lunedì 22 giugno 2009

Il timone della crisi nel secolo post-americano

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Intervista di Giulietto Chiesa alle «Izvestija», a cura di Ivan Antonov

Al recente International Economic Forum si sono tenute molte discussioni. Una delle controversie più inattese si è avuta nella sessione intitolata “Prospettive di evoluzione dei sistemi politici”. Si tratta delle considerazioni piuttosto insospettabili formulate da un analista veterano della CNN, Bill Schneider (vedi nel BOX in fondo all’articolo, NdT).


Una risposta gli viene data da un famoso scrittore e politico, Giulietto Chiesa. In un’intervista con Ivan Antonov delle «Izvestija», Chiesa spiega la sua visione dell’America nel mondo contemporaneo.

Domanda: Uno dei suoi interlocutori, Bill Schneider, ha detto che, a suo parere, la crisi da un punto di vista globale non cambierà nulla, e gli USA resteranno ancora il centro in cui si prendono le decisioni. Cosa ne pensa di questo punto?

Risposta: Credo che pensare che tutto rimarrà come prima sia una grande illusione, un autoinganno. Che potrebbe costare molto caro non solo agli americani, ma a tutti noi. Al contrario, io vedo che il presidente Obama, forse più di molti suoi collaboratori e di qualsiasi rappresentante dell’élite americana, capisce che la situazione è cambiata radicalmente. E io spero che questo possa continuare, perché i grafici che ho citato lo dicono in modo assolutamente ovvio. Il centro di gravità dell’economia finanziaria internazionale è slittato verso l’Asia. Le tre banche più grandi su scala internazionale sono cinesi. La loro capitalizzazione totale supera la capitalizzazione delle restanti fra le 20 banche più ricche. Non vedere ciò significa essere ciechi. Ritengo che l’impero americano sia finito. Abbiamo solo bisogno di capirlo, ci vuole tempo per realizzare questa cosa. Capire cosa succederà nei prossimi due o tre anni. Giusto per citare un esempio: i cinesi hanno accumulato più di 2 trilioni di dollari USA. Sono nelle mani dei cinesi, ribadisco. Li manterranno tranquilli finché il dollaro, per esempio, non si svaluterà. Ma siccome il dollaro sta cominciando a svalutarsi seriamente (cosa contro cui ritengo che Obama non possa far nulla) la Cina sta cominciando a preoccuparsi, ed è già un giocatore di prima grandezza nell’arena internazionale. In più, sembra, ci sono altri paesi – Brasile, India – oltre alla Russia, senza dimenticare l’Unione europea. Ci sono pochi giganti, che sono chiamati a proteggere i propri interessi. Già ora l’intero Occidente non è in un “unico calderone”, ci sono interessi diversi. E gli USA non possono prendere decisioni senza tener conto di queste preoccupazioni. Quando dico “la fine dell’Impero”, intendo dire proprio questo. L’imperatore non esiste, se deve negoziare con i subordinati. Per gli americani risulta difficilissimo lasciarsi alle spalle il precedente modo di pensare.

D.: Se al momento della crisi il mondo fosse stato multipolare, gli attuali sconvolgimenti sarebbero stati evitati o almeno mitigati?

R.: Penso che potremo evitare le peggiori conseguenze se il mondo da questo momento in poi sarà multipolare. Per me è un fatto abbastanza ovvio che le banche americane abbiano avuto un controllo pressoché totale del mondo finanziario internazionale. Questo non è iniziato con Bush, ma molto prima, con il collasso dell’Unione sovietica e l’avvento al potere di Clinton. Poi c’è stata una netta svolta. Dopo di ciò, gli USA hanno mollato il timone. A Greenspan e altre banche mondiali dell’Occidente, comprese le banche in Europa e Giappone, in accordo. In seguito a questo, abbiamo scoperto che gli USA in mondo indipendente, tramite l’uso del dollaro come moneta di riserva di tutto il mondo, hanno creato un’enorme massa di liquidità. Senza controllo. Preparavano la tragedia con le proprie mani. Se non erro, in base a certe valutazioni, delle stime realistiche, sono stati creati artificialmente 700 trilioni di dollari USA. Se ci fosse stato un controllo internazionale, la situazione sarebbe stata completamente diversa.

D.: Le viene attribuita la frase “La democrazia sta nell’informazione”. Coma pensa che sia ora la situazione dal punto di vista della democrazia in occidente, più in generale nel mondo?

R.: Rispondo che siamo fuori dalla democrazia in Occidente, praticamente ovunque. Perché la maggior parte delle informazioni di valore che sono assolutamente necessarie per la nostra vita mancano a milioni e milioni di persone. Non parlo dei cosiddetti “risparmiatori”, forze d’investimento. Intendo i normali cittadini della strada. Essi non sanno nulla di quali decisioni vengono prese, perché vengano prese. Se sapessero, almeno in parte, potrebbero proteggere se stessi. Un semplice esempio: siamo stati trasformati in consumatori. Nel senso più largo. Intendo a opera dell’intera corrente mainstream: intrattenimento, pubblicità, l’intera struttura del mondo virtuale. Se sapessimo cosa succede, forse, dovremmo organizzare le nostre vite collettive in una maniera diversa. Siamo persuasi che sia possibile uno sviluppo economico illimitato, ma si è riconosciuto che la cosa non era realistica. Le nostre fortune sono state arraffate da un piccolo gruppo di persone che si è appropriato di un enorme potere. E l’informazione è potere. La mia risposta, certo, è che chi ha nelle sue mani l’informazione ha il potere. La maggior parte delle persone nel mondo non sa nulla di ciò che sta succedendo, il che si traduce per loro in zero potere.

D.: Ha fiducia nel nuovo presidente degli Stati Uniti? Può portare il suo Paese e il mondo a migliorare?

R.: Lo dico sinceramente, senza nascondimenti. Ho l’impressione che le parole pronunciate da Obama non siano finte. Anche i giri di parole che usa indicano che è un uomo sincero. Ha compreso qualcosa di nuovo. In breve, il livello intellettuale è di due o tre ordini di grandezza più elevato rispetto a quello dei precedenti presidenti. È una cosa evidente. Tuttavia, il suo potere è troppo limitato. Credo che egli sia salito al potere in America in un momento grave e senza precedenti, cosicché il suo potenziale non è emerso visibilmente e non è chiaro quanto possa fare. Non posso dire che questa sia una valutazione scettica. Mi baso sulla mia esperienza russa e sovietica. Quando in Urss ci fu Gorbaciov, lo osservai attentamente, così come faccio ora con Obama. A quel tempo molti non credettero a Mikhail Sergeevich nella convinzione che fosse un inganno e che sarebbe stato la continuazione del vecchio. Al contrario, vedevo che era dieci volte più in gamba rispetto all’ambiente in cui operava. Certo, Gorbaciov è stato sconfitto, ha fatto molti errori, ma ciononostante è stato un innovatore. Un grandissimo riformatore. Perciò, nel fare uso di questa esperienza russa, penso che non occorra presumere che tutto continui come prima. Durante una crisi, specie su una così larga scala come ora, ci sono persone capaci di far girare il timone. Talvolta risulta poi che non lo sanno proprio fare, ma la cosa più importante è che capiscano la situazione, cioè possano cercare di cambiarla per il meglio.


BOX:
Cosa ha detto Bill Schneider nel suo discorso?
«Abbiamo determinato una crisi economica e lo facciamo ogni 30 anni».
«L’America perderà il suo status di unica superpotenza mondiale? La mia risposta è chiara. No».
«Dopo il crollo dell’Unione sovietica è arrivato il “decennio d’oro” degli Stati Uniti, paragonabile forse agli anni venti del mondo nel secolo precedente».
«L’unico valore che difenderemo senza riguardi per il paese e il governo: i diritti umani».
«Ritengo che una regola rimarrà sempre la stessa. Questa regola: finché gli Stati Uniti non fanno qualcosa, non succederà nulla.»


Traduzione a cura di Anna Mele per Megachip

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