lunedì 6 aprile 2009

Orsenna: amori unici vs amori multipli

http://dweb.repubblica.it/dweb/2009/03/28/culturaespettacoli/culturaespettacoli/071lov63971.html

Cultura e Spettacoli
Amori unici vs amori multipli
Domande Perché desideriamo l'assoluto ma viviamo pluristorie? Per Erik Orsenna è una questione di fantasmi. E canzonette
di Laura Lamanda

Ricominciamo ogni volta con lo stesso entusiasmo. Perché quando amiamo, speriamo che duri. Certo, deve durare bene: se non succede, ci laceriamo nei dubbi. Le crisi, quando scoppiano, non risolvono mai nulla. Le spazza via un nuovo amore, o la sete di futuro. Così i rapporti si susseguono, eppure vorremmo la semplicità di un amore unico. Cosa ce ne allontana? Dove il nostro destino è impazzito? Anche Erik Orsenna, premio Goncourt e membro dell'Academie française, nonché ex consigliere culturale di Mitterrand, ci ha perso il sonno, cercando risposte in una "machine à penser": un romanzo. Il suo La canzone dei mille rimpianti, in uscita il 9 aprile da Ponte alle Grazie, individua ipotesi, avventurandosi con grazia nei labirinti emotivi di un personaggio desideroso di avere un amore unico (come riesce al fratello rivale), ma incapace di fermare la successione di incontri e traslochi. Poi, quando approda a un rapporto così intenso da neutralizzare routine e mania della separazione, viene defraudato di questo tesoro dal destino. Così, guidato dalla necessità di superare il lutto, inizia un'inchiesta su di sé, sull'amore e sull'arte di stare nel presente, contando sull'appoggio di fantasmi benevoli e di un'ironia a tratti scatenata. A quest'ironia Orsenna ha abituato da tempo i suoi lettori anche per raccontare temi serissimi, quali gli intrighi di palazzo o la vita presidenziale. Intervistato in esclusiva da D, dice subito di evitare domande su un tema che ricorre nel libro: la morte della sua compagna. Ma non è necessario parlarne per raccontare quest'autobiografia fantastica, che fa riflessioni sull'amore che riguardano pure noi, e ha un tocco lieve anche quando affronta il dolore. "Sarà perché, fondamentalmente, ho una concezione della vita molto gioiosa. Vivere è un gioco. Finirà male. Pazienza. Ora divertiamoci. Per me riso e lacrime, gravità e divertimento sono indissociabili. Sono affetto da gioia inconsolabile", spiega. Il suo romanzo è, in effetti, permeato di slanci e curiosità. Eppure racconta un mondo popolato di fantasmi. "È così: ne siamo circondati!", assicura. E non appartengono solo a persone scomparse, ma anche ad amori svaniti, incontri per i quali è mancato il coraggio, relazioni sgretolate. Se li sappiamo trattare, i fantasmi danno profondità ai nostri giorni. "Vivere con loro significa essere "connessi", sentire la complessità del momento, dove presente e passato si mischiano. Se li allontaniamo, ci priviamo di risonanze e armonie". La ricettività ai fantasmi può essere favorita. Aiuta l'amore svanito tra i genitori che aleggia per casa, ma anche certi spettacoli naturali: "Io mi sono perfezionato in Bretagna, in riva a un mare popolato di leggende, e spesso in tempesta (le tempeste sono un'ottima porta per i fantasmi). Ho proseguito in Africa, dove il mondo dei vivi è unito a quello dei morti, le risate al pianto, la città alla campagna. È un universo dove gli spiriti hanno il loro posto". Assegnare agli spiriti un posto significa anche tenerli a bada. "Per esempio, io chiedo al fantasma di un vecchio amore che cosa pensa di un mio nuovo incontro. È giusto chiedere consigli. Ma poi con loro ci vuole equilibrio. Se ce ne lasciamo invadere, ci chiudiamo in universi senza vita. E sbarriamo la strada al futuro". Questo pericolo è tutt'altro che remoto, e può dare vita a disturbi molto concreti, come a quello della persistenza retinica, che il protagonista del romanzo si fa inutilmente curare dall'oculista. Rischia di succedere anche a noi, se permettiamo a un vecchio amore di continuare ad abitarci. Può colonizzarci lo sguardo, impedendoci la visione corretta di quanto ci circonda. In particolare, la persistenza retinica può ostacolare un nuovo amore, magari proprio quello che aspettiamo da sempre. "Per evitare questo, quando i fantasmi mi tormentano, accusandomi di voler dimenticare, contrattacco: "Oh, non penserete di incatenarmi al passato!". Voglio essere fedele al futuro. Così, appena un rimpianto mi si avvicina, io gli tiro il collo! Così, quando voglio fare un viaggio lo faccio, quando voglio provare un mestiere lo provo, quando incontro una donna le chiedo se vuole rivedermi. Nove volte su dieci risponde di no, e allora non ho rimpianti. Una volta dice di sì e io sono felice". Ma non è così semplice. A furia di tirare il collo ai rimpianti, di dare appuntamenti e tentare, si rischia infatti di incappare in un altro nemico dei sentimenti: l'andanza. È quella frenesia di vivere, quella malattia di futuro, che ci rende sempre un po' altrove, distanti dal nostro interlocutore, come al di là del presente. "Chi soffre di andanza ha come unica vocazione la curiosità. È reso folle dalla domanda: perché no? Perché no un viaggio o un'impresa? Come rispondere con un no alla domanda perché no?". Se cediamo all'andanza, cadiamo nel tranello della dislocazione della felicità: abbiamo difficoltà a immaginarla realizzabile oggi. Siamo convinti che arriverà domani, altrove. E, ancora, ci circondiamo di fantasmi. "I progetti sono i fantasmi dell'avvenire", avverte Orsenna. Così proiettati in avanti, rischiamo a nostra volta di diventare fantasmi per gli altri. "I miei figli, frustrati dalle mie assenze, a un certo punto avevano messo a tavola un manichino di filo di ferro con la mia faccia disegnata su un pallone. In questo modo, dicevano, un po' di me sarebbe stato con loro, perché tanto io o ero in viaggio, e allora non c'ero, o stavo scrivendo un libro, e allora c'ero ancora meno. Istruttivo". L'andanza è una malattia frequente, diffusa fin dal Rinascimento. Il romanzo riferisce che ne soffrì anche Carlo V: passò 21 dei suoi 25 anni di potere fuori della Spagna, in viaggio. Si dice che amasse ascoltare una canzone dal titolo Mille rimpianti. L'amore per le canzoni è un tratto distintivo di chi soffre di andanza. "Con i miei genitori andavo ad ascoltare cantautori poi diventati celebri, come Brassens e Brel. Le canzoni, come le fotografie, sono delle porte molto efficaci per entrare nell'universo dei fantasmi del futuro". Se pensiamo di avere una propensione all'andanza, perciò, moderiamo il consumo di canzoni d'amore. Brevi per natura, stimolano il gusto del cambiamento e del diverso a ogni costo, e favoriscono la tendenza a incatenare gli incontri. In più, raccontando amori complicati, o anche disperati, rafforzano l'idea che le storie finiscano male, e incoraggiano l'inclinazione a troncarle. Meglio ascoltare la musica classica come fa il protagonista del romanzo. O studiare danza. Orsenna l'ha provata. È stata la scrittura, però, a dargli i risultati più soddisfacenti: "Scrivo dalle sei alle nove del mattino, nel prolungamento della notte, in continuità con i sogni, e in una libertà totale. Il giorno e il mondo reale arrivano dopo. Queste tre ore di scrittura sono come le ore di meditazione per i religiosi. Proteggono dalla follia, perché aiutano a ricollegare assieme tutte le cose viste e vissute. Se non scrivessi sarei completamente esploso, disperso nella bulimia di sapere e di fare". Arginati i fantasmi e controllata l'andanza, resta sempre il problema di come arrivare all'amore unico. Inutile consumarsi nell'invidia per quelli che già lo vivono. "Forse hanno avuto fortuna da subito, e magari anche il merito di agire poi con cura estrema. Però può anche essere che non si siano ascoltati tutta una vita pur di restare dov'erano: a volte l'amore unico racconta il terrore di rimettersi in gioco e di perdere un certo comfort". Perciò, se ci siamo dispersi in amori improbabili, possiamo sempre essere orgogliosi del nostro coraggio di cambiare. Forti di questa qualità, dobbiamo solo aspettare che il sentimento appropriato ci investa. Generalmente è annunciato da una frase: "Ecco, se mi vuole è lui/lei". Se l'amore unico non è certo, è così indiscutibilmente probabile. "Nella vita accade che, proprio mentre si è affascinati da mille attività ed esseri, ci si manifesta d'un tratto il sentimento della preferenza. Allora preferiamo viaggiare all'interno di una persona, piuttosto che continuare a incontrarne ancora un'altra, e poi un'altra, e un'altra ancora. Preferiamo essere con questa persona e farle tutte le carezze possibili. Andare a cercare ancora non ci interessa più. Amare è preferire. Il desiderio diventa più importante dei desideri. Quando amiamo, in conclusione, ci si impone il desiderio al singolare". Ma poi, come fare in modo che la situazione resti preferibile a lungo? Forse tentando una cortesia che mai prima, lacerati tra passato e futuro, eravamo stati in grado di offrire: la cortesia di essere persone del presente. "Questa è un'operazione molto difficile. Si tratta di ostinarsi a restare nel momento, respingendo ogni possibile attacco dal passato o dal futuro". Riuscire in questo sforzo di concentrazione è di vitale importanza. Sembra infatti che le persone del presente siano quelle con cui la vita è più gradevole. Forse perché, come spiega il romanzo, "hanno una gentilezza che potrebbe sembrare banale, e invece è una rarità: la gentilezza di esserci. Esserci quando ti parlano, quando assaggiano un cibo, quando si arrabbiano, essere lì e non altrove quando fanno l'amore con te".

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