lunedì 5 gennaio 2009

Il tramonto degli oligarchi

http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/esteri/russia-zar/russia-zar/russia-zar.html
La crisi colpisce anche i patrimoni di Abramovich e degli altri super ricchi di Mosca
A oggi già cento Paperoni si sono rivolti al governo. Tremano case d'aste e gioiellieri
Il tramonto degli oligarchi russi
Ora chiedono aiuti allo Stato
di ETTORE LIVINI

SOLO sei mesi fa sembravano i padroni del mondo: collezionavano ville da mille e una notte, yacht da sogno, squadre della Premier league e mogli sempre più giovani. Si strappavano a suon di milioni i quadri alle aste di Christie's con la stessa naturalezza con cui scalavano aziende in ogni angolo del mondo. Oggi la ruota della fortuna è girata. E anche per i grandi oligarchi russi è arrivato all'improvviso il vento gelido della crisi. I prezzi di petrolio e materie prime, i principali ingredienti delle loro discusse fortune, sono andati a picco. L'economia di Mosca ha iniziato a scricchiolare. Il crollo della borsa, - 70% nel 2008, e del rublo, svalutato 12 volte tra ottobre e dicembre, ha drasticamente ridimensionato i loro conti in banca. E i grandi istituti di credito internazionali - che fino a ieri avevano riempito di coccole gli uomini d'oro nati sulle ceneri dell'ex-impero sovietico - hanno cambiato atteggiamento: basta prestiti (il loro debito estero in scadenza 2009 è pari a 110 miliardi di dollari, il doppio di Brasile, India e Cina messe assieme). Anzi: a dieci dei 25 uomini più ricchi di Russia hanno chiesto di rientrare con urgenza della loro esposizione, spingendoli sull'orlo del crac. Il paese - che con quest'elite di 110 miliardari in dollari (il quadruplo del 2004) non ha mai avuto troppo feeling - non si è scomposto più di tanto. "Non rimpiangeremo gli oligarchi - ha scritto l'Izvetzia - sono solo una banda di spilorci kitsch che si è arricchita portando all'estero i soldi dei russi". Ma la politica, che dall'epoca delle privatizzazioni della Perestrojka è legato con un ambiguo filo doppio a questa banda di "furbetti del Cremlino", non è rimasta con le mani in mano. Mosca ha provato a difendere il rublo bruciando un terzo (163 miliardi di dollari) delle riserve valutarie accumulate grazie al boom del greggio. Poi ha alzato bandiera bianca, approvando in fretta e furia un piano di salvataggio da 200 miliardi per le imprese nazionali.
A oggi già cento oligarchi, messo da parte l'orgoglio, hanno preso il cappello in mano e si sono presentati a Mosca chiedendo aiuti pubblici, come si faceva nell'ex-Urss. E Putin, conscio dell'occasione d'oro per riportare sotto il controllo dello stato i centri nevralgici dell'economia nazionale, ha dato il suo ok al salvataggio dei super-ricchi, affidandone la gestione alla Veb, banca di cui presiede il Consiglio di sorveglianza. Con l'obiettivo di approfittare dell'occasione, come era già successo nella crisi del ?98, per scremare i buoni dai cattivi. La prima testa a cadere, ad esempio, è stata quella di Vladimir Potanin, 47enne ex enfant prodige dei giovani comunisti sovietici, protagonista all'epoca della perestrojika - come molti dei suoi colleghi - di una spettacolare inversione a "U" ideologica fino a diventare il 25esimo uomo più ricco del mondo con 19,6 miliardi di patrimonio. "Questa crisi confinerà gli oligarchi ai libri di storia - ha vaticinato in una profetica intervista dello scorso ottobre il numero uno della Norilsk, il maggior gruppo minerario del paese - Da qui a metà 2009 sarà un test di sopravvivenza per tutti". Appunto. Il 26 dicembre la Veb, intervenuta con un prestito straordinario per sostenere la sua società, ha chiesto la testa di Potanin, sostituito - segno dei tempi - da Alexander Voloshin, ex capo di gabinetto di Boris Yeltsin e Vladimir Putin. I rapporti con l'apparato, del resto, sono da sempre variabile decisiva nelle oscillazioni dell'oligarcometro, la scala che misura le fortune dei capitalisti russi. Mikhail Khodorkovsky l'aveva scalata un gradino alla volta con la benedizione del Cremlino, arrivando al timone della Yukos (petrolio) e al titolo di uomo più ricco del paese nel 2003. Poi ha fatto l'errore di iniziare a interessarsi di politica. E un processo per frode con molti lati oscuri ne ha interrotto la carriera, complice una condanna a 8 anni, da scontare in Siberia. L'ex fisico nucleare Oleg Deripaska e soprattutto Roman Abramovich, oggi primo e secondo nella classifica dei Paperoni di Mosca, sono imprenditori di un'altra pasta. Hanno fatto tesoro degli errori dei predecessori, hanno hobby più innocui della politica. E - forse non a caso - sono i primi oligarchi ad aver ricevuto un aiuto concreto da Putin. I guai di Deripaska - che ad aprile sedeva su una fortuna da 28,3 miliardi di dollari con attività dall'acciaio fino a gas e metalli - sono iniziati in piena estate quando le banche, di fronte al crollo dei titoli del suo impero in Borsa, gli hanno chiesto di rientrare di parte della sua esposizione. Lui ha venduto ai creditori le quote nella canadese Magna e nella tedesca Hochtief, ha messo all'asta la Soyuz Bank e la Ingosstrakh, che interessa all'italiana Generali, e ha conservato il 25% della Norilsk grazie a un assegno da 4,5 miliardi della Veb. Il suo conto in banca si è ridimensionato oggi (si fa per dire) a 6,5 miliardi, ma l'indipendenza è salva. Ancor meglio è andata, per ora, ad Abramovich. In sei mesi ha perso 20 miliardi, ma grazie a 6,5 miliardi di prestiti pubblici (in Russia è spesso accusato di essere il gestore occulto del patrimonio del Cremino) ha tenuto il controllo di tutti i gioielli della corona, i Blues del Chelsea compresi. Unico fastidio, il parziale ridimensionamento del faraonico stile di vita suo e della giovanissima fidanzata Dasha Zhukhova: lei ha dovuto accontentarsi a Natale di un collier da 200mila dollari, malignano gli impietosi tabloid britannici. Lui ha cancellato all'ultimo momento - riferisce l'Aspen Times - un fastoso cenone di Capodanno all'esclusivo ristorante Pinons, nel cuore delle Montagne rocciose, dando buca a 60 invitati. La costruzione dell'Eclipse - il suo nuovo yacht di 165 metri - prosegue però senza intoppi malgrado i marinai del Pelorus, attuale ammiraglia (115 metri) della flotta di casa Abramovich, si siano visti tagliare il bonus di Natale causa austerity.

A bussare alla Veb a caccia di una ciambella di salvataggio finanziaria non sono però solo i nomi noti del jet set (o presunto tale) internazionale. L'hanno fatto, ad esempio, le cinque famiglie diventate padrone dell'acciaio russo all'epoca delle privatizzazioni di Yeltsin, compresa la Severstal di Alexander Mordashov che in Italia ha rilevato la Lucchini. I loro utili nel 2009 arriveranno nella più ottimistica delle previsioni a 10 miliardi di dollari, cifra che non basta a pagare gli interessi sui debiti in scadenza. In crisi è anche l'uzbeko Alisher Usmanov (Metalloinvest) che ha chiesto soldi allo Stato ma non ha alcuna intenzione di cedere la sua quota nell'Arsenal per far cassa. "Il calcio è come una donna di cui sei innamorato - ha spiegato con dubbio romanticismo - non è in vendita". Qualcuno, invece, si frega le mani. Come il previdentissimo Mikhail Prokorov che masticandone non solo di politica ma anche di finanza, è uscito dalla Norilsk al momento giusto ammassando 10 miliardi in contanti e preparandosi oggi a raccogliere i cocci lasciati sul terreno dai suoi colleghi meno saggi. La metamorfosi del mondo dorato degli oligarchi non sarà però un passaggio formale e indolore né per la Russia nè per il mondo. Mosca si prepara a ridisegnare sulla pelle del suo sistema industriale la mappa del potere interno. Con la stella di Putin destinata a uscire rafforzata dall'intervento pubblico nel capitale dei tycoon privati. Sta succedendo anche in America con Chrysler e Gm, per carità, ma la trasparenza della gestione degli affari e delle imprese russe è, almeno fino a prova contraria, un'altra cosa. Nel resto del mondo, al di là dei riflessi geopolitici, sta con il fiato sospeso il magmatico mondo dell'indotto da oligarca: gli immobiliaristi londinesi, della Costa Azzurra e di Saint Moritz, gioiellieri, case d'aste, griffe e cantieri navali. Clienti come Abramovich & C., par di capire, non ne vedranno più per un bel po' di tempo.

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