sabato 12 settembre 2009

IL problema energetico secondo il sole24ore

Il collasso energetico mondiale, momento in cui le risorse primarie disponibili, alla luce delle tecnologie attuali, non saranno più in grado di far fronte alla domanda, è previsto per il 2065.

Il modello elaborato dal Cnr e pubblicato nel volume «Energia e trasporti, stato attuale e prospettive future della ricerca scientifica» non lascia scampo. A meno che non si guardi oltre. E cioè al nucleare, alle fonti rinnovabili, a nuovi utilizzi dei combustibili fossili. Ma soprattutto - e subito - al risparmio energetico. «La ricerca deve saper fronteggiare due sfide combinate - spiega Claudio Bertoli, direttore del Dipartimento Energia e Trasporti del Cnr - e cioè assicurare energia sufficiente a basso costo e ridurre l'impatto negativo sull'ambiente nella produzione, il trasporto e la distribuzione di energia». Per rimandare quel punto critico che potrà essere evitato soltanto con una nuova sorgente di energia primaria.

Ovvero?
La fusione nucleare al momento è la promessa maggiore. Il progetto Iter, che prevede la realizzazione del primo reattore in Francia, nell'area di Caradache, è la più grande intesa scientifica internazionale attualmente in campo. Sono convinto che si arriverà ad una centrale operativa. Certo, si parla del 2020 o dopo. Tra l'altro, la parte di ricerca sui materiali è comune a un altro fronte importante, quello delle centrali di quarta generazione. Lì però, ci sarà da aspettare ancora di più.

Parliamo del presente. Cosa ne pensa del ritorno al nucleare dell'Italia?
E' molto importante. Ci farà tornare in uno strategico filone industiale e di ricerca. Ci renderà più autonomi dagli altri Paesi, ma non risolverà del tutto il problema. Continueremo a importare.

Quali fonti sostituiranno i combustibili fossili?
Innanzitutto va detto che i combustibili fossili rimarranno ancora con noi per molto tempo. In particolare il carbone, che anche nel 2100 - secondo i nostri modelli - darà un apporto significativo. Bisognerà proseguire nell'utilizzo e nella ricerca di tecnologie che lo rendano più pulito e per la cattura e il sequestro sotterraneo del carbonio legato alla sua combustione.

E' realistica la teoria del «peak oil», momento di picco del petrolio?
Tutti i modelli prevedono che il consumo di idrocarburi raggiungerà un massimo per poi decrescere. Si differenziano sulla definizione del momento in cui questo accadrà. Dipende molto dalla volontà politica e dagli interventi che verranno messi in campo. Se tutto continuasse come oggi, il peak oil potrebbe essere raggiunto nel 2030.

E poi? Al di là del nucleare, le energie rinnovabili che ruolo possono giocare?
Crediamo che nel 2050 possano rappresentare all'incirca il 15% della domanda di potenza complessiva. Il che corrisponde a un quarto della produzione energetica complessiva. Persistono però una serie di problemi, come la discontinuità dell'apporto energetico, i costi elevati e l'utilizzo del territorio. Fenomeno, quest'ultimo, particolarmente vero per le biomasse. Non devono sottrarre territorio alle coltivazioni agricole. L'utilizzo di biomasse di nuova generazione, come quelle algali, accresciute con la CO2 di scarto delle centrali, mi sembra una soluzione promettente.

Nel nostro Paese si registra una forte crescita di eolico e fotovoltaico. Può continuare?
Le caratteristiche del nostro territorio non permettono la realizzazione di grosse centrali. Credo sia meglio puntare sulla microgenerazione, ovvero l'applicazione del fotovoltaico sulle case e i capannoni industriali. Rimanendo su questa scala, è molto promettente anche il mini-eolico.
28 agosto 2009


«Il paradigma della crescita non supererà il picco del petrolio»
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Economia%20e%20Lavoro/risparmio-energetico/frontiere/petrolio-picco-aspo.shtml?uuid=a0f65a4c-98a3-11de-872e-41be20626090

Il «peak oil», momento di massima produzione di petrolio oltre il quale inizia una inesorabile discesa, è un fantasma di cui si discetta da decenni. Già negli anni Cinquanta il geofisico americano Marion King Hubbert allarmò i petrolieri paventando il raggiungimento del picco, sul continente statunitense, negli anni Settanta. Hubbert indovinò e divenne un punto di riferimento. Vent'anni dopo le grandi crisi petrolifere, Colin Campbell riprese in mano i suoi studi diventando uno dei massimi esperti internazionali. Nel 2001, mettendo insieme diversi scienziati e contributi, fondò Aspo, acronimo di Association for the study of peak oil.

A oltre cinquant'anni dalle prime previsioni di Hubbert il mondo si interroga davvero su come andare oltre quel barile di oro nero che ne accompagna lo sviluppo da 150 anni. Luca Pardi, vicepresidente di Aspo Italia e primo ricercatore dell'Istituto per i processi chimico-fisici del Cnr, prende spunto dall'intervista rilasciata al Sole24ore.com da Claudio Bertoli, direttore del Dipartimento Energia e Trasporti del Cnr, in cui veniva previsto il collasso energetico per il 2065 e il picco del petrolio per il 2030. Pardi contesta sia le previsioni temporali che l'analisi delle soluzioni (il Cnr indicava nella fusione nucleare la maggiore promessa, ndr). «Il metabolismo socio-economico del pianeta dipende dal petrolio - spiega Pardi -. E' la fonte energetica più conveniente, non esiste nulla di paragonabile: è per questo che il momento di picco è un evento critico di dimensioni inaudite. Vediamo una certa semplificazione del problema che rischia di indurre un eccessivo ottimismo nel settore e nei cittadini».

Il Cnr prevede il peak oil per il 2030. Voi?
C'è molta confusione. Nel novembre scorso l'Agenzia internazionale per l'energia (Aie), agenzia intergovernativa dei paesi Ocse, ha presentato, nel suo World energy outlook 2008 (Weo2008) un quadro della situazione e le proiezioni fino al 2030. Ebbene, il picco del petrolio estratto dai giacimenti in attività è già stato raggiunto. Il picco globale potrebbe, secondo l'Aie, essere rimandato a dopo il 2030 solo se si comincerà a produrre petrolio da risorse il cui sviluppo richiederebbe ingenti investimenti: la stima è di ventiseimila miliardi di dollari. Investimenti che, al momento, appaiono fuori dalla portata di qualsiasi compagnia petrolifera pubblica o privata. La produzione globale oggi arriva a 83-85 milioni di barili al giorno. Il livello è lo stesso dal 2004. I modelli secondo noi più attendibili indicano un possibile momento di picco per il 2010.

Quindi l'anno prossimo. Eppure vengono scoperti nuovi giacimenti, come quello di Bp nel Golfo del Messico, definito dalla compagnia «gigantesco»...
Vero, ma il giacimento di Tiber, stando a quanto dice Bp, contiene 3 miliardi di barili che dopo le prime trivellazioni potrebbero arrivare a 6 miliardi. Non è poco, ma nel mondo ne vengono consumati 30 miliardi l'anno. Siamo a un decimo. I giacimenti scoperti negli anni Sessanta, come quello di Ghawar, contenevano 170 miliardi di barili. Dall'inizio degli anni Ottanta consumiamo più di quanto troviamo.

Le nuove tecnologie non possono allontanare la data in cui il petrolio inizierà a diminuire andando a scovarlo in posti un tempo impensabili?
Può incidere ma molto poco. Credo che la nostra previsione sul momento di picco abbia un margine di errore di cinque anni, non venti o trenta.

Passiamo al carbone. Diverse analisi concordano sul fatto che durerà di più.
Sì, ma meno di quanto si pensi: molte delle riserve disponibili non potranno essere sfruttate al 100%. Oltre un certo limite l'estrazione non è più conveniente. Uno studio del 2007 dell'Energy watch group prevede un picco globale del carbone entro la metà del secolo.

Cosa c'è oltre?
Crediamo molto nelle rinnovabili. La critica che viene mossa storicamente a questo tipo di energia è che il suo contributo rimane marginale nella torta complessiva e intermittente (il fotovoltaico non funziona di notte, l'eolico quando non c'è vento, ndr). La crescita degli ultimi anni è stata rilevante in assoluto, meno in relazione al fabbisogno energetico. Guardando avanti bisogna puntare sulle grandi centrali, non solo alla microgenerazione. Arrivare alla produzione di centinaia di Megawatt. Per uscire dalla nicchia. Io stesso sono tra i piccoli investitori del progetto Kitegen per l'eolico d'alta quota che può fornire notevole potenza e risolvere il problema dell'intermittenza, visto che in quota i venti sono più abbondanti.

E il nucleare?
Le tecnologie da fissione nucleare sono affidabili e mature. Il punto è che le circa 450 centrali attualmente in esercizio dipendono per circa il 40% dall'Uranio di riserve strategiche accumulate in passato e certamente finite. Anche qui ci sarà un picco, previsto per metà secolo.

In cinquant'anni potrebbero però vedere la luce le centrali di quarta generazione e quelle a fusione nucleare.
Ha detto bene, "potrebbero". Sono tecnologie estremamente complicate, diffido di appuntamenti così lontani nel tempo.

Però anche le vostre previsioni sul picco del carbone e dell'uranio arrivano a metà secolo...
Fare previsioni non è mai semplice. I modelli servono per ragionare con un set di variabili sulle direzioni future, non per indovinare l'anno preciso. Il problema è che le politiche vengono scelte su modelli mentali, mentre quelli di cui parlo sono fisico-matematici. Spesso si fanno paralleli con il passato, pensando che all'era del petrolio ne seguirà un'altra, fucina di ulteriore sviluppo.

Non è così?
Chi l'ha detto? Io credo che ci sarà un cambio di paradigma. La crescita economica continua ed infinita finirà. Non si tornerà alla stessa abbondanza. Gli ecosistemi terrestri non possono reggere questi ritmi, lo sviluppo ha dei limiti. Dovremo abituarci.



Le energie rinnovabili sono una «grande opportunità di ricerca e di business», ma i target che si sono posti l'Unione europea e l'amministrazione Obama sono irraggiungibili. «I tecnici più avveduti lo sanno. I politici tengono l'informazione nel cassetto. Tutti sanno che le rinnovabili, da sole, non possono fornire l'energia di domani», spiega Angelo Spena, direttore dei laboratori di fisica tecnica ambientale dell'Università Tor Vergata di Roma e coordinatore del dottorato in ingegneria delle fonti di energia. Il problema è che per fare un'analisi serena occorrono dati precisi: « Per non dissipare e disilludere il grande potenziale dato dall'entusiasmo dei più giovani occorre una riflessione attenta sul peso specifico che possono rappresentare oggi le fonti rinnovabili prima di fare partire una filiera industriale che si regge solo sugli incentivi».

Perchè, i dati che ci sono in circolazione non sono corretti?
I media comunicano continui aumenti delle potenze installate. Ma non c'è informazione sull'energia prodotta da quei kilowatt. Se l'impianto non lavora, i kilowattora sono zero. Abbiamo fatto uno studio sui dati del Gse del 2007-8, i soli che riportano i kilowattora prodotti all'anno dalle potenze incentivate in Italia.

Ebbene?
Abbiamo diviso kilowattora su kilowatt, ottenendo le ore di funzionamento. Tenga conto che in un anno ci sono 8.760 ore. Una centrale termoelettrica a carbone funziona 7.000 ore, quindi l'80% del tempo disponibile. Il solare termico resta sotto le mille ore. Lo stesso per il fotovoltaico. Eppure quando si fanno studi di fattibilità, in genere vengono assicurate da 1.100 a 1.400 ore di attività. Nella realtà, il ritorno dell'investimento è più lungo. E' come avere una bellissima Ferrari ma tenerla in box.



Fig. 1 – Italia. Ore di equivalente funzionamento a pieno carico di impianti solari fotovoltaici. Nuovo Conto Energia, anno 2008 (Fonte: GSE, 2009).


Vale anche per le altre fonti?
L'eolico va un pochino meglio, con 1.500-1.600 ore l'anno. La buona notizia arriva dalle biomasse, con 4.000-5.000 ore.



Fig. 2 – Italia, anno solare 2007. Ore di equivalente funzionamento a pieno carico degli impianti eolici. (Fonte: GSE, 2008).


Da dove nasce questo divario tra installato e produzioni effettive?
Ci sono tre ordini di problemi. Il primo è legato a malfunzionamenti e problemi di sistema, poi la geografia del Paese: in molte zone il vento è raro. Infine, si scontano gli errori nelle analisi preventive, troppo semplicistiche e ottimistiche. Si trascurano troppi aspetti prestazionali. Una fonte rinnovabile deve soddisfare insieme tutti i tre requisiti: costo, durata, efficienza. Se solo uno non c'è, salta tutto.




Fig. 3 – Producibilità teorica e misurata degli impianti eolici censiti dal GSE nel 2007, in funzione della velocità statistica media del vento.


Cosa si può fare?
C'è anzitutto necessità di efficienza energetica e di comportamenti virtuosi di tutti noi. Poi bisogna discernere il grano dal loglio. Io faccio una critica alla incentivazione indiscriminata, e una sollecitazione. Le tecnologie oggi commerciali danno quello che abbiamo visto. Siamo solo alle batterie, non alle finali. Se investiamo tutto in incentivi rischiamo di creare un mercato che non sta in piedi. Di tutto abbiamo bisogno meno che di occupazione effimera. Al momento l'urgenza non è promuovere una nuova massa critica industriale. Salverei solo la termotecnica per le biomasse e l'elettromeccanica per l'eolico, già ben radicate nel nostro tessuto industriale. Per il resto occorre monitorare bene l'esistente e dare più risorse alla ricerca. C'è ancora molto da fare.

Quali sono i filoni più promettenti?
Certamente l'integrazione dei captatori solari negli edifici. Non solo sui tetti, ma anche sulle facciate. E l'eolico off-shore, in mare, che può sfruttare venti maggiori. Infine, lo ripeto, bisogna mettere a punto dei nuovi studi di sistema per fare meglio le scelte e i progetti. E per attribuire bene ad ogni clima le più adatte tecnologie

Quando crede che il problema delle risorse energetiche si farà urgente?
Difficile fare previsioni, spesso si sono rivelate errate. I combustibili fossili hanno ancora almeno alcuni decenni di vita piena e soddisfacente. La tensione sui prezzi risponde più a logiche speculative che alla scarsezza delle risorse. Io mi preoccupo quando vedo che il prezzo del petrolio scende troppo. Abbiamo studiato l'andamento della quotazione del greggio e l'ammontare degli investimenti delle compagnie petrolifere in tecnologie per la ricerca e l'estrazione negli ultimi trent'anni. Scoprendo che c'è una correlazione fortissima.
10 settembre 2009

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