venerdì 24 aprile 2009

In coda per ascoltare Amato e le altre star della Biennale

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In coda per ascoltare Amato e le altre star della Biennale
MARCO CASTELNUOVO
TORINO
Dicono che la politica non interessi più. E invece. La dimostrazione ieri a Torino in piazza Carignano, davanti al maxischermo che non riporta, come al solito, le partite dei Mondiali, ma la lectio di Gustavo Zagrebelsky la mattina o la prolusione di Giuliano Amato nel pomeriggio o la lectio di Alain Touraine la sera. Ad ascoltare ragazzi che prendono appunti, donne in bicicletta che si fermano, anziane che appoggiano i sacchetti della spesa. Persone, insomma. In fondo, è questa l’essenza della democrazia.

Lo spiega bene Giuliano Amato, per nulla sorpreso dalla gente in coda che aspetta, se mai riuscirà, di accaparrarsi un posto dentro il teatro dove l’ex premier discuterà di democrazia deliberatva con il sociologo norvegese Jon Elster e il professore americano John Gastil. Non proprio due vip che trascinano le folle. «Per me non è certo una novità - dice Amato mentre saluta la gente in fila composta -. Anche al festival dell’Economia di Trento, a quello del Diritto di Piacenza o della Letteratura a Mantova, vedo le stesse scene. C’è sempre tanta gente, e di anno in anno sempre di più, in piazza a seguire. Dove le persone possono conoscere, imparare, discutere, ecco che la politica torna a essere passione».

In fondo, è il cuore stesso del tema affrontato da Amato con Elster e Gastil: la democrazia deliberativa. Dove per «deliberativa» non si intende «che decide», quindi non è «volontà del popolo», ma «discussione». Si fa spesso confusione sulla democrazia deliberativa. Per molti politici è utile per fare digerire meglio decisioni già prese (per esempio, la Tav) o quando, davanti a questioni problematiche, si fa fatica a raggiungere una soluzione soddisfacente e si tende così a procrastinarla (il testamento biologico).

Per Gastil il ragionamento va rovesciato: «Il dibattito pubblico deve assicurare che ogni partecipante abbia adeguate occasioni di espressione, che i partecipanti si capiscano reciprocamente e mostrino la dovuta considerazione gli uni per gli altri. Il dibattito dovrà essere deliberativo, cioè stabilire una solida base informativa, elencare in ordine di priorità i valori chiave, identificare un ventaglio di soluzioni, studiare attentamente vantaggi, svantaggi e compromessi tra le tante scelte possibili e infine raggiungere la decisione migliore».
Il segno più evidente di quanto si sta raccontando tra i velluti del Teatro Carignano rimbalza sui porfidi della piazza. Le persone che guardano al maxischermo cominciano a discuterne, a dialogare.

Per Giancarlo Bosetti, direttore di Reset e moderatore del dibattito, basta questo a decretare il successo: «L’ideale di una cittadinanza che discute con competenza è lontano dalla democrazia reale. La democrazia deliberativa cerca di migliorare le conoscenze dell’opinione pubblica e alzare la qualità del dibattito».

Teoria e prassi si mescolano, per la soddisfazione di Amato: «Quando la politica si fa comunicazione e i cittadini diventano tifosi, allora la rappresentazione non può che essere quella che leggiamo sui giornali. Ma il pensiero e i dilemmi dell’uomo non possono certo ridursi alla polemica quotidiana. Le persone hanno bisogno di capire, di conoscere, d’imparare. Per dare un giudizio, che si riflette nel voto, nella militanza, o in altro, in modo più cosciente». Nel mondo esempi di democrazia deliberativa ce ne sono moltissimi, dagli Stati Uniti all’Australia. In Italia ci sono esperimenti in Lazio e in Toscana. E a Torino, evidentemente. A partire da questa piazza.

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