lunedì 5 gennaio 2009

L'aggressione israeliana a Gaza


Appello del mondo intellettuale italiano contro l'aggressione israeliana a Gaza
31 dicembre 2008 - di Angelo D'Orsi

È di poche ora
fa la notizia che il governo israeliano, capeggiato da un leader
sconfitto e corrotto, Ehud Olmert, ha rifiutato la pur tardiva
richiesta dell'Unione Europea, di concedere alla popolazione di Gaza
stremata, una tregua umanitaria di 48 ore nell'operazione militare che,
con proterva arroganza, è stata chiamata Piombo fuso. La notizia ci
addolora e ci indigna; ma non ci sorprende. Il governo israeliano sta
passando, nei confronti dei palestinesi, dalla politica della
persecuzione a quella della eliminazione. Come non vedere negli eventi
in corso, non da oggi, una tremenda analogia con quello che il popolo
ebraico ha subìto? Ma le ingiustizie patite non danno titolo, né morale
né politico, a produrre altre ingiustizie ai danni dei più deboli. Come
operatori nel mondo della ricerca, dell'università, della scuola, della
comunicazione, delle arti, dello spettacolo, intendiamo denunciare
l'informazione menzognera dei media; e, d'altro canto, la viltà - e
talora complicità - della classe politica italiana (con impercettibili
distinguo nel suo seno).

Non paghi di aver, nel corso dell'anno,
tributato grandi onori allo Stato d'Israele, che festeggiava il suo
60°, dimentichi che quello stesso anniversario ricordava, agli altri,
gli arabi di Palestina, la catastrofe del loro popolo (la Nakba),
politici, opinionisti, organizzatori culturali (insomma ,"l'élite
italiana"), stanno ora di nuovo dimostrando una stupefacente
smemoratezza e una disonestà che lascia allibiti. D'altronde con
"l'unica democrazia del Medio Oriente", come si continua a ripetere,
l'Italia (e la Comunità Europea) ha accordi pesanti di collaborazione
militare, politica e scientifica.

Mentre le bombe continuano a
falciare vite, nel pieno delle festività di fine anno, e si minaccia un
attacco di terra, da noi, in nome di un conclamato quanto ingannevole
spirito di equidistanza si pongono sullo stesso piano i razzi sparati
sulle città del Sud di Israele con l'osceno massacro in atto a Gaza. E,
adottando la posizione israeliana e statunitense, si chiede ad Hamas di
cessare le azioni militari, come passo indispensabile per ottenere una
tregua. Si accusa Hamas, che non si dimentica mai di etichettare come
"organizzazione terroristica" (il che non cancella i nostri dissensi
politici e per molti aspetti ideali, da Hamas), di aver rotto la tregua
in atto da tempo: mentendo, perché durante quella "tregua" fittizia,
numerosi palestinesi sono stati uccisi dagli israeliani, i quali hanno
anche rapito e sequestrato ministri (in numero di 8) e del legittimo
governo di Hamas e deputati del Parlamento (15), nell'indifferenza
della "comunità internazionale".

Si insiste sul fatto che Hamas si è
"impadronita" di Gaza con le armi, dimenticando che Hamas ha vinto
libere elezioni, e un colpo di Stato (con il sostegno israeliano,
statunitense e gli applausi europei), gli ha negato il governo del
Paese, usando Abu Mazen se non come un Quisling, un vero
collaborazionista, certo come una sponda utile. Si accetta la versione
dell'attaccante che ci "informa" di colpire solo obiettivi militari, e
si finge di non sapere che fra tali obiettivi sono sedi universitarie,
ospedali, moschee. Si deplorano i morti civili (secondo stime ufficiali
dell'Onu al 25% della popolazione nei primi giorni dell'attacco
israeliano, molti dei quali adolescenti e bambini, ai quali è impedita
la stessa possibilità di cura, per mancanza di medicinali e di
strumentazione, a causa del blocco israeliano), ma si dimentica che da
anni Gaza è il più grande campo di concentramento a cielo aperto del
mondo. E che ebrei sono - questo il terribile paradosso - gli aguzzini
di quel campo, mentre arabi sono gli internati, ai quali, da anni,
vengono negati i più elementari diritti, a cominciare dal diritto
stesso alla sopravvivenza.

Il blocco di Gaza è una delle pagine più
buie di Israele, a cui noi non chiediamo nulla, convinti che la sua
politica sia destinata a produrre effetti contrari a quelli perseguiti
e che l'odio che sta seminando non solo nella regione, ma in tutto il
mondo, non potrà che accrescersi e produrre conseguenze disastrose per
uno Stato che ritiene di poter governare tutto secondo il principio
della forza, non solo rispetto ai palestinesi, ma all'intera comunità
internazionale, della quale si fa beffe (si pensi al mancato rientro di
Israele nei confini pre-1967, malgrado le innumerevoli risoluzioni
dell'Onu). E abbiamo pietà degli israeliani che oggi festeggiano i
circa 400 palestinesi uccisi nelle prime ore dell'operazione Piombo
fuso. La loro danza macabra testimonia come un'intera società possa
corrompersi moralmente (compresa la gran parte dei cosiddetti
intellettuali israeliani dissidenti), sotto il segno della guerra
permanente.

La guerra odierna è tutt'altro che improvvisata: proprio
come due anni e mezzo fa, nell'estate 2006, soltanto un vaghissimo
pretesto fu trovato nella cattura di un soldato israeliano da parte di
Hezbollah, per l'infelice attacco al Libano, oggi il pretesto sono i
razzi Kassam sparati da Gaza. Questa guerra che gli stolti salutano
come benefica, oggi, porterà a loro - e purtroppo ad altri - nuove
morti, nuove distruzioni, nuove sofferenze, allontanando ogni possibile
pace.

Chiediamo a quanti operano nei nostri ambienti di adoperarsi,
con tutti i mezzi a loro disposizione, per denunciare l'occultamento e
il capovolgimento della verità che, assecondando la campagna
propagandistica israeliana, che ha accuratamente preparato il terreno
per l'attacco, si sta mettendo in campo: oggi, più che mai, la
propaganda non è un semplice strumento di guerra: è essa stessa guerra.
E nell'asimmetria delle "nuove guerre", questa scatenata da Israele sul
finire di un anno terribile, passerà alla storia, forse, come la guerra
ai bambini.

A noi rimane lo strumento della denuncia affinché davanti
all'"informazione" manipolata e corriva, abbia libero corso il sapere
critico, la riflessione informata, l'educazione delle coscienze. Ora,
per avviare la nostra mobilitazione, ribadiamo che all'intellettuale
spetta il duro compito, se vuole salvare non la propria "genialità", ma
la propria "dignità", di gridare sui tetti la verità. Studieremo, nei
prossimi giorni, eventuali iniziative comuni, per portare avanti la
nostra azione. Ma fin d'ora, anche se servisse a poco e a pochi,
pensiamo di non poter rimanere inerti, complici o succubi, davanti alle
immagini che ci giungono da Gaza sotto le bombe, alle carni martoriate
di quei bimbi innocenti, alle macerie fumanti di una comunità che non
si arrende, e che, perciò, rischia l'annientamento, mentre noi
stappiamo le nostre preziose bottiglie di champagne.

Angelo d'Orsi
(Storico, Università di Torino)

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