venerdì 24 aprile 2009

Marx-Stuart Mill, un duello all’ultimo bicchiere

http://www.lastampa.it/Torino/cmsSezioni/biennaledemocrazia/200904articoli/10295girata.asp

Democrazia rappresentativa o partecipativa?
Un dialogo immaginario tra i due pensatori
PAUL GINSBORG
Terza giornata della Biennale Democrazia, che prosegue fino a domenica a Torino. In questa pagina anticipiamo uno stralcio del testo che Paul Ginsborg ha preparato per dopodomani.

MILL: «Grazie di aver accettato il mio invito. È un onore per me».
MARX: «L’onore è tutto mio. L’oggetto della nostra conversazione sarà la democrazia, vero?».
MILL: «Proprio così. E se me lo consente andrò io per primo a illustrare la mia tesi. Sono un convinto fautore del governo rappresentativo. In definitiva nulla è più auspicabile dell’ammissione di tutti ad avere parte attiva al potere sovrano dello Stato. Ma poiché in una comunità che ecceda le dimensioni del piccolo centro urbano è impossibile che tutti partecipino in prima persona se non in misura assai ridotta all’attività pubblica, ne consegue che il modello ideale del governo perfetto deve essere rappresentativo. I parlamenti delle nostre nazioni devono fondarsi, per quanto possibile, su una rigida rappresentanza proporzionale, così che la totalità delle opinioni dei cittadini, e in particolare quelle delle minoranze, trovino voce in seno alle istituzioni del paese. Esiste, e in questo mi trovo d’accordo con Monsieur De Tocqueville quando scrive della giovane democrazia americana, esiste, dicevo, il grave rischio che si instauri una nuova tirannia, quella della maggioranza parlamentare. Il parlamento ha il dovere di essere al contempo il Comitato di protesta della nazione e il suo Congresso di opinioni, un ampio consesso in cui non solo l’opinione generale della nazione, ma quella di ogni sua componente, e per quanto è possibile di ogni illustre individuo che vi risieda, può propagarsi alla luce del sole e stimolare il dibattito \».
MARX: «Si è mai visto un parlamento borghese che somigli vagamente a questa idea? È un’ipotesi utopistica».
MILL: «Detto da lei, caro dottor Marx, lo prendo come un complimento. Ma se me lo consente vorrei aggiungere due altre riflessioni. La prima è che le donne dovrebbero votare per questo parlamento al pari degli uomini. \ Il secondo principio è che il passaggio del suffragio, dalla base attuale ristretta al suffragio universale esteso a tutti gli uomini e le donne adulti, dovrebbe avvenire per gradi. \ Tutti devono votare, se non oggi, in un futuro non troppo lontano. Ai nostri rappresentanti in parlamento spetta il compito di discutere e deliberare \. Ma l’azione - il governo e la gestione del paese - devono essere sempre opera di una piccola élite responsabile. La direzione effettiva della cosa pubblica dev’essere affidata a un’élite non eletta - un ristretto numero di uomini illustri, qualificati, preparati da una educazione e da una esperienza particolari, personalmente responsabili di fronte alla nazione. In poche parole questa è la mia visione della moderna democrazia».
MARX: «Siamo lontani, Mr. Mill. \ A mio giudizio la democrazia parlamentare come l’ha appena descritta è un’impostura. Non è che il sofisma dello Stato politico. Lei reputa la democrazia un sistema meramente politico sganciato dalla sfera economica. Ma non può esistere vera democrazia finché le due sfere - economica e politica - non si intersecano in modo che l’individuo mantenga in entrambe gli stessi diritti e lo stesso potere. Vediamo come agisce l’elettore nel suo sistema. Per un giorno - no, nemmeno, per un attimo - indossa la sua “pelle del leone” e va alle urne. Per un momento è uguale a tutti gli altri uomini, a tutti i cittadini di una determinata nazione. Ma è una condizione effimera. Subito dopo torna alla sua vera essenza, torna alla sua vera identità che non è quella politica, torna un semplice proletario, o contadino, o piccolo artigiano o ricco capitalista. Il vero potere resta nelle mani di quest’ultima classe, quella capitalista, e lo Stato non è altro che un comitato che gestisce gli affari di tutta la borghesia. \ Perché le cose cambino davvero deve avvenire una trasformazione rivoluzionaria che conduca alla democrazia economica nonché politica».
MILL: «Avrà forse notato che nella terza edizione del mio Principi di economia politica, quella del 1852, ho inserito un passaggio sulle cooperative dei lavoratori, considerandole l’auspicabile futura forma di organizzazione della produzione industriale. È un passo verso l’idea di una redistribuzione finale della proprietà su base più equa e a vantaggio delle classi lavoratici».
MARX: «Sì, è interessante, ma non basta. Tra noi c’è un abisso. Lei è un grande ammiratore di Atene, ma è convinto che nella società moderna l’unica possibile democrazia sia quella rappresentativa. A mio giudizio la democrazia partecipativa è una forma superiore di democrazia, altamente realizzabile. Sotto questo aspetto la Comune di Parigi del 1871, quella breve insurrezione radicale che ha travolto la capitale francese nel periodo immediatamente successivo alla guerra franco-prussiana, costituisce l’embrione di un nuovo, più avanzato sistema di organizzazione politica. La Comune secondo me fornisce a una repubblica moderna la base di istituzioni realmente democratiche. È la forma politica finalmente scoperta nel cui ambito si può sviluppare l’emancipazione economica della classe operaia. Il potere viene decentralizzato, i cittadini partecipano attivamente al processo decisionale, i delegati hanno retribuzioni pari al salario degli operai e possono essere rimossi dall’incarico dai loro elettori, una milizia popolare si sostituisce all’esercito ecc. Ecco il modo in cui la Comune di Parigi è la storica dimostrazione che la democrazia diretta, lungi dall’essere attuabile solo in un piccolo centro, come sostiene lei, può essere realizzata in una grande città, e il modello parigino avrebbe potuto essere imitato in una nuova Francia federalista. Nella Comune di Parigi la democrazia economica, è vero, non ha avuto compiuta realizzazione ma la sfera politica, quella sì, è stata avvicinata ai bisogni e al controllo della popolazione nel suo complesso. I comunardi non hanno avuto tempo di stabilire cosa fosse necessario alla sopravvivenza della Comune - una vera dittatura del proletariato, cioè il dominio di classe democratico della stragrande maggioranza della popolazione. Questa dittatura in sé non rappresenta altro che una fase di transizione verso l’abolizione di tutte le classi e una società senza proprietà privata.

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