordini del generale Augusto Pinochet. Forte dell'immunità di cui ha sempre goduto, Podlech ha ignorato il mandato di cattura internazionale che lo inseguiva dal Natale scorso, come uno degli accusati del Piano Condor - la rete di stato che eliminava gli oppositori politici in America latina. Si è fatto fermare in Spagna insieme alla sua seconda donna, che le organizzazioni per i diritti umani accusano di aver fatto parte della brigata psicopolitica dei servizi segreti pinochettisti. E in Spagna il giudice Baltazar Garzon ha firmato l'ordine di estradizione per l'Italia, dove ora è detenuto. Podlech - a cui giorni fa sono stati rifiutati gli arresti domiciliari - è accusato di aver torturato e fatto scomparire alcuni cittadini italiani, residenti in Cile durante la dittatura. Fra questi, l'ex sacerdote Omar Venturelli, dirigente dei Cristiani per il socialismo e docente di pedagogia all'Università cattolica di Temuco. «Fummo convocati alla caserma Autaro subito dopo lo scoppio della dittatura - racconta al manifesto la moglie di Venturelli, Fresia Cea - Allora io ero dirigente sindacale della Centrale unica dei lavoratori, rappresentante degli insegnanti. L'accordo fra me e mio marito era che uno dei due avrebbe cercato di rimanere vivo per occuparsi della nostra bambina. Andai per prima in caserma, dove mi resi conto subito che non si trattava di pratiche ordinarie. Per indurmi a parlare, mi fecero assistere alle torture. Ogni tanto, due medici prendevano il polso ai prigionieri. Ho visto come facevano correre sulle ginocchia i familiari dei mapuche, sparandogli fra i piedi. Dietro la caserma c'era uno sterrato dove avvenivano le esecuzioni». Fresia Cea riesce a cavarsela, non così il marito. Quando va in caserma a cercarla, viene trattenuto e torturato. «Podlech - racconta ancora Fresia - firmò un ordine di scarcerazione per mio marito il 4 ottobre 1973, l'Orden de Libertad numero 52. Invece una settimana dopo, un compagno che era riuscito a uscire ci disse di aver sentito da una cella la sua voce: "mi chiamo Omar Venturelli, fate sapere che sto morendo". Ho chiesto aiuto a tutti, ma non riuscivo a trovare neanche una macchina». Non può trovare aiuto in parrocchia, Fresia: «il mio parroco - dice - era accusato di essere il responsabile militare del Mir, gli avevano smontato persino l'altare per trovare le armi, era dovuto fuggire insieme ad altri sacerdoti. Bernardino Pinera, il vescovo dell'Araucania, ha fatto fuggire diversi sacerdoti». Ma per Venturelli, sospeso a divinis per aver partecipato alle lotte dei contadini indigeni, il vescovo non si muove «eppure - afferma Cea - i compagni dal carcere gli avevano mandato una lettera accorata spiegandogli che Omar stava morendo sotto tortura. Non so perché non si sia mosso. Oggi dice che non si ricorda di Omar, eppure ha pubblicato un libro su quegli anni con date e particolari». Quanto a Podlech, sostiene di essere stato nominato procuratore militare di Temuco solo nel marzo '74. Anche se l'ordine di scarcerazione per Venturelli - l'Orden numero 52 - l'ha firmato prima «Anche se - afferma ora Cea - le associazioni dei diritti umani hanno raccolto molte testimonianze dirette della sua partecipazione diretta alle torture». Eppure «in tanti anni, neanche un processo. Solo ora, con la presidenza di Michelle Bachelet sono stati nominati dei giudici speciali per istruire i processi relativi alle questioni dei diritti umani. Ma quando si presentano le carte, o i tribunali si dichiarano incompetenti oppure i giudici non ritengono sufficienti le prove. A Podlec, che insegnava all'università di Major abbiamo fatto 4 denunce, ma nessuna è stata accolta. L'ultima l'abbiamo presentata a Santiago, il 26 luglio del 2006, e finalmente è andata avanti». Contro Podlec, che non aveva dimesso gli abiti del persecutore, l'anno scorso anche un gruppo di associazioni Mapuche avevano presentato un esposto, «ma a Temuco - spiega Cea - l'apparato di potere è rimasto uguale dal giorno del colpo di stato. I territori mapuche sono militarizzati, l'anno scorso 3 attivisti italiani sono stati espulsi dai territori indigeni per impedire che testimoniassero presso la giustizia internazionale». E Podlech si sarebbe recato al carcere di Temuco fin dall'11 settembre 1973, giorno del colpo di stato, per liberare i fascisti di Patria y Libertad. «Il capo dell'organizzazione di estrema destra Patria e Libertà - racconta Fresia Cea - quel giorno era a Temuco a festeggiare il colpo di stato, si tratta di Pablo Rodriguez, avvocato difensore di Pinochet. La regione dell'Araucania - aggiunge - è l'unica in tutto il Cile che ha votato fino all'ultimo con un plebiscito a favore di Pinochet». Podlech avrebbe torturato e ucciso nella caserma di Tucapel, dove venne rinchiuso anche lo scrittore cileno Luis Sepulveda, che lo racconta nel suo libro La frontiera scomparsa . «Verso le 17, dopo il coprifuoco - racconta Cea - i detenuti venivano trasferiti a Tucapel per essere torturati. Qualcuno tornava, altri venivano uccisi durante il tragitto in base alla le y de fuga , perché si sarebbero dati alla fuga. L'ordine di torturare veniva da Podlec, ma ufficialmente Temuco restava un carcere ordinario». Ricorda ancora Fresia: «Quando sono arrivata in Italia con la bambina, a un tratto mi sembrava di ricononoscere mio marito alla guida di una macchina. Allora saltavo su un taxi e dicevo: segua quella macchina, ma quando la raggiungevo vedevo che non si trattava di Omar e la speranza svaniva. Ho vissuto così per anni». Un dolore incancellabile, che alla lunga spegne la vita. Molte donne fra i familiari di desaparecidos sono morte di cancro: Gladys Marin, segretaria generale del Partito comunista cileno, la presidente dei famigliari degli scomparsi, Sola Sierra, la giornalista Patricia Verdugo. E anche Fresia Cea ha un tumore devastante. «Dicono sia il tipico male della società moderna e della sua aggressione - afferma ora -, ma nel nostro caso la violenza è stata permanente: nel vedere la tracotanza di chi ha torturato continuare a esercitare cariche pubbliche, a un certo punto i corpi non ce l'hanno fatta più». Anche per questo, le associazioni dei familiari dei desaparecidos chiedono che lo stato cileno assuma il gratuito patrocinio anche nel caso del processo Condor, assista le famiglie che devono seguire i processi in Italia. «Molti che ora sono deputati nel governo Bachelet - dice ancora Fresia - hanno ricevuto accoglienza e solidarietà in Italia ai tempi della dittatura: come Antonio Leal, che rappresentava il Partito comunista e ora è un deputato della destra, e ha dimenticato il lavoro che abbiamo fatto insieme per il Cile in Italia». Si ricorda di quell'impegno, Leal? «Speriamo - dice Fresia Cea, che è stata segretaria ministeriale nel precedente governo Lago - che quei deputati restituiscano la solidarietà al popolo italiano, che oggi chiede giustizia per alcuni suoi concittadini, e si diano da fare. In questi giorni, il quotidiano El mostrador ha reso nota la lista dei militanti della Dc che erano membri dei servizi segreti. E domenica scorsa La Nacion ha pubblicato per la prima volta nomi e fotografie dei latifondisti di Patria e Libertà, che hanno assassinato e torturato. Ma c'è ancora un lungo cammino da fare».

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